Oggi ricorre la data della strage fascista di Montemaggio (Siena), ovvero dell’uccisione di 19 partigiani* quasi tutti ventenni, appartenenti a un distaccamento della brigata “Spartaco Lavagnini”. Di seguito l’analisi di un caso relativo alla voce di Wikipedia dedicata all’eccidio.
“In realtà, mai come nelle guerre civili le due parti sono irrimediabilmente diverse e divise.” Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza
Durante l’ultima campagna elettorale, uno degli argomenti forti con i quali un certo côté “moderato” ha messo a tacere la polemica quotidiana su fascismo e antifascismo è stato la costante invocazione di una forte discontinuità fra il presente e la stagione della lotta di Liberazione. Tanto lontana quella stagione da far apparire mostruosamente anacronistico l’uso di etichette come “violenza fascista” o “strage fascista” in nome di una memoria unitaria. È bene ricordare che all’ombra dell’appello alla memoria condivisa della Repubblica post-ideologica trionfa sempre l’appiattimento della narrazione – mascherata da storiografia – su un superficiale volemose bene. Un calderone all’interno del quale tutte le azioni che si distinguono dalla melassa post-ideologica sono sbagliate per principio.
L’effetto più vistoso di questo sentimento pubblico nei confronti della nostra storia è quello di confondere la prospettiva a coloro i quali, per ragioni anagrafiche, non hanno avuto l’opportunità di condividere direttamente la memoria con chi invece quella stagione l’ha vissuta. È da una storiografia della domenica, superficiale, o da un cattivo uso della divulgazione, che zampilla il liquame atto a inquinare le fonti e gli strumenti di costruzione, diffusione della conoscenza e della memoria sul fascismo, sull’antifascismo, sulla lotta di Liberazione e sulle stragi. Una presenza tossica che può essere molto sottile: il cattivo uso della storia, come il buon Dio secondo Flaubert o Aby Warburg, tende a nascondersi nei dettagli.
Prendiamo il caso di uno studente che affrontando lo studio delle vicende locali in relazione all’ultima fase della Seconda guerra mondiale volesse informarsi sull’eccidio fascista di Montemaggio, nei pressi di Siena, del 28 marzo 1944. Un eccidio perpetrato ai danni di un distaccamento partigiano, uno fra i molti lungo l’Appennino. Lo studente, grande consumatore di pixel, potrebbe provare a digitare alcune parole chiave su Google: Montemaggio, eccidio/Montemaggio, strage/Montemaggio, Montemaggio/partigiani.
Qualunque sia la combinazione, fra i primissimi link ecco apparire quello della voce dedicata all’eccidio presente su Wikipedia, l’enciclopedia libera. Andiamo a leggerla, dunque.
A un primo sguardo la voce riporta tutte le informazioni necessarie. I diversi utenti che si sono accostati alla sua costruzione hanno inserito notizie sulla data, sui luoghi, la dinamica, le vittime e i carnefici. Hanno messo insieme un certo numero di informazioni che si ritengono sufficienti a delineare il profilo storico dell’eccidio di Montemaggio. Anche dal punto di vista formale i wikipediani che hanno contribuito a strutturare la voce sembrano aver rispettato tutti i criteri necessari: nella sezione dedicata alla bibliografia appare il volume di memorie di uno dei partigiani scampati all’eccidio, Vittorio Meoni che fu in seguito instancabile testimone della lotta partigiana. Inoltre alla voce “Responsabili”, presente nel box di sintesi che compare nella parte in alto a destra dello schermo, campeggia senza ambiguità il link alla voce “Guardia Nazionale Repubblicana”, la milizia saloina. Tutto è in ordine? Il nostro studente potrà beatamente copiare-e-incollare parti della voce nel barbaro tentativo di perculare l’insegnante che gli ha assegnato una ricerca sull’eccidio di Montemaggio?
