Il manifesto redatto dai popoli indigeni sulla relazione tra futuro e colonialismo.
Il 19 marzo di quest’anno il gruppo nord americano Indigenous Action ha lanciato nel suo sito il Manifesto Anti Futurista Indigeno. Indigenous Action (originariamente Indigenous Action Media) è un movimento fondato nel 2001 con l’obiettivo di fornire comunicazioni strategiche e supporto diretto all’azione per la difesa delle terre sacre della comunità indigena. È un gruppo volontario, radicale, di creativi e agitatori di un media indigeno anticolonialista e anticapitalista. Esso lavora, in modo collettivo, per la liberazione della Madre Terra e tutti gli esseri viventi. Nel corso degli ultimi 10 anni ha organizzato centinaia di azioni, marce, workshop e conferenze.
Come ricorda Gianluca Schinaia: «Survival International, il movimento mondiale che difende i diritti dei popoli indigeni, stima che le tribù del pianeta conterebbero oltre 430 milioni di persone. Di questi, circa 150 milioni di individui appartengono in senso stretto ai “popoli tribali”, ovvero 5.000 comunità in 70 Paesi sparsi nei cinque continenti. Malgrado i numeri, queste persone rimangono pressoché inascoltate». La negazione dell’altro non è che la forma estrema su cui si basava il dominio coloniale e che dimostra sempre più come – malgrado il presunto superamento del colonialismo nel passaggio alla “modernità” – in realtà, la stessa continui a riprodurre e ad affinare la stessa logica del colonialismo. Una logica che si basa sull’universalità, secondo la quale ciò che è stabilito da una certa parte di mondo, e dai loro abitanti, è universalmente giusto: una logica che per essere messa in discussione, da noi donne e uomini occidentali, richiede di essere affrontata su due piani.
Da una parte vanno prese in considerazione le direttive su cui si basa la nostra formazione basate su valori occidentali, consumistici e di iperproduttività. L’abbiamo visto molto bene in questi ultimi mesi di lockdown, lo sforzo sovrumano – effettivamente sovrumano perché non teneva conto della situazione di anormalità e il suo impatto emotivo – che è stato richiesto ai bambini o a giovani adolescenti. Si tratta, quindi, di mettere in discussione la logica a cui siamo abituati a riferirci, in cui il soggetto epistemico produce la verità attraverso un monologo interiore con sé stesso, senza una relazione con nessuno al di fuori di sé (Grosfoguel, 2008). Secondo Comaroff: «L’universalità presunta dal liberalismo occidentale non risiede nel fatto che i suoi valori siano trattati come universali ma in un senso molto più radicale: sta nel fatto che gli individui si riferiscono a sé stessi come “universali”».
Dall’altra parte, qualcosa di molto simile è palese nella divisione uomo-donna/natura. Racconta Ailton Krenak, indigena del popolo Krenak, nel suo libro Ideas para adiar o fim do mundo (2019): «Ho letto la storia di un ricercatore europeo del XX secolo che si trovava negli Stati Uniti e giunse a un territorio degli Hopi. Chiese che qualcuno del villaggio gli facilitasse un incontro con un’anziana che voleva intervistare. Quando si recò ad incontrarla la trovò vicino ad una roccia. Il ricercatore rimase ad aspettare fino a quando, senza sapere cosa fare, chiese: “Non mi parla?”. E il suo mediatore rispose “Sta parlando con sua sorella”. “Ma è una pietra?”. “Qual è il problema?”.
Sono queste metastasi che dobbiamo curare leggendo il Manifesto che segue.
Il testo è accompagnato da una serie di immagini di artisti indigeni brasiliani. Denilson Baniwa è un artista visuale nato a Barcelos, nello stato di Amazonas, appartenente al popolo Baniwa. Il suo lavoro, che fa uso di diversi supporti e linguaggi, mescola rimandi tradizionali e contemporanei, e si appropria di icone occidentali per trattare la lotta giornaliera dei popoli indigeni.
Jaider Esbell è un artista visuale, scrittore e produttore culturale indigena del popolo Makuxi. I lavori qui presentati, parte della mostra It was Amazon/Era uma vez Amazônia – realizzata nel 2017 – trattano in forma provocatoria temi centrali come arte, Amazzonia, indigeni, sostenibilità, effetti locali/globali; temi che si sommano alla resistenza e segnalano l’urgenza di una nuova politica in relazione alle popolazioni indigene amazzoniche.
L’ultima immagine, si riferisce al Manifesto (2010) di Graça Graúna, scrittrice indigena del popolo Potiguaras. Il Manifesto era parte della mostra ReAntropofagia, tenutasi nel 2018 e curata dello stesso Denilson e da Pedro Gradella. Il titolo della mostra fa riferimento al Manifesto Antropofagico (1928) di Mario de Andrade, maggior esponente del modernismo brasiliano. Commentando l’esposizione in una corrispondenza privata, Denilson afferma: «Io trovo geniale (il desiderio del movimento antropofago di divorare tutto, nda)! E per questo penso che sia importante vedere come tutto quello che esprime sia diventato insignificante oggi. È stato modificato al punto che poco è rimasto dell’idea iniziale. Dobbiamo riprendere il discorso di come l’antropofagia sia oggi necessaria per ripensare il discorso sulla colonizzazione, e trovare questi mezzi di incontro in Brasile. È esigere nel senso antropofagico originario di divorare tutto quello che esiste, ma senza usare le posate francesi!» (Burocco, 2018).
… Questa è una trasmissione da un futuro che non accadrà. Da un popolo che non esiste…
Ripensare l’Apocalisse: un manifesto anti-futurista indigeno
«La fine è vicina. O è già venuta, e passata prima?»
Un antenato
Perché riusciamo ad immaginare la fine del mondo, ma non la fine del colonialismo?

