Michele Mari, “Roderick Duddle”: un diario di lettura in 24 note

Una lettura “sentimentale”, una serie di pensieri appuntati disordinatamente sul nuovo romanzo di Michele Mari, “Roderick Duddle” (Einaudi, 2014). 


Una mappa! Inizia con una mappa! E c’è anche la rosa dei venti! Ci sono l’Oca Rossa, il convento, la casa di Maggie, baie e porti, Castlerough, Corrigan Cape, Mowen Peak e altro. È disegnata a mano. Riprendo i fumetti di Michele Mari (ne I sepolcri illustrati, per esempio, ma anche nei disegni di Filologia dell’anfibio) e mi sembra che la mano sia la sua. La mia reazione a questo inizio è quella di alzarmi e andare a cercare nella mia libreria i libri che cominciano con una mappa. Alcuni li ricordo, altri li indovino. Jules Verne, Stevenson, tanti. Prendo quei libri, constato la presenza della mappa come se dovessi assicurarmi che nessuno abbia strappato quella pagina per partire a cercare chissà cosa, e poi li ripongo, perché è finalmente ora di cominciare a leggere.

2. L’apertura: due personaggi, i temibili Salamoia e Scummy, fanno i bulli con l’autore. Non vogliono credere che si chiami Michele Mari, non vogliono credere che sia veramente figlio di Iela ed Enzo Mari (“Endsow Murry”!), e non di Jenny la Magra, «quella che sciacquava i bicchieri all’Oca Rossa». I due scugnizzi finiscono per imporre all’autore una biografia e un nome: Roderick. Si potrebbe già scriverci pagine e pagine su punto di vista, mimesi, rapporto autore e personaggio e tutte quelle cose lì, ma non c’è tempo da perdere: c’è aria di avventura. Conosciamo Roderick fin dal suo pianto di neonato, lì all’Oca Rossa. Non appena morta sua madre Jenny la Magra muore, Roderick viene cacciato dalla locanda, e da lì comincia la storia. Roderick ha con sé un medaglione, chiave di una preziosa eredità: serve altro per giurare a questo libro fedeltà fino all’ultima parola?

3. Il narratore tratta il lettore con conflittualità, derisione: «Chi mi dà il diritto di continuare? Me lo dai tu, autorevole lettore?», o: «Che ti piaccia o no, mio volubile lettore, eccoci dunque nuovamente all’Oca Rossa», oppure: «E anche tu, meccanico lettore, se fossi…», «mio deludente lettore» e così via. Si ha talvolta la stranamente piacevole impressione di essere trattati come Salamoia e Scummy trattano Michele Mari nelle tre pagine d’apertura, ed è qualcosa di paradossalmente rassicurante.

4. «Si sentiva le palpebre cascare, spostò una pietra che gli pungeva il costato: sotto si scatenò un brulichio di minuscoli insetti, simili a pulci di mare; la maggior parte fuggirono in tutte le direzioni, ma alcuni, i più ardimentosi o i più inconsapevoli, o semplicemente i più affamati, rimasero attaccati al loro pasto: la spoglia ormai rinsecchita di un lungo verme. Verme della terra marcia, pensò Roderick, sei scappato ai gabbiani, ma guarda che fine che hai fatto… verme della terra marcia, fratello mio… E si addormentò». Non lo abbiamo ancora neanche mai sentito proferir parola, ma dopo le tre paginette del capitolo Vermi della terra marcia, il destino di Roderick ci sta a cuore quanto il nostro.

5. In tutto questo vorticoso inseguirsi, ingannare, torturare, scappare, i lampi poetici che ogni tanto scaturiscono sono folgoranti: «Dormi Salamoia, dormi finché ne hai il tempo. E se riesci, vedi di non sognare ciechi che bussino alla locanda, né ciechi né cani neri».

6. A pagina 106: «L’indulgente lettore mi perdonerà se la nostra penna, stanca di tanti lupi, si compiace di una nuova metafora». Sì, per ora ti perdono, ma se ne riparla a fine libro. A pagina 142: «Ma tu non scappare, mio lettore, perché sei avido di sapere, e perché ti ho scelto fra tanti, e perché, appunto, sei mio». Sì, lo sono.

7. A un certo punto, il narratore dice di non poter citare la puntualità degli orologi di un certo signor Dundee, perché sarebbe una scelta sospettabile di parzialità, «essendo nota l’amicizia che mi lega con al signor Dundee»: narratore, tu, ma chi sei?