Se si vuol fare un serio lavoro di ricerca però – anche per un compito a scuola, una relazione di approfondimento sulla storia del fascismo e della Liberazione nei luoghi della propria vita – non ci si può accontentare di una singola fonte, tantomeno se questa è indiretta, come la pagina di un’enciclopedia digitale. Il fiero wikipediano ribatterà che la voce è già stata strutturata rispettando la pluralità delle fonti, presentata nella bibliografia e nei link ad altri siti di approfondimento, ma soprattutto rispecchiata dalla quantità di informazioni apportate dagli utenti che ci hanno lavorato. Tuttavia, l’idea della storiografia non è basata sull’accumulo di notizie. È qui che l’enciclopedia libera, rispetto alle questioni storiografiche, segna il suo limite più vistoso: una concezione cumulativa, incrementale e quantitativa della conoscenza che non riflette l’effettivo piano metodologico della ricerca[1].
Disporre di più informazioni su un evento non significa avvicinarsi maggiormente al vero. Questo avvicinamento che, faticoso e imperfetto, con la consapevolezza della pluralità di eventi e memorie, ci pare sintetizzare una possibile definizione sul ruolo della ricerca storica[2]. Non è la presenza di più persone che aggiungono il loro mattoncino, la loro parte, a garantire la qualità di una voce storica. Bisogna allora andare oltre l’accumulo d’informazioni. Libri, documenti d’archivio, fotografie, oggetti domestici, bandiere, cimeli, articoli di giornale, monumenti[3].
Oltre al reperimento e all’accostamento conflittuale delle fonti è necessaria una comunità che scambi punti di vista, impostazioni politiche, preconcetti, convinzioni, e che stabilisca priorità. È per questo che ci sono molti limiti d’impostazione in ciò che su Wikipedia si definisce come il punto di vista neutrale (Neutral Point Of View, )[4]. Si tratta di uno dei princìpi non negoziabili dell’enciclopedia libera, e consiste nell’imperativo categorico per i wikipediani di esporre nella maniera più asettica e avalutativa possibile l’insieme dei pareri sull’argomento oggetto della voce in costruzione. Nel nome di un ideale etico di tipo collaborativo, progressista e ottimista, per cui gli utenti sono tutti in buona fede e credono nel valore positivo della sorveglianza reciproca, viene rimosso un fondamentale punto di partenza del discorso storiografico contemporaneo.
Cioè che ogni storia procede attraverso condizionamenti e convincimenti del suo autore, del suo narratore e conduce sempre a un rapporto con il presente. E quando gli autori sono tanti e spesso nemmeno si conoscono, come gli utenti Wiki, pur mossi dalle migliori intenzioni, il risultato può essere molto problematico, per i motivi appena esposti. Se poi invece si conoscono – più o meno direttamente – e agiscono di concerto per determinare uno specifico punto di vista, le cose si fanno ancora più complesse[5]. Specie se poi si fa ricorso alla Chimera del punto di vista neutrale: un concetto, come abbiamo detto, ampiamente superato dalla storiografia contemporanea già verso la fine del XIX secolo[6].
Ma torniamo ai nostri compiti per casa. Provando a proseguire nella ricerca delle fonti si possono trovare altri articoli, pagine facebook schierate o “informative” e, finalmente, faticosamente, si arriva a un progetto importante, quello dell’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia. Fra i pochi strumenti on line basati su documenti d’archivio e bibliografia interamente citata, il progetto dell’Atlante è però scarsamente indicizzato, per questo motivo è davvero difficile, per chi non lo conosce, trovarlo durante una ricerca per la scuola o per un semplice desiderio d’informazione. Leggendo la scheda su Montemaggio ci imbattiamo in questa parte della ricostruzione:
Le vittime appartengono ufficialmente al distaccamento della “Spartaco Lavagnini” guidato da Velio Menchini detto “Pelo”, che opera dapprima nel bosco di Berignone (Casole). Nella notte tra il 21 e il 22 marzo compie un’azione a Montieri, contro fascisti locali che il giorno precedente avevano represso una manifestazione di protesta di donne (contro la chiamata alla leva dei loro figli), causando due vittime. Al momento di rientrare alla macchia, si decide di spostarsi sul Montemaggio, mentre in località San Gimignano un altro rastrellamento aveva portato alla morte dei due partigiani Delfo Giachi e Giorgio Camucci.
