M. Una canzone ruvida sui tempi bui

Una lettura di “M. Il figlio del secolo”, l’ultimo romanzo di Antonio Scurati.

Scurati M Mussolini

 

«Anche nei tempi bui /si canterà? / Anche si canterà. / Dei tempi bui» scriveva Brecht. Recentemente sono molti i libri che cantano di tempi bui del passato per parlare anche del presente ed M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, edito da Bompiani, è uno di questi. Primo volume di una trilogia su Benito Mussolini, ne racconta vita e vicissitudini politiche dalla fondazione dei Fasci di combattimento del 23 marzo 1919 fino ai mesi successivi al delitto Matteotti del giugno 1924 e alla totale soggiogazione del parlamento. Riportarne la trama non avrebbe gran senso, sono fatti risaputi, e in questo caso si legge sapendo già come va a finire: c’è ogni avvenimento che ha contribuito all’ascesa del fascismo e compaiono i principali personaggi storici dell’epoca; l’importanza del libro non sta solo nel cosa è raccontato, però, ma nel come.

Scurati non scrive un saggio storico né una biografia, ma un romanzo, scritto dalla prospettiva di Mussolini sia quando la voce narrante lo segue da vicino, sia quando si sovrappone totalmente al suo punto di vista, sia quando protagonisti sono altri personaggi. Ci avvisa subito che non c’è niente di inventato se non la drammaturgia di contorno: tutto quanto è realmente accaduto e ampiamente testimoniato, è l’avvertenza posta nel colophon a metterci sull’attenti. M è quindi un romanzo storico (romanzo documentario, lo chiama) in cui la storia non fa solo da sfondo ma è – coi personaggi e gli avvenimenti – la protagonista stessa.

È tutto documentato, nulla è arbitrario: l’autore oltre ad avvertirci lo mostra inserendo direttamente nel libro, alternati tra i capitoli, gli articoli di giornale, le epistole, le pagine di diario, i telegrammi su cui ha basato la propria ricerca. Un accurato lavoro di studio, va detto, ma – doveroso dire anche questo – al netto di alcuni errori e qualche inesattezza, come gli è stato fatto notare e riguardo ai quali ha replicato. Errori che sembrano dovuti principalmente, oltre all’imprecisione, a refusi editoriali o a distrazione redazionale. Senza comunque ignorare l’importanza della precisione nel riportare avvenimenti storici, giudicare il libro come se fosse un saggio è fortemente sbagliato. Non perché un romanzo non debba essere rigoroso, ma perché queste poche sviste non inficiano totalmente il risultato letterario né ne minano il valore estetico e politico.

L’obiettivo esplicitamente dichiarato da Scurati è di contribuire a rifondare l’antifascismo mostrando con la cruda e diretta forza dei fatti storici cosa fu l’abiezione fascista, senza filtri, restituendone così un giudizio che sia il più oggettivo possibile e non influenzato da «pregiudiziali ideologiche». Ma se si confida nell’efficacia intrinseca dei documenti perché allora scegliere le armi del romanzo e non quelle della saggistica? L’autore stesso sottolinea la potenza della letteratura nell’integrare dal punto di vista espressivo il lavoro argomentativo della ricerca storica permettendo una fruizione aumentata, più viva, più forte, per suscitare un sincero sentimento antifascista.

Scatta allora un cortocircuito: voler mostrare gli orrori del fascismo con la nuda forza dei fatti, con uno sguardo privo di velami politici, ma scegliendo come strumento la scrittura letteraria. Se già il linguaggio di per sé, per sua natura, non è mai neutro ma storicamente e socialmente determinato, ancor di più quello letterario, connotato espressivamente e nella scelta di come narrare, porta sempre con sé una carica se non proprio ideologica di sicuro di parte. Le figure retoriche, lo stile, il punto di vista adottato, la forma e l’andamento della narrazione, tutti gli strumenti tecnici a disposizione della penna sono scelti arbitrariamente, e quindi in maniera partigiana, in base ai fini estetici e poetici. Per quanto l’oggetto del racconto sia oggettivamente sgradevole, non basta esibirlo, né si tratta di fare scelte tendenziose su quali episodi riportare e quali trascurare: in questo libro è la forza dell’uso significante della lingua a far pienamente esplodere un sentimento di ripulsa. Anche svelare le fonti, mostrare il dietro le quinte pubblicando i documenti, suscita un senso di stupore che porta con sé una carica semantica non da poco, che si moltiplica considerando che Scurati li innesta anche nei capitoli narrativi ibridandoli nel testo.

Sono proprio le scelte stilistiche a evitare il rischio di un’apologia o di un’epica. La biografia del fascismo, che si identifica con la storia del suo fondatore, è una questione di sangue e merda rappresentata in tutta la sua asprezza: dal grottesco culto della morte al machismo, dal gretto sessismo alla violenza di cui i fascisti portano sui loro corpi il «marchio». Tutto è messo a nudo da una scrittura che raggiunge dei picchi di depravazione oscena nell’aderire perfettamente a una corporeità esagerata, una matericità irrancidita e marcia, espressa con metafore decomposte o viscerali. Venezia è un pesce avariato prima, un budello ritorto poi e infine una città di intestini. Il vino «si versa come un fiotto emorragico» e si beve avidamente. Il desiderio è «sanguinoso», i corpi sono grossi e pelosi, i cervelli sono rettili, le giugulari ingrossate di sangue.