8. Mentre si legge può venir pensato che questo libro lo potranno leggere anche i bambini, regalando dunque anche a loro la possibilità di leggere Mari. Ma l’apparizione di un personaggio ermafrodito complica le cose: non tanto lei, ma il fatto che si punti su di lei per solleticare certe passioni morbose di altri personaggi (ciliegina sulla torta: è una faccenda di suore!). Come glielo spieghiamo ai potenziali lettori più piccoli? Eppure, a pensarci bene, potrebbe essere l’occasione giusta. In fondo, Roderick Duddle un po’ “romanzo di genere” lo è già: basterà dare un’accezione diversa del termine “genere”, ed ecco fatto.

9. Il mio amico Andrea mi ha preceduto di qualche giorno nell’iniziare la lettura di Roderick Duddle. Quando gli ho detto che stavo per cominciarlo anch’io, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: «Dovrai avere molto tempo a disposizione, e subito». Io gli ho sorriso divertito. Ma ora capisco cosa intendeva. Aveva ragione. Non si riesce a staccarsi dal racconto, e ci sono solo le inarrestabili sempre troppe incombenze della vita quotidiana e della biologia minima – qualche ora di sonno e poco più – a strapparci il volume dalle mani. Arrivato a pagina 150, il ritmo non accenna a diminuire, e come farà a mantenere questa intensità per tutte le quasi 500 pagine è francamente qualcosa di difficile da immaginare… ma come abbiamo potuto permettere che ci togliessero fiducia nella letteratura di oggi al punto d’impedirci d’immaginare un romanzo che riesca a mantenere questa densità per tutta la sua generosa lunghezza?

10. «Integerrimo lettore, condannerai tu quest’uomo per la ricchezza della sua fantasia? Scaglierai la prima pietra della riprovazione? Attenderai invano, se speri che lo faccia io per te: angosciati anzi che io non venga a spiarti, per narrare di te». Un narratore che cerca di spaventare il lettore dicendogli che, se si azzarda a pensare di poter giudicare moralmente i suoi personaggi, allora rischia che lui si vendichi narrando anche la sua vita intima: non so se nella storia della letteratura si è mai vista una cosa del genere, ma di certo si prova una morbosa goduria.

11. I lampi sono continui e abbacinanti: «Pensa a tutto, vertiginoso lettore, somma le attese di tutti in ogni tempo e paese, e ti sfido a non immaginare il nostro pianeta come una palla proiettata nel nulla dalla smania di tutti e di tutto ad arrivare più in là, la smania di quella cosa lì, sì, quella che stai aspettando anche tu».

12. Se qualcuno incorrerà mai nella tentazione di pensare Roderick Duddle come un romanzo di formazione o un racconto edificante, ecco che l’autore ci fornisce una definizione di “edificazione”. Si racconta di come Salamoia passasse il suo tempo alla locanda dell’Oca Rossa schiacciando scarafaggi: «Gioco invero miserrimo e disgustoso, ma, in quanto portatore di un principio d’ordine nell’universo, non del tutto esente da ciò che potremmo definire come edificazione».

13. Ci sono alcuni riferimenti espliciti ad altri scrittori e altri libri. Per esempio, uno dei personaggi, Lemmy, è esattamente il Lemmy di Uomini e topi di John Steinbeck, e il capitolo in cui viene introdotto s’intitola Of mice and men. E poi, a pagina 211, si legge: «Come ha artisticamente mostrato il signor Poe con il suo racconto La lettera rubata…». E poi l’amato Pequod. Al di là di tutte le possibili riflessioni formali, rimane un fatto: uno che, fra le altre perle lucenti, ha scritto un racconto come Otto scrittori (incluso in Tu, sanguinosa infanzia) può citare chi gli pare, quando gli pare e come gli pare. Ha il mio permesso di «connivente lettore», come mi ha chiamato poche pagine fa.

14. Sono a metà romanzo e il ritmo non ha accennato a calare neanche per due righe. L’intensità è tale che la lettura diventa una sorta di trance. La trama è complessa, le vicende s’intrecciano, ma non mancano i punti della situazione. Qualsiasi corso di narrazione li sconsiglierebbe, ma qui funzionano alla grande: è una scelta legittima per il solo fatto che un racconto d’avventura così classico l’autorizza o c’è dell’altro? C’è dell’altro, e per ora limitiamoci a dire che il parametro discriminante è solo qualitativo, non formale. Se esprimi tale potenza letteraria, dei tanto vietati “riassuntoni” ce ne puoi mettere quanti te ne pare, e poche storie.