La manifestazione di protesta delle donne di Montieri è assente dalla voce di Wikipedia dedicata all’eccidio. Un’omissione importante perché questo tipo di azioni popolari restituiscono un contesto specifico alla lotta di Liberazione, fanno capire che non era “solo” una questione di contrapposizione ideologica: era una questione politica e sociale. La guerra colpiva la parte materiale della società, spezzava le famiglie e la loro capacità di produrre risorse. Per cosa s’imponeva, in quel caso, la leva obbligatoria contro cui si battevano le donne di Montieri del tutto assente nella pagina dell’enciclopedia libera? Per combattere al fianco dei nazisti. Si dirà, Wikipedia è imperfetta, non è uno strumento accademico, ma è frutto dell’intelligenza collettiva. E questo è il passaggio in cui l’alibi di uno strumento non sottoposto al controllo della comunità storiografica non impedisce a quella risorsa di essere visitata e utilizzata da milioni di utenti.
E forse il paradosso risiede appunto in questa immagine ambivalente. Nella diffusa fiducia acritica nella rete, mescolata all’indulgenza rispetto a una fonte non garantita scientificamente. Dove la dimensione collettiva non è sinonimo di cooperativa o partecipativa in senso di scambio e confronto fra fonti e ipotesi interpretative. La compresenza di soggetti si muove invece in un campo in cui la risultante è determinata storicamente dai rapporti di forza. Ci accorgiamo, infatti, confrontando la voce it.Wiki con la scheda di ricerca confluita nell’Atlante delle stragi, che nella voce sull’eccidio che stavamo osservando manca anche un altro elemento. Nel testo dell’Atlante si legge infatti:
La sera del 26 alcuni [partigiani, ndr] attaccano la vicina fattoria di Rencine, ove sapevano esserci Piero Brandini, proprietario della tenuta e capitano della milizia forestale. In un podere accanto catturano il capitano tedesco Enrico Rugen (addetto alla requisizione del bestiame): l’idea è arrivare a uno scambio di prigionieri originari della Val d’Elsa (Poggibonsi, San Gimignano e Colle Val d’Elsa) e reclusi nelle carceri di Siena.
Nella voce di Wikipedia il capitano tedesco non c’è: che anche lui sia sfuggito all’intelligenza collettiva? Esplorando il dietro le quinte del sistema Wiki – la cronologia delle modifiche accessibile liberamente su ogni voce dal link omonimo in alto a destra – ci imbattiamo in una modifica alquanto strana.
Perché Jose Antonio di cui conosciamo le imprese grazie alle di Nicoletta Bourbaki su Giap, elimina il capitano tedesco “addetto alla requisizione del bestiame”? Perché un passaggio così apparentemente secondario viene volontariamente cancellato?
La risposta al mistero dell’uomo che non c’era dovrebbe essere ormai chiara: la costruzione retorica della destra e della pacificazione nazionale spinge da tempo sull’idea di equiparazione fra repubblichini e partigiani. L’idea di una guerra civile intesa, contrariamente all’accezione storiograficamente fondata di uno più profondi libri di sempre, il Saggio storico sulla moralità della Resistenza, ma come volgarizzazione astratta, declamatoria, indifferenziata sui “morti tutti uguali” e sui “ragazzi di Salò”. Claudio Pavone scriveva infatti di tre guerre contemporaneamente combattute: la guerra civile, la guerra di Liberazione nazionale, la guerra di classe. Scriveva Pavone a Norberto Bobbio di non pensare alla “guerra civile” come «un concetto esaustivo» e che il titolo fosse il frutto di una discussione con Bollati, l’editore. Sosteneva il grande archivista e storico italiano, sempre scrivendo a Bobbio, di essere «convinto che le tre guerre spesso convivono, non senza contraddizioni, negli stessi soggetti individuali e collettivi. Si potrebbe anche dire che le tre guerre sono disposte una dentro l’altra». Distinte dunque le figure del nemico affrontato: nella guerra patriottica e di Liberazione l’occupante nazista, nella civile il fascista, in quella di classe il padrone, per l’emancipazione sociale. Una invece era la guerra di Resistenza che conteneva ragioni politiche e sociali per ricostruire il Paese dopo la dittatura fascista, a partire dai caratteri che si sarebbero riversati nella nuova Repubblica e che lo stesso Pavone ha studiato.
