La via americana al fascismo.

È il 2016. In un piccolo villaggio a ventiquattro chilometri e un mondo di distanza dal lusso sbiadito di Sanremo c’è una vetrina vuota, a parte un adesivo con la faccia sorridente di Donald John Trump, presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Dentro il negozio c’è una foto di Jean-Marie Le Pen, l’irriducibile politico francese promotore di xenofobia e antisemitismo, e un calendario di Mussolini del 2005. “Make America Great Again”, mi dice in inglese: la sua camicia è aperta e rivela una nuova cicatrice di un’operazione al cuore, mentre nella stanza sul retro una donna con un forte accento dell’Europa orientale sgobba spogliando gli ulivi dai loro frutti. A una mezz’ora da qui, al pub Aquila Nera di Dolceacqua, questo signore è conosciuto come il “Fascista di Bajardo”. Al bar, i clienti discutono i meriti di Mussolini, senza la cui pianificazione urbana queste città non avrebbero strade adeguate, lamentandosi della presenza dei migranti al confine con la Francia e parlando con invidia della forza di un vero leader come Trump, che invece qui manca. Da americano, ero venuto a Dolceacqua per cercare di evitare l’ingresso in carica di un altro Presidente eletto nonostante la sconfitta nel voto popolare. Ma la presenza simbolica di Trump in questi villaggi ha messo in luce un’accoglienza del fascismo che mi ha davvero scioccato. In che modo gli italiani possono ancora sostenere quello che ha portato così tanta distruzione al mondo e a sé stessi?
Forse questo shock rivelava una certa ingenuità non solo verso l’Italia, ma anche verso il mio stesso Paese. Come “comunista” o “terrorista”, la parola “fascista” è spesso usata nella società americana per infondere paura o rabbia in un dibattito, raramente tuttavia con riferimento al contesto storico. Alle elementari, noi americani studiamo spesso le potenze dell’Asse come fonte di male e di odio che si propagano come il fuoco, fino a quando i virtuosi americani non intervengono eroicamente. Troppo raramente, invece, consideriamo le condizioni che hanno portato alla Marcia su Roma e all’occupazione di Addis Abeba, e i fattori culturali che hanno contribuito al consolidamento del potere fascista. All’elezione di Trump nel 2016, molti giovani hanno denunciato che una nuova era del fascismo stava nascendo negli Stati Uniti come se fosse uscita direttamente dai sogni di Trump. La realtà, però, è che anche negli Stati Uniti abbiamo una lunga storia di corteggiamento con fascismo e totalitarismo, benché ben nascosta.
Ci sono promemoria tangibili di questa eredità. Il video della manifestazione nazista a Madison Square Garden nel 1939, intitolata semplicemente e innocentemente “Pro-American Rally”, mostra 20.000 nazisti, o “Friends of New Germany”, che esultano quando un manifestante ebreo, Isadore Greenbaum, viene picchiato da americani vestiti da SS prima di essere salvato dalla polizia. Viene tirato giù dal palco, con i pantaloni alle caviglie. L’anno successivo, un esercito privato di 500.000 veterani disoccupati tenta un colpo di stato fascista contro il governo di Franklin Delano Roosevelt. Questo tentativo, guidato da diversi finanzieri di Wall Street e – si crede – Prescott Bush (padre del Presidente George H.W. Bush). È sventato dallo stesso FDR, ma senza conseguenza alcuna: perso nel tempo.
In entrambi questi casi, il presunto partito fascista è una minoranza che viene fermata dallo Stato. Come noto, questa dinamica è invece invertita nel romanzo Il complotto contro l’America di Philip Roth, dove la minaccia implicita è la soggettività del male, forse più che il nazismo storico. Nel libro, l’amato Charles Lindbergh vince la presidenza non con una piattaforma d’odio, ma di pace: in verità, il suo partito, l’“America First Committee”, era tanto anti-interventista quanto antisemita. Lindbergh non era l’unico sostenitore di questo partito nella realtà: John F. Kennedy, Gerald Ford, l’attrice Lillian Gish e molte altre figure illustri erano membri del più grande movimento contro la guerra del paese. Purtroppo per le loro rispettive eredità, era anche antisemita e filofascista.

Non sarebbe forse corretto dire che il fascismo di per sé propugna opinioni antisemite o teorizza la supremazia bianca, anche se oggi è difficile dirlo con certezza, dopo settantacinque anni di confronti iperbolici che hanno manipolato ampiamente l’ideologia iniziale. Possiamo comunque concordare sul fatto che il fascismo si fonda su una miscela di nazionalismo e totalitarismo: per una cittadinanza americana che sostiene così orgogliosamente il primo dei due termini, ci piace pensare a noi stessi come storicamente antitetici al secondo, una sorta di solitario bastione dell’individualismo in un mondo di comunisti. E in effetti, sebbene abbia esitato a definire esplicitamente il fascismo stesso, Hannah Arendt nel saggio La nazione lo delinea come l’assalto dello Stato all’individualismo:
Così come la sovranità della nazione si definì sul modello della sovranità individuale, anche la sovranità dello stato, in quanto stato nazionale, le rappresentò e (nelle sue varianti totalitarie) le monopolizzò entrambe. Lo stato conquistato dalla nazione divenne l’individuo supremo di fronte al quale tutti gli altri individui dovevano piegare la testa (H. Arendt, Archivio Arendt 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001, p. 242).
Ovviamente, il concetto americano di “maverick” (il cane sciolto orgogliosamente individualista e anticonformista) è stato a lungo limitato a un gruppo selezionato di maschi americani bianchi e ricchi. Prima e dopo l’“America First Committee”, da cui Trump sembra aver tratto gran parte della sua campagna, il governo degli Stati Uniti ha terrorizzato apertamente i non americani attraverso programmi politici, interventismo e capitalismo di sfruttamento. Ha terrorizzato apertamente anche gli americani non bianchi, dalla schiavitù alla prigione dei giapponesi-americani nei “campi di reinsediamento del periodo di guerra” tra il 1941 a 1944, alle cosiddette guerre della droga nelle nostre città. Niente di tutto ciò dovrebbe essere nuovo o scioccante per qualsiasi lettore, ma questi fatti meritano di essere ripetuti. Ciò che è scioccante è l’abbondanza della brutalità della polizia che si svolge oggi su raccomandazione del Presidente.

