Una marina di libri 2016: un TweetGlossario

Il lavoro culturale ha partecipato all’ultima edizione di Una marina di libri, dal 7 all’11 giugno, all’Orto botanico di Palermo. Abbiamo assistito ad alcuni degli eventi più interessanti in programma, raccontandone i passaggi salienti in diretta su Twitter, e ad altri incontri abbiamo dato il nostro contributo diretto. Ecco ora rielaborate le giornate palermitane attraverso la formula del TweetGlossario. Il TweetGlossario di Una Marina di Libri è stato realizzato da Marco Mondino, Cecilia Cruccolini, Maria Teresa Grillo e Lorenzo Alunni.

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Assassino – Il protagonista di “Severo, ma giusto” è un critico letterario che uccide gli scrittori, perché «un vero critico che faccia seriamente il proprio mestiere impedisce agli autori sbagliati di farsi sentire». La storia di questo personaggio pericolosamente zelante verso il proprio mestiere costituisce il secondo racconto di Storie assassine di Bernard Quiriny, talento letterario di origine belga noto al pubblico per un’altra raccolta di prose brevi, La biblioteca di Gould (sempre per L’Orma Editore). La scelta della forma breve, dice Quiriny, deriva dall’idea stessa che si ha in mente: come nella boxe, ci sono idee che hanno il peso forma da racconto e altre col peso forma da romanzo. Le sue hanno quello del racconto. Come sottolinea Elisabetta Bucciarelli, che insieme all’editore Flabbi presenta il libro, il cinismo e il paradosso in Quiriny hanno sempre un approdo comico, divertente; la sua lettura è partecipazione. Questo aspetto sembra confermato dalla personalità stessa dell’autore il quale, serio e inaccessibile per tutto il tempo della presentazione, inizia a concedersi al pubblico solo dopo qualche domanda giocosa e quasi mai davvero impertinente di Bucciarelli – «Adesso me lo fa un sorriso? Molto bene, grazie». È successo anche quando gli chiede di immaginare di essere costretto a scegliere tra i suoi due mestieri (Quiriny è insieme scrittore e critico a propria volta). L’autore, di nuovo serio, dichiara che non ne sarebbe in grado. Poi arrossisce di nuovo e sorride: «Provo un certo imbarazzo per questa domanda».

Copione – Si dovrebbe tornare a leggere teatro. Lo dicono lo scrittore Giorgio Vasta (Il tempo materiale, Spaesamento) e la regista Emma Dante, in un incontro in cui si presenta il testo teatrale de Le sorelle Macaluso (Glifo edizioni). Si tratta di uno degli ultimi spettacoli di Emma Dante: per alcuni uno dei suoi più belli. All’incontro a Una marina di libri, la regista palermitana ha raccontato la nascita dei suoi spettacoli, il modo di lavorare con gli attori, le procedure abituali e tutto quello che rimane fuori da ciò che vedrà lo spettatore. Giorgio Vasta ha avuto modo di assistere a quella fase e assicura che meriterebbe quasi la stessa attenzione dello spettacolo stesso. Ma l’incontro si concentra sulla questione del testo, e proprio il caso del teatro di Emma Dante è uno dei più paradossali e interessanti: a vedere i suoi spettacoli – un approccio teatrale più “fisico” e “gestuale” di tanti altri – è capitato proprio di chiedersi quale fosse la funzione del testo, della parola pronunciata o “agita” in relazione a quella fissata su un copione o sulla pagina di un libro. Nel discuterne a Palermo, Emma Dante racconta, suscitando sorrisi, che per lei arriva il momento di fissare il testo sulla pagina solo quando è ora di andare in scena o di registrare quel testo alla Siae. Ma sia Dante che Vasta si sono trovati d’accordo nel fare appello a un nuovo ritorno alla lettura dei testi teatrali, che costituiscono a loro avviso una forma letteraria autonoma e dalle forti potenzialità espressive. Erano presenti in sala due attori della compagnia di Emma Dante, la Sud Costa Occidentale. A un certo punto, a uno dei due viene chiesto di leggere un passo dal libro che si sta presentando. Si è alzato, ha raggiunto il leggìo e ha cominciato a leggere. Dopo poco, ha afferrato il libro in mano e ha scansato il leggìo, e ha continuato a leggere. Dopo ancora un po’, ha chiuso il libro e lo ha poggiato sopra il tavolo, e ha continuato a pronunciare a memoria il testo che stava leggendo. È passato gradualmente dalla lettura alla recitazione. Veniva da chiedersi se credere di più al libro o a lui.