L’eliminazione del capitano tedesco produce un effetto di soccorso e consolidamento in favore di quella retorica che semplifica e cancella, che crea senso comune. Così la storia si legge come guerra fra italiani, fratricidio che va ricomposto in una pacificazione. Guerra civile sì ma questa volta nell’accezione più semplicistica e consolatoria. Senza occupazione nazista, omettendo le donne che protestano contro la leva obbligatoria per i loro figli; senza misurare il rischio della scelta partigiana, senza requisizione degli animali ai contadini, senza miseria né fame.
Spesso tornerà utile nella storia della Repubblica, come sostanza soporifera del conflitto, questa voglia di Union Sacrée. E se la sostanza soporifera viene inalata attraverso lo schermo di uno smartphone i suoi effetti possono essere devastanti.
* Riporta l’Atlante delle stragi che Enzo Busini «era di guardia, e non si ha certezza se venne colpito disarmato o mentre cercava di difendersi. Rimane il dato che alla fine è riconosciuto come “caduto in combattimento”». Giovanni Galli fu vittima di un’esecuzione individuale dopo la fine dei combattimenti da cui era uscito ferito a un braccio e a una spalla. Giovanni Galli e Enzo Busini sono infatti ricordati nell’area di Casa Giubileo, dove avvennero i combattimenti attraverso una lapide (Galli) e un cippo commemorativo (Busini), oltre che sul monumento insieme ai loro compagni. La scheda dell’Atlante riporta di 4 persone che riuscirono a fuggire, ma solo due sono i nomi indicati: Vittorio Meoni e Walter Bianchi.
(una versione più breve di questo articolo si trova in “Oltre il Ponte, Foglio di informazione della Rete Antifascista Senese“, n.3, luglio 2017)
Note
[1] Cfr. M. Gotor, L’isola di Wikepedia. Una fonte elettronica, in S. Luzzatto (a cura di). Prima lezione di metodo storico, Laterza, Roma-Bari 2010.
[2] Sul vero e sulla verità, sui significati di parole così cariche e dense, sul loro rapporto con la storia e col racconto, si veda C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero, falso, finto, Feltrinelli, Milano, 2006.
[3] Ogni studente di storia ha letto almeno una volta la voce di J. Le Goff Documento/Monumento, in Enciclopedia Einaudi, Torino, 1978, pp. 38-43.
[4] Pochi giorni fa il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki ha fornito un’utile ricognizione di alcune delle controinchieste finora dedicate alle voci Wiki, allargando il discorso storiografico e metodologico con osservazioni più generali ed esercizi pratici.
[5] Ormai cinque anni fa avevamo segnalato un caso in cui, proprio su Wikipedia, una descrizione suggestiva volesse apparire oggettiva poco dopo i fatti dell’Enrica Lexie, conosciuti giornalisticamente come “dei due marò” e relativi all’uccisione di due pescatori indiani a largo della costa del Kerala.
[6] La neutralità in storia, messa in discussione dalla nascita dell’approccio interpretativo, veniva rivendicata definendo la disciplina come la scienza che racconta i fatti così come sono avvenuti per parafrasare un fondamentale storico tedesco divenuto paradigma di questa accezione, Leopold von Ranke.