Sulla poesia di Mario Galzigna.
Mario Galzigna, epistemologo e studioso di psichiatria, già docente di Storia della scienza e di etnopsichiatria all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è spento pochi giorni fa nella sua casa di Padova. Nel 2011 è uscito Storia di una passione, suo unico libro di poesia, in una raffinatissima edizione del Poligrafo di Padova.
Il tema del libro – lo sviluppo e lo spegnersi graduale di una passione per una giovane donna – viene racchiuso in una struttura poetica potremmo dire concettuale, in cui le emozioni, le fantasie, le pulsioni e le intemperanze di una relazione sono lucidamente ricondotti a un ordine superiore, estetico e formale, che l’autore costruisce tramite la costanza del verso (sempre endecasillabo canonico), le citazioni da letterati e filosofi illustri poste in note alla fine di ogni componimento, e alcune parti in prosa (il prologo, due prose poetiche, la lunga dedica che apre il libro), tutti elementi che, in fin dei conti, strutturano il libro in una forma ibrida tra poesia e saggio filosofico. Le note, in particolare, parlano al lettore del contributo di insostituibili illustri compagni con i quali, in una sorta di coro immaginario, Galzigna dialoga nei momenti di travolgente passione, di sofferenza, di solitudine e senso di vuoto che il ricordo di un rapporto d’amore finito sempre lascia dietro di sé. Proprio la presenza di queste note, inattese in un libro di poesia, costituisce un elemento di originalità che valorizza ulteriormente la raccolta: esse ne fanno parte integrante, sono poesia come i versi, e forniscono le coordinate letterarie e filosofiche per orientarsi nell’esperienza psichica dell’autore.
Si tratta, del resto, di un libro dialogico nell’essenza, così com’era Mario. Non sono solo le note però, a testimoniare un dialogo continuo con l’altro, ma anche la dedica, articolata e raffinata, a Giovanni Raboni – che con Mario si confrontò per un certo tempo sulle poesie – e a diversi altri studiosi, intellettuali e amici tra cui Eugenio Borgna, autore della postfazione. Altro elemento di prosa, questa volta diaristica, è la presenza di data e luogo di composizione (o d’ispirazione) alla fine di ogni componimento, elementi temporali che scandiscono nel ricordo dell’autore, come piccole pietre miliari, il suo viaggio nella storia d’amore finita. Un elemento, questo delle date, che generò una diatriba tra Raboni e Mario, col primo che voleva assolutamente eliminarle e Mario che s’incaponì a lasciarle. E credo che fece bene a lasciarle, perché coerenti con le caratteristiche ibride del testo e con l’importanza che per Mario aveva il tema della temporalità dell’esistenza del singolo.
Il verso dicevamo, un endecasillabo canonico libero da rime e assonanze, che fluisce regolare grazie anche a un lessico sempre misurato e a una punteggiatura frequente che scandisce ulteriormente il ritmo delle riflessioni dell’autore: «Preferisco pensare in solitudine / ritrovando la forza, l’abbandono, / i furori del sangue e della mente: / senza di te, stelo tremante, instabile, / dolce canaglia, tenera bambina.» Il modo di usare la punteggiatura, più tipico della prosa, è di certo un elemento che marca queste poesie delimitando e mettendo ordine nei pensieri, per comprenderli, per oggettivarli, per riportare la realtà sotto l’ala protettiva della ragione in un momento di grande euforia e di grande dolore in cui tutto trema: «In un lontano autunno tenebroso / – lo ricordi? – piangevi, deliravi, / pativi la mia resa e l’abbandono – / Ho voluto rispondere al tuo pianto: / ho scelto la rivolta ed il ritorno // Ora tu vivi altrove – scherzi e ridi / con borghesi educati, fatui e ignari – / e non sai né pensare né rivolgerti / ai miei tremori e alla mia fermezza». Lo sforzo di oggettivare, di riprendere in qualche modo il controllo si riflette anche nell’elencazione ossessiva di certi ricordi, di alcuni elementi apparentemente secondari dei periodi passati assieme alla donna amata, di episodi minimi della quotidianità. «Ti chiedo solo un gesto di commiato: / regalami a dicembre, te ne prego, / quell’agenda Pineider – la ricordi? – che mi donavi sempre a fine d’anno», oppure «Lontano dal tuo complice sorriso / ritorno, solo, nella casa vuota / Guardo il telefono, silente e inviso, / contemplo le tue foto e le tue pose: / l’abito verde, corto e semiaperto, / le tue gambe svettanti, luminose, / le caviglie sottili, affusolate, / le calze bianche, con richiami ai bordi, /la palpebre socchiuse, trasognate». Il periodare, nel suo articolarsi ampio, rimane sempre impeccabile; il lessico è ricercato e preciso, con un’aggettivazione sovrabbondante sì ma mai superflua e che sa diradarsi al momento opportuno. Si tratta di aspetti tipici della prosa di Mario.