Errare – Nell’incontro sulla lingua si è parlato anche del pericolo di usura delle parole e Giorgio Vasta ha riportato l’esempio di Maylis de Kerangal autrice di Lampedusa, libro ideato a partire da una presa di coscienza: dopo un po’ che vengono usate, alcune parole si svuotano del proprio significato. De Kerangal si accorge che «Lampedusa» sta subendo questo destino, ormai svuotata e opaca nonostante la drammaticità del proprio referente. La scrittrice allora dà avvio a un percorso di riappropriazione della parola compiendo un giro apparentemente illogico, attraverso altre immagini, film, scene e ricordi che le associa. Il libro è proprio il resoconto di questo percorso di riappropriazione erratica compiuto dalla mente della donna mentre è seduta e ascolta la radio, un viaggio del quale Vasta ricorda a braccio alcune “tappe”: da Tomasi di Lampedusa a Burt Lancaster, attore del Gattopardo che recitò da protagonista nel film tratto da Il nuotatore di Cheever, in cui il suo personaggio decide di fare ritorno nella propria villa attraversando a nuoto le piscine dei suoi vicini; l’autrice di fronte al proprio volto riflesso in treno verso la Siberia; Bruce Chatwin e le sue poesie che accompagnano quel viaggio. Insomma, per riprendersi «Lampedusa» de Kerangal va altrove. È il processo del racconto, dice Vasta, a permettere questa riattivazione, è la deviazione erratica, la letteratura, a permettere di riappropriarci delle parole erose. Ma il narrare lo si impara solo leggendo, aggiunge Valerio: chi scrive non potrebbe mai fare a meno di leggere, perché «leggere ti insegna a stare in altri luoghi».

Grafica – A Una Marina di Libri la presenza degli editori è quasi raddoppiata, rispetto alle precedenti edizioni, e gli ottanta stand presenti quest’anno hanno permesso ai lettori di conoscere da vicino un’ampia produzione editoriale indipendente. Il festival prende vita non solo attraverso gli eventi ma anche tra i banchetti e nelle chiacchierate tra editori e lettori che di anno in anno consolidano il loro rapporto. Un giro per l’Orto Botanico è uno dei modi per apprezzare e conoscere da vicino i progetti grafici degli editori presenti, tra classici inconfondibili, restyling in grado di dare una nuova identità a progetti editoriali già consolidati e tentativi ancora poco maturi.

Spiccano le bianche copertine di Hacca, quelle cartonate e colorate di Sur, il nuovo progetto di Iperborea che mantiene saldo il suo formato ma cambia il font, la grafica, l’impaginazione e inserisce la sovraccoperta, le illustrazioni delle copertine Corrimano, alcune della quali realizzate dalla giovane artista georgiana Ketevan Jorjoliani, l’originale identità grafica di Del Vecchio o ancora l’eleganza di Henry Beyle. Tra le novità di quest’edizione la presenza di NN editore che con le sue diverse collane e una consapevole e ben definita ricerca grafica si è subito imposta nel panorama editoriale italiano. Di come “vestire le parole” se ne è parlato durante uno dei dibattiti del festival a cui hanno partecipato Gianluigi Ricuperati,  Paola Lenarduzzi, Stefano Salis e Roberto Speziale. Celebri “case studies” editoriali e una riflessione sul ruolo del grafico sono stati il punto di partenza per una discussione che si è concentrata sul ruolo della comunicazione visiva nell’oggetto libro e sulla possibilità di costruire nuovi alfabeti, senza paura di ripercorrere strade già battute. Il grafico deve allora apparire come un analista (vedere ciò che c’è) e un visionario (vedere ciò che non c’è ancora) e al contempo avere la capacità di connettere insieme più linguaggi, registri e media. A una ricerca sul cartaceo va però affiancata anche una riflessione sull’editoria digitale con l’auspicio di un ragionamento critico più esigente nei confronti di un oggetto ancora sospeso tra fraintendimenti e improvvisazioni.