Viviamo il futuro di un passato che non è il nostro.
È una storia di fantasie utopiche e idealizzazione apocalittica.
È un ordine sociale globale patogeno di futuri immaginati, costruito sul genocidio, sulla schiavitù, sull’ecocidio e sulla rovina totale.
A quali conclusioni si deve giungere in un mondo fatto di ossa e metafore vuote?
Un mondo di finali feticizzati calcolato tra la finzione collettiva di spettri tossici. Dai tomi religiosi, all’intrattenimento scientifico immaginario, ogni linea temporale immaginata costruita in modo così prevedibile; inizio, metà e, per concludere, La Fine.
Inevitabilmente in questa narrazione c’è un protagonista che combatte contro un nemico Altro (una appropriazione generica della spiritualità africana/haitiana, uno “zombi”?), e un avviso spoiler: non sei tu o io. Tanti sono avidamente pronti ad essere i soli sopravvissuti dell'”apocalisse zombi”. Ma queste sono metafore intercambiabili, questo zombi/Altro, questa apocalisse. Queste metafore vuote, questa linearità, esistono solo all’interno del linguaggio degli incubi, sono allo stesso tempo parte dell’immaginario e dell’impulso apocalittico. Questo modo di “vivere” di “cultura” è in realtà dominio, che consuma tutto a proprio vantaggio. È un riordino economico e politico per adattarsi a una realtà che poggia su pilastri della concorrenza, della proprietà e del controllo, nella ricerca del profitto e dello sfruttamento permanente. Professa “libertà”, ma la sua fondazione è basata su terre rubate, in quanto la sua stessa struttura è costruita da vite rubate.

È proprio questa “cultura” che deve sempre avere un Altro Nemico, da incolpare, rivendicare, confrontare, schiavizzare e uccidere.
Un nemico subumano a cui qualsiasi forma di estrema violenza non è solo permessa, ma che ci si aspetta di subire. Se non ha un Altro immediato, ne costruisce meticolosamente uno. Questo Altro non è fatto di paura, ma la sua distruzione è guidata dalla paura. Questo Altro è composto da assiomi apocalittici e angoscia permanente. Questo Altro, questa malattia di Weitko (i), è forse meglio sintetizzata nel suo stratagemma più semplice, che è quello del nostro rifacimento silenziato:
Loro sono sporchi, Loro non sono adatti alla vita, Loro sono incapaci, Loro sono incompetenti, Loro sono usa e getta, Loro sono non credenti, Loro sono indegni, Loro sono fatti per il nostro beneficio, Loro odiano la nostra libertà, Loro sono privi di documenti, Loro sono queer, Loro sono neri, Loro sono indigeni, Loro sono meno di, Loro sono contro di noi, fino a quando, finalmente, non esistono più.
In questo costante mantra di violenza riformulata, sei o Tu o loro.
È l’altro che viene sacrificato per una continuità immortale e cancerosa. È l’altro che é avvelenato, bombardato, lasciato tranquillamente sotto le macerie. Questo modo di non essere, che ha infettato tutti gli aspetti della nostra vita, che è responsabile dell’annientamento di intere specie, dell’intossicazione degli oceani, dell’aria e della terra, della devastazione e del rogo di intere foreste, dell’incarcerazione di massa, la possibilità tecnologica dell’esistenza di armi da guerra che potrebbero porre fine al mondo e il riscaldamento delle temperature su scala globale, questa è la politica mortale del capitalismo, è una pandemia.

