Una nuova puntata delle multisegnalazioni di Alberto Prunetti.
Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Guanda, 2017, p. 333, euro 18
L’ho attaccato una prima volta e ho dovuto sospendere la lettura. Poi ho fatto passare un mese e l’ho riletto da capo, divorandolo. Avevo delle aspettative che mi avevano ingannato. Conoscevo a grandi linee la storia di Gerda Taro. Il contesto della guerra civile spagnola– su cui ho letto svariati libri, perlopiù di tipo memorialistico e biografico – mi spingeva a immaginare una narrativa come quella di Paco Ignacio Taibo II, o di Pino Cacucci. Pensavo anche a un’opera come La miliziana di Elsa Osorio [Guanda, 2012], dedicata alla straordinaria figura della capitana Micaela Etchebéhère. Invece Janeczek ha sbaragliato le mie carte e ha raccontato la storia di Gerda Taro con uno stile narrativo completamente diverso. La sua è una scrittura che non ti fa sentire la polvere e il puzzo delle barricate. Piuttosto, restituisce una stratigrafia intellettuale di lingue, di nomi anagrafici e nomi fittizi, di persecuzioni nazifasciste e fughe, insomma del cosmopolitismo rivoluzionario di quello straordinario secolo breve che è stato il XX secolo, evocando personaggi minori che entrano ed escono dalla vita di Gerda Taro.
Leggete questo libro, ma leggetelo pensando non al passato bensì al presente. Ai fascismi di ieri ea quelli di oggi, e a chi ha combattuto per distruggerli. Con la penna, col fucile, con la leica. E poi, dopo questo romanzo, leggete Lezioni di tenebra di Janeczek [Mondadori, 1998]. È un libro bellissimo, tra i più belli che ho letto negli ultimi tempi, duro e al tempo stesso commovente, capace di legare questioni storiche, linguistiche, politiche e personali con una maestria di scrittura notevole. Una riflessione sulla madre, sulla lingua madre, la lingua seconda e le lingue straniere, sull’essere stranieri in ogni luogo e cittadini del mondo, sul cosmopolitismo apolide degli ebrei, sul vivere profughi in un paese cinto da confini, sul nazismo. E sulla capacità della scrittura di fare i conti con le ferite profonde del vissuto. Molto forte la sequenza della visita al campo di concentramento, in cui ho sentito echi di Necropoli di Pahor [Fazi, 2008] che mi hanno seguito nel corso di una mia recente visita del campo di sterminio della Risiera di San Sabba a Trieste.
Nicola Attadio, Dove nasce il vento, Vita di Nellie Bly, a free American girl, Milano, Bompiani, 2018, pp. 202, euro 16
Non è una comunista come Gerda Taro ma si è occupata di questioni sociali e nella vita ha esplorato i bassifondi. A volte da giornalista sotto copertura, realizzando stunt che la proiettavano nei mondi dove una donna – bianca e di estrazione borghese, per quanto decaduta – ai suoi giorni non doveva entrare: le fabbriche e i manicomi, ad esempio. Oppure realizzando epiche avventure in solitaria (il giro del mondo in meno di 80 giorni, per superare il primato del personaggio di finzione di Verne). O intervistando la femminista anarchica Emma Goldman. Insomma, Nellie Bly è la prima donna americana a diventare una giornalista di successo. A me il suo stile giornalistico ha fatto venire in mente Günter Wallraff,il giornalista tedesco autore di Faccia da turco [Pironti, 2001] (un libro fondamentale che andrebbe letto da chiunque volesse cimentarsi col giornalismo, purtroppo in Italia fuori catalogo). Solo che Nellie è arrivata molto prima di lui.
Una biografia romanzata che si legge in poche ore, scritta con una penna che ha fatto della linearità e della velocità un tratto distintivo. La prosa di Nicola Attadio è quella della scrittura giornalistica anglosassone classica: efficace, concisa, priva di forme involute. Fa venire in mente quanto sia difficile scrivere così facile.
Adolfo Bioy Casares, Dormire al sole, Roma, Sur, 2018, pp. 254, euro 16,50, traduzione e postfazione di Francesca Lazzarato
Si comincia con pagine lunghe di un realismo costumbrista che quasi annoia. Si finisce in crescendo con un’esplosione di fantastico che lascia il lettore meravigliato. Siamo lontani dall’isola che non c’è de L’invenzione di Morel [Sur, 2018], un altro bellissimo libro di Bioy Casares. La narrazione sprofonda sui tic da ceto medio di un uomo qualunque e sulle sue difficoltà matrimoniali, seguito dall’autore per i passaggi e i caminitos di Buenos Aires. Non quella alto borghese del quartiere Recoleta, né quella proletaria della Boca. Ma non è tanto o solo ilracconto della classe media quel che interessa a Bioy Casares. La sua è una riflessione sul doppio, sulla scienza, sui luoghi disciplinari come le cliniche. Sul meraviglioso e il perturbante che nascono dall’ordinario. Ottime la traduzione e la postfazione, entrambe di Francesca Lazzarato.
Raduan Nassar, Un bicchiere di rabbia, Roma, Sur, 2018, pp. 85, euro 10, traduzione di Amina di Munno
Un racconto lungo o un romanzo breve, un format in cui i latinoamericani fanno scintille. Un flusso di parole tropicale che da un incipit erotico sprofonda nella rabbia di una relazione d’amore che si contorce come filo spinato attorno alle personalità dei personaggi.
Alessandro Portelli, Bob Dylan, pioggia e veleno, Roma, Donzelli, 2018, pp. 177, euro 18
Un bel saggio, pieno di aneddoti personali, su Hard Rain di Bob Dylan, che lega con approccio comparativo la canzone popolare tra l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. La domanda irrinunciabile che il lettore si pone, nella prime pagine, è: quand’è che ho ascoltato la prima volta Bob Dylan? Il mio ricordo va a un nastro giratomi in prima liceo da un prof di inglese. Tuttavia da anni, almeno dalle medie, ascoltavo già in casa Guccini e Pierangelo Bertoli. Il mondo dei cantautori non mi era lontano, ma passare da Folk beat numero uno (quasi una cover emiliana di folk americano) all’originale mi lasciò frastornato e felice. Imperdibile, soprattutto se di Portelli avete già amato lo splendido Badlands [Donzelli, 2015], dedicato a Bruce Springsteen.
Sauro Marianelli, Le scarpe per Irene, Follonica, Ouverture, pp. 164, euro 13
Sauro Marianelli tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta è stato un autore di letteratura per ragazzi molto apprezzato. Pubblicava per Einaudi, Fabbri, editori Riuniti e ha vinto diversi premi, tra cui il Bancarellino. Negli ultimi venti anni non ha più pubblicato niente, fino a pochi giorni fa, quando Ouverture ha dato alle stampe un titolo che i cultori di Marianelli apprezzeranno. Ci sono tutti i suoi elementi chiave: l’amore platonico, la passione per le capacità artigianali, la scuola come fattore di emancipazione sociale e personale). Chi non lo conosce dovrebbe andare a cercarsi alcuni suoi romanzi che ancora oggi sono da leggere, a partire da La mia resistenza [Paravia, 1965] e Una storia nella storia [Fabbri, 1987].
Quella delle multisegnalazioni editoriali di Alberto Prunetti è ormai a tutti gli effetti una rubrica. Qui la prima, la seconda, la terza e la quarta multisegnalazione uscite su il lavoro culturale.