 

 

Isola – Pantelleria è un racconto che ne dispiega altri, un intreccio che si costruisce linguisticamente già a partire dai nomi con cui è stata chiamata in passato: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent-el Rhia. Il giornalista e scrittore Giosuè Calaciura, durante la presentazione del suo libro (Contromano, Laterza), ricorda come “Pantelleria è senz’altro uno dei posti al mondo in cui il linguaggio si è trasformato in geografia” e considera la mappa stessa di Pantelleria come “una babele, una vertigine”. Quella natura unica di Pantelleria, di cui scriveva Cesare Brandi in un libretto uscito per Sellerio alla fine degli anni Ottanta, viene ribadita da Calaciura che ne restituisce la storia, le forme di vita e la esplora nei suoi spazi esterni ed interni, nel suo essere natura e cultura e in quella forma di seconda natura rappresentata dal giardino. Pantelleria così guarda al mare ma guarda soprattutto alla terra, vista l’importanza che riveste la dimensione agricola, guarda all’Isola madre e anche alla Tunisia. Calaciura ricostruisce il rapporto tra Pantelleria e gli scrittori ricordando che lì alloggiarono Truman Capote e Gabriel García Márquez. E proprio a Márquez Calaciura dedica un intero capitolo ricostruendone l’arrivo e la permanenza nel 1969. Lo scrittore colombiano molti anni più avanti in un’intervista affermerà che Pantelleria è il posto più appropriato per pensare alla luna. E proprio da questi luoghi e da quest’isola prenderà ispirazione per il racconto L’estate felice della signora Forbes.

Lingua – Quando Giorgio Vasta, Chiara Valerio e Matteo Trevisani iniziano a presentare il numero 73 di Nuovi Argomenti dedicato alla lingua, si capisce presto che al centro della conversazione ci sarà il rapporto fra la lingua e il reale, un nesso spesso trascurato ma che mette a nudo le viscere eminentemente politiche della lingua. Come dice Valerio, torrenziale e lucidissima in questo excursus, la lingua è una faccenda di memoria, ecco perché la lingua è politica. E la memoria è fondamentale, senza la memoria del passato non c’è l’immaginazione del futuro. Durante il berlusconismo si faceva scarso uso delle subordinate, dominava la paratassi: tutto veniva presentificato, non ci si rapportava con il passato e questo implicava dimenticarsi facilmente di cosa era stato fatto. Vasta aggiunge il legame con la televisione: il cambiamento del linguaggio televisivo ha influenzato quello politico che tra gli anni ‘80 e ‘90 inizia a contrarsi, a ridursi all’accumulo emotivo: ci si interrompe a vicenda, ci si parla addosso; il punto e virgola diventa un punto esclamativo (curioso che proprio in quel periodo si sia sviluppata una realtà come la Lega). A proposito di questa ondata di semplificazione e contrazione della lingua, Valerio torna a insistere sul lato politico: meno parole abbiamo per descrivere la realtà, meno presa abbiamo su di essa. Per questo è importante leggere: la lettura è una forma di educazione civica.

Mompracem – A Emilio Salgari l’Orto botanico di Palermo, dove si è svolta Una marina di libri, sarebbe piaciuto molto. Quelle piante e alberi gli avrebbero richiamato alla memoria quei luoghi lontani dove non era mai stato e che eppure aveva saputo descrivere – creare – così bene nei suoi libri.  E non solo: a Salgari sarebbe piaciuto molto lo scenario in cui Michele Mari ha tenuto una lezione proprio su di lui. Sotto una sorta di grande baobab. Mari ha confidato al pubblico che nessuno scrittore lo commuove quanto Salgari, insieme a Jack London. Ha ammesso però di non riuscire a rendersi conto bene di quale possa essere l’effetto della lettura di Salgari su persone che non lo hanno letto anche durante l’infanzia. In ogni caso, Michele Mari ha tenuto molto a sfatare la credenza troppo diffusa di Salgari come scrittore di serie B, uno scrittore senza “stile”: ma nei suoi libri la storia arriva sempre con forza, e se non c’è stile questo non potrebbe succedere. Per non parlare del suo metodo nella documentazione al limite dell’ossessione, e dell’esattezza e dell’inventività linguistica dei termini che si ritrovano nei suoi libri. Mari ha raccontato la vita di Salgari – scrittore di accentuata scorrettezza politica, per così dire – e alcune note salienti della sua biografia di scrittore, come quel tavolino traballante su cui scriveva e sotto il quale non volle mai mettere una zeppa, perché quel traballare lo faceva sentire di più nel bel mezzo degli impeti che stava creando sulle sue pagine. La vita a suo modo noiosa, una sola e misera esperienza di navigazione, la routine da forzato della scrittura, e poi il suicidio a colpi di rasoio, maledicendo i suoi editori: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna».