Lo sforzo di trovare un senso negli eccessi dell’animo in preda alla passione carnale e all’innamoramento, alla paura e alla dipendenza reciproca, costituisce un’altra cifra essenziale, questa volta contenutistica, dei testi. La passione erotica è il vincolo primordiale e oscuro che lega gli amanti, generando al contempo una sensazione di soffocamento e di voluttà, da cui l’io del poeta tende a districarsi ma in cui spesso finisce fatalmente per ricadere. «Usando l’arte della seduzione sradicavi il piacere dagli affetti. / Divenni amante e schiavo di quell’arte: / complice ludico e appassionato / che incoraggiava le tue dipendenze». L’erotismo come motore psichico del rapporto e come mezzo per giungere a una più profonda conoscenza dell’altro quindi; un erotismo tuttavia che non è mai carnalità scissa ma si accompagna alla tenerezza, al sentimento profondo, alla complicità, alla gioia della condivisione con l’altro: «Solo così puoi ricordare, Giulia, / le mie carezze lente, elettrizzanti, / e i brividi che coprono la pelle: / un arabesco erotico, esclusivo, che ricamava sempre le tue gambe». È una concezione romantica dell’amore quella di Mario – «a un amore sincero, senza rischi / io preferisco una passione accesa: / lo spasimo dei sensi e della mente, / l’intimità vissuta e condivisa» – in cui sia la mente che il corpo spasimano fino a dissolversi. L’amore, intriso di passione carnale, diventa una via di fuga per dimenticare il mondo grigio e convenzionale («matema scolorito e senza volto»), dimensione privilegiata in cui ritrovare la pace immergendosi totalmente nel presente. È anche un amore innocente, in cui l’io inizialmente si riscopre bambino e amante del gioco, perdendosi ad assaporare momenti di complicità estrema con l’altro.
Ma è solo un periodo; il poeta vede infatti gradualmente dissolversi l’illusione di questa complicità perfetta. La donna dei desideri, preda delle convenzioni sociali – «la noia e la viltà del mondo» – finisce gradualmente per allontanarsi e diventa un oggetto freddo e poco comprensibile, non più in grado di soddisfare la voglia di autenticità infantile del poeta. La ragionevolezza del buon senso soffoca l’io dell’amante in preda al desiderio panico di infinito, di autenticità, che solo l’immersione nel piacere intimo dei sensi può dare, dimensione agognata perché dissolvendo i vincoli razionali della quotidianità rappresenta, per il poeta, una via privilegiata alla accesso all’altro. La paura di oltrepassare le convenzioni e di perdersi veramente nell’altro, la paura di accettare in sé tutte le componenti, anche estreme, dell’amore, conducono incredibilmente l’amata – amante ormai avaro – a un utilizzo strumentale del poeta, che diviene oggetto a volte di una pulsione scissa e incontrollata – «la sua panica e sfrenata cupidigia, / che tu hai raccolto, paga, senza amore» – altre di un freddo narcisismo – «Ho sofferto in silenzio l’ultima sera, sul bordo della piscina, […] non te ne sei accorta. Stavi leggendo un’antologia di testi futuristi».
Così, in una sorta di climax discendente, nella seconda parte della raccolta accanto al progressivo e inevitabile distacco dall’amata, si staglia il processo del lutto – per dirla in termini psicoanalitici – in cui l’immagine della donna, inizialmente angelo di perdizione sensoriale e di gioco spensierato, diventa reale nei suoi limiti, nelle sue mancanze e finisce per ispirare la creatività e non più solo l’amarezza dell’autore. Il poeta può finalmente distaccarsi e ricordare la donna perché è riuscito ad attingere nuovamente al nucleo profondo e benefico dell’essere (il proprio), ritrovandosi e andando oltre il dolore della perdita, come espresso magistralmente dall’autore nei due versi a chiasmo: «Ho scoperto me stesso nel distacco. / Ho scoperto te nella mancanza.» L’io riconquista infine, in questo processo di elaborazione della perdita, la possibilità di tollerare la solitudine, condizione necessaria per riappropriarsi di sé dopo un grande dolore, per riuscire nuovamente «a scrivere e a pensare».
