Spettri virali

Forme nuove di neocolonialismo ai tempi del Covid-19.

neocolonialismo covid-19

Sulla chat dell’UCAI (Unione Comunità Africane d’Italia), il 6 aprile 2020, è apparsa la seguente affermazione: «Purtroppo il leader africano medio manca di responsabilità politica, senso civico, ancorché di senso morale e il suo mondo finisce la sua casa fisica… Gli Stati occidentali sono fatti di persone, ovvio, quindi esseri fallibili. Quindi non c’è nulla (purtroppo) di cui meravigliarsi se questi si approfittano del nostro stato di minorati. Mio malgrado, devo dire che è colpa nostra, non loro».

Anche in tempi di Covid-19, come accadde anni fa per la pandemia di HIV, si ripropongono spettri nascosti, notizie che farebbero presagire possibili test di anti-virali sulle popolazioni africane. Questo ha scosso molto i membri di questo gruppo e ha spinto me a riflettere su quali scenari il futuro si stava affacciando anche per le popolazioni del Sud del mondo.

Da quando la pandemia si è diffusa in Italia, gli incontri formali dell’UCAI sono stati sostituiti da lunghe conversazioni di gruppo sulla chat, che prima faceva da luogo virtuale di coordinamento tra i membri dell’associazione. Notizie, battute, informazioni burocratiche hanno costellato dunque la mia giornata di antropologa, ormai impossibilitata a proseguire l’attività sul campo. È stato però dopo un articolo pubblicato sul sito dell’Ansa, il 6 aprile, che i toni sulla chat si sono fatti più duri e le battute ironiche sono state sostituite dalla rabbia. È stato reso noto, a seguito di un talk show francese, che un ricercatore dell’Istituto Inserm di Lille e il capo del reparto di rianimazione all’ospedale Cochin di Parigi avrebbero proposto di sperimentare in Africa un vaccino anti-Covid19. A toni indignati e di protesta, sono seguite espressioni di rassegnazione, tra le quali quella qui riportata.

In tempi di pandemia le ombre del neocolonialismo sembrano farsi, dal punto di vista di molti africani, più lunghe, oscure e spaventose. Torna alla luce il passato, del periodo in cui l’HIV mieteva vittime in tutta l’Africa e in cui, di nuovo, le aziende farmaceutiche usavano il continente come terreno di prova di un possibile antivirale; ma non solo.

In un recente articolo di Malik Bouriche, pubblicato sulla rubrica Storie virali, l’autore ha ricordato come, già nell’Africa coloniale francese, esperimenti di questo genere fossero parte di un vasto programma di ricerche mediche. Raccogliere informazioni sui corpi infetti, attraverso l’introduzione dei virus, la cura e l’isolamento dei pazienti contagiosi, diventò infatti la prassi nella lotta contro le malattie indetta dagli istituti Pasteur in tutte le colonie, fin dal 1830. 

Oggi, d’altra parte, nell’Europa dello Stay safe, della solidarietà e dell’esaltazione del senso comunitario, sembra non esserci spazio per una presa di coscienza di cosa invece sta succedendo in altre parti del mondo. Nei resoconti dei telegiornali si parla dell’Africa solo come di un luogo in cui le stime dei malati e dei deceduti sono sommarie, le condizioni igieniche carenti, la situazione senza controllo. Non c’è spazio per analisi attente al problema. Nell’emergenza non ci sono margini di riflessione per ciò che avviene nel Sud del mondo.

neocolonialismo covid-19

Nessuno ha parlato, peraltro, di come le associazioni migranti, in tutta Italia, abbiano contribuito al finanziamento dell’acquisto di dispositivi medici necessari a fronteggiarla; né si è parlato troppo delle difficoltà di chi è soggetto a condizioni abitative svantaggiate o diverse (quelle illegali, delle comuni, dei campi rom), in questo momento in cui una casa è fondamentale.

Si assiste dunque a una violenza simbolica (Mbembe) che assume non solo il volto dell’indifferenza, ma a volte anche quello del razzismo: sulle reti d’informazione hanno circolato notizie in cui si sosteneva che i migranti africani fossero immuni al virus. In fondo, l’indifferenza di fronte alla proposta di offrire il permesso di soggiorno a coloro che sono rinchiusi nei centri d’accoglienza per scongiurare possibili contagi ci ha fatto assistere ancora una volta agli esiti perversi del mescolarsi di paura e rabbia xenofoba

La pandemia, nel momento dell’emergenza, sembra esaltare il valore di ogni singola vita. I cittadini del Nord del mondo hanno dunque rinunciato alla propria quotidianità in nome di un alto senso civico, della sacralità dell’esistenza umana. Si è riscoperto il valore (ma anche e la retorica) del vicinato; si sta costruendo un’etica comunitaria alla cui base vi è il gesto del non interagire con gli altri. Ma nello stesso momento, i migranti e i cittadini del Sud del mondo sono rappresentati, verrebbe da dire, come “non persone” (Dal Lago), mentre i loro paesi vengono dipinti con i caratteri dell’ignoto, del caos e del sottosviluppo. La loro sorte non è cosa che tocchi da vicino gli interessi dell’opinione pubblica occidentale.

Nella prospettiva postcoloniale che caratterizza le soggettività presenti nelle associazioni di migranti africani, “l’oggi introduce lo ieri” (Mishra, Hodge). In tale prospettiva occorre guardare agli eventi del passato coloniale per modificare il presente e non riprodurre attitudini discriminatorie come quelle che hanno rallentato la lotta all’HIV in Africa, e oggi fanno sì che ricercatori inconsapevoli parlino di sperimentazioni pilota da condurre sulle spalle degli africani.

Print Friendly, PDF & Email
Close