Orto Botanico – Il protagonista costante dell’intero festival – scenografo versato, per nulla neutro – è stato l’Orto botanico. Fondato nel 1770 dall’Accademia dei Regi Studi a favore della cattedra di Botanica e Materia medica, trasferito nella sede attuale (già famosa perché vi avvenivano i roghi della Santa Inquisizione) nel 1786, con i suoi diecimila ettari ha mitigato la calura estiva del giugno palermitano e ha aiutato a perdersi nelle storie raccontate, grazie al ficus magnolioide che pare uscito dalle avventure Salgariane, alle ninfee, le piante carnivore e le altre migliaia specie vegetali disposte secondo la tassonomia linneiana.

Un contesto esotico e al contempo totalmente immerso nel tessuto urbano (come i luoghi che hanno ospitato le precedenti edizioni: Palazzo Chiaramonte Steri, Museo di Storia Patria, GAM) che ha contribuito a raggiungere cifre che, soprattutto al Sud, non sono frequenti per l’editoria. Alla sua settima edizione il festival, promosso dal Centro commerciale naturale “Piazza marina e dintorni” con le case editrici Navarra e Sellerio, ha ospitato duecentocinquanta eventi e ottanta editori indipendenti che hanno venduto in tutto diecimila copie. E con la progettazione di una biblioteca dell’editoria indipendente si impegna a creare un rapporto di continuità tra l’evento e la città.

Postino – Angelo Ferracuti è l’autore, fra le altre cose, de Il costo della vita. Storia di una tragedia operaia (Einaudi, 2013), sull’incidente che nel 1987, nei cantieri navali di Ravenna, costò la vita a tredici operai. Un libro importante. A Palermo, invece, ha parlato di Andare, camminare, lavorare. L’Italia raccontata dai portalettere (Feltrinelli, 2015). Quando un importante manager di Poste Italiane ha saputo di avere fra i suoi dipendenti uno scrittore come Angelo Ferracuti, gli ha subito chiesto di scrivere un libro sui portalettere d’Italia. Ricevute garanzie sull’indipendenza di cui avrebbe potuto godere, Ferracuti ha accettato ed è partito per un viaggio di sei mesi in molti luoghi d’Italia. A Una marina di libri ha raccontato di essere partito con molto pessimismo sul Paese, ma di essere tornato con molta energia. Ferracuti – che ha lavorato come portalettere per quindici anni – per questo libro ha unito le sue anime di scrittore, reporter di viaggio e narratore del mondo del lavoro. Questo libro è un giro d’Italia fatto affiancando i portalettere e ascoltando il racconto della loro quotidianità e delle zone dove operano. Ce ne sono alcuni che sentono una forte vocazione sociale: per esempio, il postino di Alba che va a consegnare sempre la posta nel campo rom locale perché i suoi colleghi si rifiutano di farlo.

Riviste – Il programma di Una marina di libri ha incluso il seminario Scrivere e leggere online: orientamenti e focus delle riviste culturali sul web. Erano rappresentate le riviste on line Le parole e le cose, il lavoro culturale e Doppiozero. Dopo alcuni scambi sui criteri che guidano il lavoro di queste riviste, in particolare con un decalogo letto da Marco Belpoliti a proposito del lavoro redazionale di Doppiozero, il confronto si è presto spostato sulla diversa composizione delle redazioni (le tre riviste presenti si basano su strutture e risorse diverse fra loro), e sulle posizioni e le possibilità che una parte consistente dei loro autori e redattori hanno rispetto al mondo accademico, editoriale, e non solo. Succede allora che la semplice constatazione di situazioni di fatto venga scambiata per una rivendicazione passiva, se non per una sorta di alibi generazionale. A Palermo è risultato di nuovo chiaro quanto questi nuovi – o relativamente nuovi – spazi della critica culturale e politica non siano al riparo da vecchie forze spesso poco salutari per gli equilibri del dibattito e per la legittimità della presa di parola dalle diverse posizioni in cui si trova chi in quelle riviste scrive o vorrebbe scrivere. Alle generazioni che stanno subendo di più il disastro dell’università e della ricerca anche in Italia tocca insomma anche la preoccupazione che le proprie constatazioni sulla propria condizione vengano travisate per mancanza di rispetto verso il lavoro che si fa nelle università italiane e in retoriche vittimistiche. Del resto, cos’è il vittimismo? Comportarsi da vittima senza però essere realmente vittima di niente? «Il potere non esiste, il potere è solo quello che si attribuisce», è stato detto durante l’incontro: ma sarebbe forse più appropriato destinare questa riflessione al concetto di vittimismo, e non a quello di potere, perché il rischio è quello di riprodurne i meccanismi perfino in un orto botanico in un assolato sabato mattina palermitano.

