Il 27 febbraio presso la Sala storica della biblioteca degli Intronati di Siena, si è inaugurata la mostra “Mario Luzi. Un segno indelebile. Presenze e incontri in terra di Siena”. Una rassegna di scritti, immagini e video che testimoniano le tracce del poeta nella storia del territorio senese.
La mostra, presso i locali della biblioteca comunale, è aperta fino al 21 marzo, dal lunedì al sabato.
Si tratta davvero di una retrospettiva intima quella proposta fino al 21 marzo presso la Sala storica della Biblioteca degli Intronati di Siena. Di Mario Luzi, Firenze classe 1914, conosciamo bene il legame profondo con Siena, con i luoghi e le suggestioni offerte dal contatto con i suoi elementi naturali e artistici. Ce lo ricordano sin da subito il bianco e nero della foto della locandina, con lo sguardo di Luzi in direzione dell’obiettivo durante una passeggiata per un sentiero di campagna; è il ricordo del legame con il territorio, ma anche la messa a fuoco di un momento intimo, personale di un uomo che racconta se stesso a partire dai luoghi e dalle persone che lo circondano. Lo sguardo sul poeta si snoda attraverso il racconto che ne fanno i suoi stessi scritti, in particolare le corrispondenze con gli amici – Fortini e Parronchi –, le dediche scritte a lapis sulle opere prime, le foto di quegli anni.
Il materiale proveniente dai fondi della Biblioteca Umanistica di Siena, dal Centro Studi Mario Luzi “La Barca” di Pienza e dalla Biblioteca degli Intronati è estremamente vario. Per chi abbia curiosità e pazienza di scrutare la minuscola e precisa calligrafia di Franco Fortini, la sua corrispondenza con Luzi costituisce una testimonianza di notevole interesse e testimonia un dialogo e un’affinità fra i due poeti portati avanti attraverso gli anni, nella diversità di vedute e nel rispetto reciproco.
Dalle lettere di Fortini traspare una stima verso l’amico maturata nel lungo e ininterrotto desiderio di comprenderne la sensibilità poetica, distante dalla sua, ma pur riconosciuta e apprezzata. Sono le parole stesse di Fortini a testimoniarlo, sia nell’intimità della corrispondenza personale, che negli scritti pubblici.
Da una lettera del 29 agosto 1973 di Fortini a Luzi:
Ma per l’occasione leggendo cose tue mi sono persuaso dell’importanza capitale di “Su fondamenti invisibili”, mentre al confronto, anche le cose migliori di “Dal magma” perdono lume. Mi pare che questo coincida con l’opinione di Agosti; anche se non occorrerebbe dirlo, dissento dal modo dell’indagine e dai suoi sottintesi. Ma importa i testi tuoi, non quelli dei critici.
Ancora il 9 novembre 1980 da Fortini arriva un incitamento esemplare all’amico:
Ma è tutto il resto – e che resto! – che mi sembra dire, come io non saprei, verità importanti: sul lavoro di resistenza, l’insegnamento, la diffidenza per ogni coordinamento dell’attività dello scrittore ad opera dello Stato.
Il 9 aprile 1979:
So di essere stato, a te e a pochi altri, spina fino al fastidio; ma anche, in qualche modo, aiuto. Per amor di questo perdonami quella e credimi tuo.
Il 5 ottobre 1980:
Per quanto è dei versi, capisco (ho sempre capito) che accetti solo i “teneri e amori a parte”. Credo che tu non mi renda giustizia. “I testi non si leggono isolati ma nel loro co-testo, come si dice,… raccolta, opera intera”, dice qui ancora Mengaldo a p. 141. dirò di più: credo che le tue riserve insuperabili sull’esserci del mio libro siano, nello stesso tempo, una delle mie amarezze peggiori e più costanti e, spes contra spem, una promessa – quella che tu chiami l’emblema che il tempo conferirà. Se tu hai “potuto” negarmi (negare i miei versi, voglio dire, e non è la stessa cosa) per tutta la vita, quella vita di cui dici così bene nella prima parte del tuo contributo – ma allora questa rimozione ha un senso e quello è il mio senso.
E ancora il Fortini pubblico:
F. Fortini, Poesie inedite, Dopo i sessanta
Mario, Vittorio, amori e cari non amici!
Lo so. Senza di me,
o meno bravi o più felici.
Secondo Fortini in Luzi, ma più generalmente nei poeti vicini alle sue posizioni, l’esperienza della guerra e del dopoguerra erano serviti a far comprendere non solo semplicemente la vita, ma il valore quasi morale di un’esistenza esprimibile solo in maniera limitata attraverso la forma poetica. Il testo lirico in Luzi aveva offerto una possibilità di equivalenza assoluta fra i vari aspetti della vita per lui importanti, quella religiosa, morale e intellettuale.
Si può forse allora considerare l’allestimento preparato per questa mostra come un tentativo di scrutare Luzi attraverso la soggettività di coloro che nel tempo hanno incrociato i loro cammini con il suo. E in questo senso può offrire una preziosa testimonianza a chi voglia accostarsi alla sua poesia.
Da Su fondamenti invisibili
Il fiume
Quando si è giovani
e uno per avventatezza o incuria
segna senza badarvi il suo destino,
molti anni o pochi giorni
di vita irredimibile pagata tutta
o più tardi quando l’uomo non è più lui
e come dimesso da un giudizio
si regge con moti cauti
in una sopravvivenza minuziosa,
in un tempo e nell’altro
in cui meno forte stride,
meno crepita questo fuoco greco,
il fiume sceso giù dal giogo
non ha tutte le voci
che oggi mi feriscono festose
e cupe in vetta a questo ponte aguzzo.
Il fiume allora ha una voce sola
o vitale o mortale. Chi l’ascolta
ha un cuore solo o greve o tempestoso.
«Tu che tieni stretto il filo
di refe nel labirinto
dove sei che si scinde in tante voci
la voce che mi guida» esclamo io
non si sa bene a chi,
compagno fedele o ombra.
Sotto pruni di luce, oltre le pile,
fiammeggia a scaglia un’acqua ambigua
tra moto ed immobilità. Fa freddo,
pure scendono in molti per le ripe
alle barche legate ai pali, in molti
tentano il fiume e la sua primavera
su e giù con i remi e le pagaie.
«Felici voi nel movimento» dico
mentre fisso dal ponte
chi naviga con abbandono o lena
e guardo come crea
nel molteplice l’unità la vita; la vita stessa.
***
Da Tre poemi, Il pensiero fluttuante della felicità
I morti male, coloro che cadono
quando non ci sono più lacrime
se non i lucciconi del piccolo,
dopo Hiroshima, dopo Mauthausen…
Ah vorrei almeno intravederlo
il dio accecante che avanza
da crimine a crimine, e penetra
l’umano di una chiarità d’empireo.
Lui che prende luce dalle sue vittime
e cresce, canto fermo da cicala
a cicala dell’estate, nella maturità dei tempi,
nella pienezza della storia, dicono,
o l’altro, non importa, fermo nell’unità del mondo,
che parla a che ne è degno, certo, più di me,
minatore votato a morte nella miniera,
poeta che non sta al gioco dell’arte.
Mi conosci questi pensieri
non di meno mi parli di felicità, e io ascolto.