15. Colui che gestisce il seguitissimo profilo Twitter di Einaudi pochi giorni fa ha scritto che tenteranno di dare a Mari il pubblico che si merita. Sacra intenzione. Poi però è divertente trovare, a pagina 249, questo passaggio: «[…] per non incorrere nella taccia di scrittore popolare, sollecito soltanto di stuzzicare la malsana curiosità del suo pubblico con le spezie di una cucina piccante e con trovate sensazionali e a buon mercato».

16. Roderick scappa ancora e arriva al porto. Sale su una nave, la Rebecca, e chiede di poter imbarcarsi con loro. Ci siamo: si riprende il mare. La matrice stevensoniana, melvilliana e conradiana del romanzo è finalmente esplicita anche a livello tematico, per non parlare poi del romanzo marinaro di Mari stesso, La stiva e l’abisso. Ci s’imbarca, dunque. Arrivati a quasi trecento pagine di romanzo, ecco che si ha l’impressione di essere in procinto di cominciare a leggerne un altro, e di farlo con una trepidazione di altre età.

17. Diranno che i personaggi hanno una psicologia piatta da mediocre feuilleton. Diranno che non è altro che un calderone di stereotipi da romanzo d’avventura di due secoli fa. Diranno che è tutto posticcio. Diranno che per fortuna l’arte della narrazione ha fatto passi da giganti dai tempi in cui si scrivevano cose di questo tipo. Diranno che c’è stato il ’68, la crisi della borghesia e l’11 settembre e che allora i Roderick delle nostre immaginazioni dovrebbero rimanersene zitti e buoni nei loro orfanotrofi inesistenti. Diranno che la lingua si è evoluta e che questo libro è un passo indietro. Diranno tutte queste cose, ma ai mostri e ai demoni con cui Mari è amico fin dalla sua infanzia – e che sono amici anche di chi attraverso i suoi libri li ha incontrati e amati – basterà far capolino per pochi minuti dalle loro tenebre per sistemare a dovere chi lo avrà detto.

18. Ho inviato per email il frammento precedente ad alcuni amici con orecchie per intendere. Uno di loro mi ha risposto: «Se diranno cose del genere avranno addosso qualcuno molto più incazzato dei mostri di Mari, in carne e ossa».

19. Leggi Roderick Duddle e spesso vieni colto dalla nostalgia da quando da ragazzino ti emozionavi per racconti avventurosi di quel tipo. Ma quel che è chiaro è che la potenza narrativa quasi primordiale del libro quella nostalgia la fa provare anche a chi questo tipo di emozioni da piccolo non le ha provate, perché magari le sue passioni d’infanzia erano altre.

20. Gli accenni metanarrativi sono molti («secondo una logica che l’onesto lettore converrà con me nel definire non romanzesca», per esempio), ma non ce n’è uno che ci distragga dall’apprensione per le sorti di Roderick, Michael, Frank e di alcuni altri. La potenza letteraria del libro non lascia tempo per distrarci su queste riflessioni. Mi ero promesso di non avere su questo libro solamente uno sguardo di ammiratore, ma di mantenere vigili le pur poche e disorganizzate armi di lettore minimamente critico. Da questo punto di vista, il bilancio è disastroso: mi basta una nave pronta a salpare che poi chi se ne frega più dello sguardo lucido sul testo.

21. E adesso spuntano anche due Note del Traduttore. Ancora una volta: narratore, ma chi sei?

22. Il Capitano della Rebecca sceglie un cognome per Roderick, che lo accetta felice. Se ripensiamo all’inizio del libro, si capisce che il Capitano dunque quel cognome in realtà lo sceglie per l’autore. Ma, arrivati a questo punto del libro, anch’io vorrei tanto che il Capitano ne scegliesse uno anche per me, lettore fra i tanti, mozzo fra i tanti.

23. Bisogna aspettare pagina 334 perché spunti la parola “infanzia”, parola che fa saltare sulla sedia i lettori abituali di Mari. Infanzia: tu, sanguinosa.

24. «Mio paziente e tollerante lettore, che mi hai seguito passo a passo fin qui: immagino che sarai stanco, e desideroso di sapere come questa storia va a finire». No, mi dispiace contraddirti, non sono stanco, ma la fine del libro è arrivata lo stesso. «Noooo! Voglio essere Roderick! Voglio essere Roderick!», dice il narratore. Anch’io.

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