Una fine che è già avvenuta
L’invasione fisica, mentale, emotiva e spirituale delle nostre terre, corpi e menti da stabilirsi ed esplorare è chiamata colonialismo. Le navi navigavano su venti avvelenati e maree insanguinate attraverso gli oceani. Spinte con un respiro superficiale ed un impulso alla schiavitù, milioni e milioni di vite si estinsero silenziosamente prima di poter nominare il loro nemico. 1492. 1918. 2020…
Coperte con armi biologiche, il massacro del nostro parente il bufalo, lo sbarramento dei fiumi che ci danno la vita, l’incendio della terra non contaminata, le marce forzate, la prigione dei trattati, l’educazione coercitiva attraverso l’abuso e la violenza.
Giorno dopo giorno, il dopoguerra, il post-genocidio, che commercia l’umiliazione post-coloniale del nostro lento suicidio di massa sull’altare del capitalismo; lavoro, reddito, pagare l’affitto, bere, scopare, allevare, andare in pensione, morire. È sul ciglio della strada, in vendita nei mercati indiani, serve bevande al casinò, rifornisce i negozi, gli indiani amichevoli sono di nuovo lì, tu.
Questi sono i doni degli infestanti destini manifesti, questo è quell’immaginario futuristico che i nostri rapitori ci farebbero perpetuare e a cui ci vorrebbero fare partecipare. L’imposizione spietata di questo mondo morto è stata guidata da un’utopia idealizzata come Charnel House, è stato “per il nostro bene” un atto di “civiltà”.
Uccidere l'”indiano”; uccidendo il nostro passato e con lui il nostro futuro. “Salvare l’uomo”; imponendo un altro passato e con lui un altro futuro.

Questi sono gli ideali apocalittici dei violentatori, razzisti ed etero-patriarchi. La dottrinale fede cieca di coloro che possono solo vedere la vita attraverso un prisma, un caleidoscopio fratturato di una guerra infinita e totale.
È un apocalittico che colonizza la nostra immaginazione e distrugge simultaneamente il nostro passato ed il nostro futuro. È una lotta per dominare il significato umano e tutta l’esistenza. Questo è il futurismo del colonizzatore, del capitalista. È allo stesso tempo ogni futuro rubato dal saccheggiatore, dall’inneggiatore alla guerra e dallo stupratore.
Questo ha sempre riguardato l’esistenza e la non-esistenza. È un’apocalisse, attualizzata. E con la sola certezza che sia una fine mortale, il colonialismo è una peste.

I nostri antenati hanno capito che questo modo di essere non poteva essere motivato o negoziato. Non poteva essere mitigato o redento. Hanno capito che l’apocalittico esiste solo in assoluto.
I nostri antenati hanno sognato contro la fine del mondo
Molti mondi sono passati prima di questo. Le nostre storie tradizionali sono strettamente intrecciate con il tessuto della nascita e della fine dei mondi. Attraverso questi cataclismi abbiamo acquisito molte lezioni che hanno plasmato chi siamo e come dobbiamo stare gli uni con gli altri. I nostri modi di essere vengono informati nella ricerca dell’armonia attraverso la distruzione dei mondi. L’ellisse. Nascita. Morte. Rinascita.
Abbiamo una mancanza di conoscenza di storie del mondo che fa parte di noi. È il linguaggio del cosmo, parla in profezie a lungo scavate nelle cicatrici in cui i nostri antenati sognavano. È la danza-fantasma, i sette fuochi, la nascita del Bufalo bianco, la settima generazione, sono i cinque soli, è scritto in pietra vicino a Oraibi e oltre. Queste profezie non sono solo predittive, ma sono state anche diagnostiche e istruttive.

Siamo i sognatori sognati dai nostri antenati. Abbiamo attraversato il tempo tra i respiri dei nostri sogni. Esistiamo allo stesso tempo con i nostri antenati e le generazioni non nate. Il nostro futuro è nelle nostre mani. È la nostra reciprocità e interdipendenza. È il nostro parente. È nelle pieghe dei nostri ricordi, gentilmente aperte dai nostri antenati. È il nostro tempo del Sogno collettivo, ed è Ora, Prima, Domani, Ieri.
L’immaginazione anti-coloniale non è una reazione soggettiva ai futurismi coloniali, è un futuro anti-colonizzatore. I nostri cicli di vita non sono lineari, il nostro futuro esiste senza tempo. È un sogno, non colonizzato.
Questo è l’anti-futuro indigeno

