Bisogna difendere la scuola! Biopolitica e istruzione in Italia

Un estratto del saggio “Bisogna difendere la scuola! Biopolitica e istruzione in Italia” di Fabio Milazzo[*], pubblicato all’interno dell’ebook “Non fate i bravi. Educare e normalizzare in Italia oggi” (2014) curato da Claudia Boscolo e pubblicato da  Psychiatry on line Italia.

«Resisterà alle dolci lusinghe la Fortezza Bastiani? Bugiardi imbonitori l’assedianocon violenze degne di Tamerlano
Battiato-M. Sgalambro, Fortezza Bastiani (2004)

La fortezza assediata

La scuola italiana, al pari della Fortezza Bastiani di Buzzati cantata da Battiato, è sotto assedio: «bugiardi imbonitori l’assediano», forti del suo essere ridotta a nulla di più che un rudere isolato al centro di un paesaggio brullo: la società italiana fiaccata dal ventennio di berlusconismo. In verità, la distruzione della scuola pubblica è un processo più antico del ventennio causa di tutti i mali e deve essere ricondotto alle mutate esigenze di addomesticamento degli italiani. Infatti, non sfuggirà a nessuno che la funzione politica della scuola è centrale per ogni governo. La scuola – come palestra per l’edificazione di un certo tipo di italiano – è il punto di partenza di ogni analitica che si prefigga di analizzare la situazione, lo stato e i mali della principale agenzia educativa nazionale. All’interno di ciò che resta di questa istituzione, insegnanti e personale scolastico vario, animati da maggiore o minore volontà, provano a mandare avanti un avamposto prima strategico e ora assolutamente anacronistico. Almeno questo è ciò che vogliono far credere le politiche governamentali questi ultimi decenni, attraverso riforme nate come aborti con il solo fine di destrutturare e di impoverire le risorse umane e materiali della scuola.

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Dal «divieto» alla «normalizzazione»: la «biopolitica»

Ogni programma educativo cela – a volte a fatica– un progetto ideologico di addomesticamento dei giovani in relazione a una certa idea, a un certo modello di società. Per tale ragione la scuola si configura come lo spazio d’elezione per qualunque analitica sulle pratiche governamentali, cioè sulle modalità attraverso le quali vengono gestite dai governi le comunità. Stiamo parlando di una politica che si fa carico della vita dei governati: la «biopolitica».

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La forma di potere paradigmatica della biopolitica è la «psichiatria» che, secondo Foucault, esercita la sua funzione normalizzatrice attraverso la pratica regolatrice delle forme di esistenza. Il potere psichiatrico si esercita al contempo su scala individuale attraverso la cura, e su scala collettiva disciplinando le condotte pubbliche mediante la sanzione dei comportamenti «anormali» (Foucault, 2000). In tal senso si configura come dispositivo di igiene pubblica e principio di intellegibilità delle condotte e delle forme di vita. L’esercizio del «biopotere», palese nel caso della psichiatria, si estende all’intero spettro delle pratiche governamentali che, avendo come oggetto la «vita» in quanto tale, «plasma, modifica e dirige non solo i corpi ma le fibre molli del cervello» (Cutro, 2005, p. 10). Facendosi carico della salute dei corpi l’esercizio biopolitico modella anche le sinapsi, i contatti neurali, in un processo di continua ri-definizione tra l’ambito biologico e quello psichico.

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Il biopotere «è centrifugo, agisce su circuiti più larghi e su flussi. Agisce sulla realtà attraverso la realtà: cioè regola i fenomeni in base alle variabili che sono loro proprie» (Cutro, 2005, p. 12). La scuola, per le politiche attraverso le quali si attua il biopotere, assume la duplice funzione di spazio di soggettivazione e di fabbrica dei saperi attraverso i quali si pongono le condizioni trascendentali per la determinazione della verità; controllarne i programmi, amministrane le linee guida, scandirne i tempi e gli spazi, le attività, regolarne la dimensione comunitaria e di cittadinanza, selezionarne il personale con funzione di «soggetti supposti sapere», è di fondamentale importanza per le strategie di governo di chiunque detenga il potere – sia esso soggetto individuale o collettivo.