Dell’esperienza vissuta, dell’armonia perduta alla fine rimarrà solo il ricordo, quella «profonda rimembranza» che radica il soggetto nella storia e gli conferisce il suo specifico peso esistenziale. Il superamento del dolore consente di ricordare, come detto, più serenamente ciò che è stato perduto, assaporando con nostalgia i suoi aspetti buoni e quelli più negativi, e consente, soprattutto, di tentare l’ironia. Infatti, filtra soprattutto nella parte finale del libro una certa divertita leggerezza rispetto a quanto è stato vissuto e alle illusioni di chi ama. In questa rivisitazione lieve dell’esperienza della perdita, l’arte, la conoscenza e la creatività diventano una fonte di speranza per l’io, un motivo di rinascita e di ritorno alla vita: «ora io sono pronto a ripartire / verso lidi lontani e inesplorati / […] / insorgono le forze sconosciute / d’un opera in perpetuo movimento, / che si rinnova giorno dopo giorno; / ritrovo in lei la quiete e l’energia: / volontà, desiderio, intelligenza». La storia dei due amanti descritta nel libro diventa la rappresentazione dell’amore come rapporto in cui convivono caos e ordine, pulsione sfrenata e razionalità, dinamica che ha il suo corrispettivo nel contrasto tra rigidità formale dei versi, punteggiatura saggistica e argomentazione filosofica da un lato e tensione erotica e libertina nei contenuti dall’altro. Una dinamica che ben si ricollega al concetto di «sintesi disgiuntiva» di Deleuze, come tensione dolorosa ma creativa e apportatrice di conoscenza tra elementi opposti e non conciliabili – unico modo di mantenere l’ambiguità e lo scontro di poli differenti – che Mario riformula e approfondisce in altri lavori, primo tra tutti il uso bellissimo Rivolte del pensiero (Boringhieri, 2013).
Il tema dell’alterità dunque come dimensione conflittuale ma arricchente è uno dei temi centrali del libro. L’altro da sé come portatore di gioia e di dolore, di crisi e di crescita, a patto che l’io si lasci coinvolgere nella relazione fino a perdersi in essa, oltrepassando i propri limiti identitari e le convenzioni di una morale comune portatrice di vincoli ottusi che limitano la libertà di essere. Non a caso, due componimenti che si trovano nella parte iniziale e finale della raccolta, individuano proprio nella configurazione psicoanalitica dell’Edipo (la dimensione della castrazione e della colpa) un potenziale rischio per la libertà del soggetto di amare e di darsi: «l’immagine del padre ti minaccia / vorrei che la sua legge fosse cenere… / vorrei che tu non mi legassi mai / al suo sembiante e alla sua parola».
Sul finire di questo viaggio, occorre menzionare le due brevi prose che l’autore inserisce nella silloge. Si tratta di sbocchi necessari per una poesia che, pur regolamentata nel suo fluire da una struttura del verso ben definita, tende naturalmente alla prosa poetica e filosofica, e ad esse saltuariamente s’affaccia lasciandoci intravedere squarci di paesaggio ancora più intensi e delicati. In queste prose l’autore continua a riflettere, creando atmosfere malinconiche e rarefatte, sulle gioie segrete e i travagli del proprio legame amoroso, sull’incapacità di contatto degli amanti, su se stesso in rapporto all’altro.
Un unico poema sembrano formare tutte le poesie di Storia di una passione, un unico componimento senza soluzione di continuità che include integralmente gli inserti narrativi, le prose, le note a piè di pagina, la dedica, il prologo, le date, a dimostrare l’apertura dell’autore verso la multidimensionalità dell’essere e dell’arte, verso l’integrazione di varie forme di scrittura. Quest’unità risulta fondamentale per comprendere il testo, lasciandoci con la speranza che ci sia sempre la possibilità di riemergere dall’abisso di un amore finito grazie anche alla potenza rigeneratrice della letteratura.
Si può così concludere con le parole dell’autore, molto delicate, tratte dalla prosa conclusiva della silloge Un mondo ancora possibile, parole che sono un inno e pieno di luce alla poesia e allo scorrere del tempo: «La poesia – ridando vita e spessore alle rimembranze – può diventare una finestra perennemente dischiusa, che riconduce il nostro sguardo inquieto ai bagliori di una luce nuova, agli enigmi misteriosi di un futuro indecifrabile, ai percorsi ancora ignoti della speranza e dell’attesa».