Non ci preoccupiamo di come i nostri nemici nominino il loro mondo morto e di come riconoscano e certificano noi o le nostre terre. Non ci preoccupiamo di rielaborare i loro modi di gestire il controllo, o di onorare i loro accordi o trattati morti. Non saranno costretti a porre fine alla distruzione prevista per il loro mondo. Non li suppliciamo di porre fine al riscaldamento globale, poiché è la conclusione del loro imperativo apocalittico e la loro vita è costruita sulla morte della Madre Terra.
Seppelliamo l’ala destra e l’ala sinistra insieme nella terra che loro hanno tanta fame da consumare. La conclusione della guerra ideologica delle politiche coloniali è che i popoli indigeni perdono sempre, a meno che non ci perdiamo noi stessi. I capitalisti e i colonizzatori non ci condurranno fuori dai loro futuri morti.
L’idealizzazione apocalittica è una profezia che si autoavvera. È il mondo lineare che termina dall’interno. La logica apocalittica esiste all’interno di una zona morta spirituale, mentale ed emotiva che si cannibalizza. È il morto risorto per consumare tutta la vita.
Il nostro mondo vive quando il loro mondo cessa di esistere.
Come anti-futuristi indigeni, siamo la conseguenza della storia del futuro del colonizzatore. Siamo la conseguenza della loro guerra contro la Madre Terra. Non permetteremo allo spettro del colonizzatore, ai fantasmi del passato di perseguitare le rovine di questo mondo. Siamo l’attualizzazione delle nostre profezie.
Questa è la riemersione del mondo dei cicli.
Questa è la nostra cerimonia
Tra cieli silenziosi. Il mondo respira di nuovo e la febbre si attenua.
La terra è tranquilla. Aspettando che la ascoltiamo.
Quando ci sono meno distrazioni, andiamo nel luogo in cui sono emersi i nostri antenati.
E la loro / nostra voce
C’è una canzone più antica dei mondi qui, cura più in profondità di quanto la lama del colonizzatore possa mai tagliare.
E lì, la nostra voce. Siamo sempre stati guaritori. Questa è la prima medicina
Il colonialismo è una peste, il capitalismo è una pandemia.
Questi sistemi sono anti-vita, non saranno costretti a curarsi.
Non permetteremo a questi sistemi malati corrotti di recuperarsi.
Ci diffonderemo.
Siamo gli anticorpi

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Nel nostro passato / vostro futuro sono stati attacchi non sistematici e non lineari a infrastrutture vulnerabili ed essenziali come stazioni di servizio, corridoi di trasporto, fonti energetiche, sistemi di comunicazione, e altro, che hanno reso impossibile il colonialismo in queste terre.
- La nostra organizzazione era cellulare, non richiedeva movimenti formali.
- La cerimonia era / è la nostra liberazione, la nostra liberazione era / è la nostra cerimonia.
- Abbiamo onorato i nostri insegnamenti sacri, i nostri antenati e le generazioni future.
- Non ci siamo presi il merito per niente. Non abbiamo emesso comunicati. Le nostre azioni erano la nostra propaganda.
- Abbiamo celebrato la morte della solidarietà di sinistra e il suo romanticismo apocalittico miope.
- Non abbiamo preteso nulla dai capitalisti / colonizzatori.
(i) Weitko, Wintko, Windgo, Wiitiko: non umani che popolano le cosmologie di alcuni popoli nativi americani. Esseri umani ma trasformati in insaziabili non umani antropofagi, con l’interno del corpo congelato e che vedono, ascoltano e annusano gli umani come prede.
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Qui La versione originale del Manifesto appare nel sito di Indigenous Action il giorno 19.03.2020
Denilson Baniwa è artista visuale indígena del popolo BANIWA, Artista-Jaguar, NeoCabano
Jaider Esbell è artista visuale, scrittore e produttore culturale indígena del popolo Makuxi.
Graça Graúna fa parte del gruppo Escritores Indígenas, é ricercatrice nell’area della letteratura e dei diritti umani
Referenze:
Gianluca Schiania, 2020. I popoli indigeni e il virus una lotta per la sopravvivenza. Avvenire.it disponibile online in https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-popoli-indigeni-e-il-virus-una-lotta-per-la-sopravvivenza;
Ramón Grosfoguel, 2008. Para descolonizar os estudos de economia política e os estudos pós-coloniais: Transmodernidade, pensamento de fronteira e colonialidade global, Revista Crítica de Ciências Sociais, n. 80, p. 115-147. Diponibile online in http://journals.openedition.org/rccs/697;
Jean and John Comaroff, 2015. Theory from the South: Or, how Euro-America is Evolving Toward Africa, Reutledge Ed.;
Ailton Krenak, 2019. Ideas para adiar o fim do mundo, São Paulo, Companhia das Letras;
Laura Burocco, 2019, Afrofuturismo e Perspectivismo Ameríndio: duas ferramentas para um pensamento decolonial, Diponibile online in Buala https://www.buala.org/pt/a-ler/afrofuturismo-e-perspectivismo-ameri-ndio-duas-ferramentas-para-um-pensamento-decolonial