Come «allevare» l’homo œconomicus

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Secondo Foucault è l’economia la ratio che articola e dirige le politiche governamentali, i suoi punti di presa, i suoi a-priori. Sulla base delle logiche del costo-beneficio si esercita il governo dei viventi e si amministra la comunità. Il mercato assume il valore di criterio per organizzare e giudicare le politiche di governo che rispondono innanzitutto alla dialettica posta in essere dalla legge della domanda e dell’offerta. Non c’è altra procedura di veridizione: il mercato è il criterio di legittimità della politica. Nel caso della scuola questo significa innanzitutto procedure di razionalizzazione della spesa, mascherate attraverso i voli pindarici della retorica come quella messa in campo dal ministro Gelmini nel tentativo di obliare i colpi di machete inferti al bilancio della scuola (pubblica) durante il suo ministero: «razionalizzare la spesa non significa tagliare, ma liberare risorse per la qualità» (Gelmini, 2013).

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La seconda conseguenza di pratiche governamentali che hanno il loro banco di prova nella ratio economica è l’imperativo alla quantificazione e alla standardizzazione delle procedure educative e dei criteri di valutazione: gli alunni devono poter dimostrare oggettivamente di aver appreso le nozioni necessarie per riciclarsi nel mercato del lavoro ed espletare la loro funzione di gangli del sistema. Questo è possibile se la scuola è ridotta a una fabbrica di competenze misurabili e quantificabili, uno spazio che esalta la normalizzazione e riduce le differenze in nome dell’omologazione e della sistematizzazione del singolo all’interno dell’insieme costruito attraverso le procedure di esclusione. Insomma: la scuola che «alleva» (Sloterdijk, 2004, p. 149) bravi consumatori e cittadini obbedienti. Questo progetto epocale che riduce la scuola a una fabbrica di alunni-gadget, tutti uguali, standardizzati e produttivi, si è giovato, in particolare nell’ultimo decennio, di un mantra ripetuto ossessivamente dai media, dagli intellettuali che si ergono a difensori della «nozione di scuola [che] è anche fatica, attenzione, autorità, disciplina» (Augias, 2005, p. 16): la “meritocrazia”.

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Il tranello obliato dalle presunte politiche del merito non consiste nel criterio di differenziazione degli alunni in base al riconoscimento del lavoro svolto, della propensione allo studio, del valore riconosciuto all’auto- costruzione del sé attraverso la fatica, del rispetto delle consegne (tutti elementi auspicabili in una scuola che funziona), ma nel fantasma celato dietro il concetto di «meritocrazia». Cosa si vuol intendere, infatti, con la selezione per meriti nelle attuali narrazioni biopolitiche? Questo è l’interrogativo centrale per ogni analitica che si propone di indagare lo svuotamento di senso e la destrutturazione del sistema di istruzione pubblico. Fondamentalmente con “meritocrazia” si intende processo di selezione sulla base di prestazioni quantificabili e misurabili, che tradotto significa: rendimenti traducibili in numeri, quindi valutabili con pretese di oggettività. Vi sembra di sentire l’eco delle logiche di mercato? Se sì è perché avete perfettamente ragione! In effetti, valutare e quantificare una prestazione in maniera oggettiva attraverso una grammatica asettica è tipico della ratio economica, quella che Foucault identificava come principio ordinatore della realtà e criterio di veridizione per l’homo œconomicus, la figura paradigmatica della biopolitica liberale.

[L’ebook Non fate i bravi. Educare e normalizzare in Italia oggi può essere scaricato gratuitamente da qui]

Bibliografia

Augias Corrado, Lettere. Risponde Corrado Augias, in La Repubblica, 8/06/2005.

Cutro Antonella (a cura di), Biopolitica. Storia e attualità di un concetto, Ombre Corte,Verona 2005.

Foucault Michel, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), trad.it. di V. Marchetti e A. Salomoni, Feltrinelli, Milano 2000.

Gelmini Maria Stella, Gli insegnanti ci sono, inutile assumerne ancora in Il Messaggero, 25/05/2013.

Sloterdijk Peter, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, trad. it. di A. Calligaris – S. Crosara, Bompiani, Milano 2004.

Note

[*] Fabio Milazzo, docente precario di Storia e Filosofia nei licei e blogger. È membro esterno di LiberaParola, centro multidisciplinare di psicoanalisi applicata che opera nell’ambito dell’attività scientifica e clinica del Campo Freudiano. Scrive sul blog Sentieri erranti e sulla rubrica “Lo spirito e l’osso. Immaginario, filosofia e psicoanalisi” su Psychiatry on line Italia. È redattore della web-magazine Haecceitas. Oltre ad alcuni saggi su Lacan e su Sciascia (deComporre Edizioni) ha partecipato con un contributo al pamphlet Il nuovo realismo è un populismo (Il nuovo Melangolo). Attualmente sta lavorando a un saggio sull’opera di Jacques Lacan.

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