Siria – Shadi Hamadi è autore di due libri sull’attuale situazione in Siria: il recente Esilio dalla Siria e La felicità araba, entrambi per l’editore Add. Nato in Italia da madre italiana e padre siriano, Hamadi ha un percorso biografico che lo ha portato a farsi quasi portavoce in Italia della drammatica situazione in Siria. A Una marina di libri, Hamadi ha raccontato con impeto quello che sta accadendo, sottolineando il colpevole paradosso della cecità che l’Europa e l’Occidente in generale stanno ancora mostrando verso il massacro siriano. «Siamo sempre a parlare di Isis o della dittatura di Assad – ha detto Hamad a Palermo – ma dimentichiamo tutto quello che c’è in mezzo, e cioè il popolo siriano». C’è uno sterminio in corso. Negli ultimi anni la Siria è diventata la terra dell’impunità: fra armi chimiche, violazioni delle convenzioni internazionali e altri crimini di guerra, in Siria avvengono continuamente scempi per le quali il minimo sarebbe dover comparire di fronte a un tribunale internazionale; eppure questo non avviene mai. Dal palco di Una marina di libri, Hamad ha parole dure per molte categorie: per i giornalisti occidentali, che perlopiù vanno in Siria senza saper parlare una parola d’arabo e offrendo una prospettiva strumentalmente mediata; per gli intellettuali europei, che per la Siria non si stanno mobilitando in nessun modo; per le autorità religiose del Paese, sia musulmane che cristiane, per la loro collusione con il regime di Assad; e così via. «Io non voglio venire qui fra qualche anno a celebrare la “Giornata della memoria” del popolo siriano», ha detto Shadi Hamadi. Pur con i suoi punti problematici, il suo intervento palermitano è stata una scrollata per tutti coloro che lo hanno ascoltato. La tragedia siriana non è né un fatto del passato di cui rivendicare la memoria né un rischio futuro dal quale mettere in guardia: sta avvenendo in questo momento.

Traduzione – Non esiste traduzione senza traduttore: potrebbe sembrare lapalissiano. Ma questo mestiere in Italia si muove ancora in una landa selvaggia, contrattualmente (ed eticamente) parlando. Per promuovere «il riconoscimento dei rispettivi ruoli e diritti di editori e traduttori», Odei, Slc-Cgil e STradE hanno redatto delle linee guida per contratti e pratiche editoriali che possano fungere da riferimento etico nella stesura dei contratti. La convinzione alla base è che un buon funzionamento, anche economico, del sistema editoriale non può esistere senza un’etica dei rapporti e senza la collaborazione tra i soggetti coinvolti. Cinque punti scandiscono i temi chiave delle linee guida:

La traduzione ci conduce dritti a un altro incontro, tra i più intensi del festival: “I fiori li avrebbe comprati lei”, dedicato a Mrs Dalloway. Al centro della discussione è la nuova traduzione Einaudi, a settant’anni dalla prima. Insieme alla scrittrice e studiosa Chiara Valerio, la traduttrice Anna Nadotti mette a fuoco i temi emersi durante una versione italiana che, finalmente, non deve pagare dazio alla strisciante censura né alla altrettanto pericolosa relegazione alla sfera dei sentimenti subita da Virginia Woolf. Incastrate alla perfezione tra i punti e virgola che, citando Giorgio Vasta, sono considerati il sintomo di una mente analitica, trovano finalmente il giusto peso il tema della guerra vista da una città, Londra, che all’epoca era capitale di un impero, così come la consapevolezza del declino che quello stesso impero stava vivendo. Ed emergono sequenze inedite: per esempio, il bacio in bocca di Sally Seaton che era stato trasformato nel bacio a un fiore. Basta un attimo, e il ficus dell’Orto botanico diventa un’oasi in un parco di Londra, un mercoledì di giugno del 1923.

 

Edizioni Precarie a Una Marina di Libri
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