Molto inchiostro è stato sprecato per denunciare la mancanza di intelletto e di impegno di questo presidente, anche se ogni insulto è meritato. La verità è che il suo governo ha una grande capacità di comunicare le sue tendenze autocratiche con vari gradi di sottigliezza. Ad esempio, il 29 maggio Trump ha minacciato “quando inizia il saccheggio, inizia la sparatoria”, dopodiché ha dichiarato ANTIFA (un gruppo di persone il cui unico principio organizzativo è l’opposizione al fascismo, di fatto il termine con Trump designa tutti i manifestanti), come un’organizzazione terroristica. Questo linguaggio, insieme all’accresciuta militarizzazione della polizia, non è affatto il primo caso di fascismo nella storia dell’America. Ma potrebbe esserne la prima esplicita ammissione. Questa particolare citazione contro i cosiddetti “saccheggiatori”, nonostante la pretesa di ignorarne la fonte da parte di Trump, può essere ricondotta direttamente ai violenti e razzisti capi di polizia degli anni ’60 del sud degli Stati Uniti, da Bull Connor a Walter Headley. Queste due figure non sono punti di orgoglio nella storia americana; entrambi hanno avuto ruoli di rilievo nell’opposizione al Movimento per i diritti civili, un periodo che la maggior parte avrebbe definito un periodo luminoso nella storia americana dopo molti anni di oscurità. È sbalorditivo che una tale retorica non sia ora solo moralmente, ma politicamente accettabile da parte di un capo di Stato nel 2020. Questa è l’America.
Inoltre, l’aggressiva retorica contro il comunismo da parte dei politici americani (nonostante la politica del “socialismo per i ricchi” che continua a definire quest’epoca) potrebbe anche ricordare ad alcuni in Italia il ruolo della CIA nel reprimere la sinistra con la bomba di Piazza Fontana, o del programma COINTELPRO dell’FBI per screditare i comunisti in America. Ma questi sforzi erano segreti, e Connor e Headley potevano essere scartati come aberrazioni regionali, reduci di un’epoca più ignorante. Anche Richard Nixon – che era senza dubbio un paranoico razzista e omofobo che godeva della sottomissione dell’Altro attraverso una maggiore presenza militare in nome del patriottismo – ebbe la decenza di mantenere private le sue invettive più incendiarie. Nixon visitò persino i manifestanti contro la guerra del Vietnam al Lincoln Memorial nel 1970 per “sollevarli un po’ dalla misera terra intellettuale in cui ora vagano”. Trump, invece, ha ordinato alla polizia attaccare con lacrimogeni i manifestanti in modo da poter posare con un libro che ci viene detto essere una Bibbia.

Ora, Trump e i suoi alleati hanno chiarito che non hanno una grande considerazione per chiunque non si sottometta al suo “marchio”, anche quando quel marchio supporta la violenza diffusa contro gli afroamericani. Il razzismo sistemico che, secondo il Washington Post, ha provocato l’omicidio di 1.262 afroamericani dal 1° gennaio 2015 non è iniziato con Trump, ma ha certamente conosciuto una forte accelerazione quando è stato annullato l’ordine esecutivo 13688 di Barack Obama che impediva al governo federale di aiutare le forze di polizia locali ad acquistare attrezzature militari. Ora questo disprezzo per la vita umana è stato esteso a tutti i manifestanti pacifici, che la polizia sta brutalizzando apertamente e senza conseguenze. Forse questo è ciò che Trump intende quando si definisce “la persona meno razzista al mondo”. Grazie all’armatura a livello di supereroe garantita – secondo Fortune Magazine – da cento miliardi di dollari di budget nazionale annuo, la nostra polizia può finalmente sfuggire alla delicata politica dell’identità e abbracciare l’ideale forte e maschile proiettato da un leader che indietreggia in un bunker sotto la Casa Bianca. Giustamente, è stato detto che Trump non ha causato razzismo e divisioni in America, ma li ha semplicemente resi evidenti. Ora stiamo scoprendo che lo stesso si potrebbe dire dell’amore del Paese per gli autocrati: l’individualismo americano è vivo e vegeto, e Trump è semplicemente l’espressione di questo. Se non ti piace, ti verrà spezzato il cranio da un uomo in un’anonima uniforme nera.
Alla fine, la domanda principale rimane senza risposta: l’America è ora nel mezzo di un periodo veramente fascista che porterà alla sua rovina? In quanto studente universitario americano in Italia – lontano da questi eventi orribili – non ne posso al momento avere la certezza. Ma immagino che il Fascista di Bajardo e i suoi amici siano abbastanza soddisfatti di come stanno andando le cose.
In homepage: il 1° giugno, la polizia di Spokane, Washington, arresta tredici persone per protestare contro la morte di George Floyd (The Spokesman-Review via Associated Press, ph. Dan Pelle)