Abbondano lussuriose immagini sessuali corrotte da una libidine egotistica e sfrenata. Mussolini è sempre preceduto dal suo corpo ipersessuato, che invade e domina la scena con la forza stessa della sua carnalità di animale che «fiuta» il secolo. La scatologia e la fecalità ricoprono di escrementi la pagina proprio come l’olio di ricino «si stende sul futuro di una nazione». Del resto a «lui, al figlio del fabbro di Predappio, la realtà, invece, piaceva. Quella bassa, ferrigna, brutale, quella irriducibile. Non conosceva altro piacere al di fuori di quella». Lo stile con cui Scurati rappresenta eventi e personaggi è ipertrofico. La stratificazione elencatoria dei sostantivi che si accumulano e dei numerosi aggettivi che li accompagnano rende pienamente la multiforme natura dell’oggetto indagato, tanto quanto la reiterazione eccessiva e sfiancante dei concetti restituisce la schizofrenia nevrastenica di questi uomini votati alla violenza e del loro leader esaltato dalla volontà di «addossarsi la croce del potere».

Se da un lato c’è l’uno, dall’altro c’è la molteplicità. Il rapporto tra il capopopolo e il popolo, tra l’uomo e le masse – che si fanno esse stesse corpo – lancia dei segnali d’allarme che, senza profetizzare esatte sovrapposizioni tra ieri e oggi, non possono non far pensare al presente. È la potenza della letteratura a far risaltare in modo sconcertante le somiglianze: il populismo e la demagogia; un capo che per risollevare in fretta le sorti del paese deve poter avere le mani libere per decidere da solo senza rendere conto delle libertà democratiche; che con una mano minaccia e con l’altra partecipa al gioco secondo – più o meno – le regole; gli opportunismi e le continue giravolte di Mussolini e del fascismo, prima a sinistra, poi né a destra né a sinistra, infine la definitiva svolta a destra in nome dell’antipolitica e dell’antipartito; il cinismo con cui si scaricano amici e alleati, come D’Annunzio, per calcoli politici; il solleticare i bassi istinti bottegai del ventre del paese aizzandoli contro presunti nemici esterni a fini di consenso; l’idea del ceto politico come «casta» privilegiata e separata dalla società.

Il fascismo raccontato da Scurati spesso è l’espressione più lampante di aspetti connaturati alla nazione, prima e oltre il ventennio, come il vittimismo italiano che della storia del nostro paese ne fa spesso e volentieri una questione di rancore e di vendetta. Come nell’esito della Prima guerra mondiale, che «ha lasciato nelle coscienze di tutti la bile della sconfitta», e che ha portato alle vicende di Fiume.

Gli incendiati vaniloqui, la frenesia oratoria e i furiosi deliri di Mussolini ricordano da vicino la barocca «flogosi verbifera del bombetta» con la quale Gadda, in Eros e Priapo, tentava per mezzo della scrittura una psicanalisi del fascismo e del «Furioso Babbeo», uomo allucinato che «parla innanzitutto a se stesso», si erge sulle macerie passando sopra tutto e fonda la sua ascesa sul disastro, ma attorniato da fantasmi, interni ed esterni, dei quali Matteotti è quello che più lo tormenta. Un individuo in cerca di rispettabilità che guida un movimento affermatosi con la violenza e che quindi prova una grande vergogna della loro vera essenza.

Tutto sapientemente espresso attraverso stile e scrittura. Così il racconto appare talmente incredibile da far venire il sospetto che sia inventato, la storia ingigantita, ricostruita, romanzata. Invece siamo avvisati sin da subito che quanto leggeremo è interamente documentato, ne sono anche riportate direttamente le fonti. M è uno dei più interessanti ibridi narrativi della letteratura italiana degli ultimi anni. È sorprendente la capacità di amalgamare perfettamente, senza grumi, i dati di realtà, le fonti d’archivio, i documenti storici e le loro diverse tipologie testuali, senza rinunciare a stilemi letterari né inceppare la narrazione.

Interrompere il flusso inserendo i documenti è una pratica che, se non padroneggiata, rischia di spezzare l’incanto della lettura. Invece Scurati intercalandoli con perizia riesce a evitarlo producendo un effetto spiazzante, e ancor di più straniante nel farli leggere immediatamente dopo capitoli costruiti narrativamente. Viene allora da chiedersi il perché, una volta messe in scena le fonti, del bisogno di inserire l’avvertimento iniziale. O all’opposto, stipulando attraverso di esso un patto di sincerità col lettore, avrebbe forse addirittura potuto tentare una sperimentazione più audace: pubblicare solo la nota introduttiva senza riportare i documenti – comunque ampiamente presenti e sapientemente ibridati all’interno del testo – e lasciare che il romanzo fluisse da sé senza interruzioni di sorta, accrescendo ulteriormente lo stupore, rinunciando però in parte al perturbante.

Sono riflessioni ben note e di ancora difficile risoluzione all’interno del dibattito tra chi da anni si occupa di ibridi narrativi, e non vi è un unico modello cui attenersi che possa far dire che la scelta definitiva sia la soluzione ottimale. È una ricerca in continuo divenire, è qui che ha luogo la sfida sull’efficacia dell’ibridazione giocata da chi vuole raccontare la realtà senza rinunciare agli strumenti letterari propri della narrativa, quel valore aggiunto del linguaggio che permette di esprimere verità profonde tramite esperienze estetiche. Una scommessa cui partecipa anche M che, grazie al proprio valore narrativo e alle tecniche usate, sembra fare uno scarto di lato rispetto alle intenzioni dichiarate da Scurati – una oggettiva neutralità – e raggiungere una partigianeria antifascista resa appassionante nella lettura ed efficace come poche da una potentissima poetica letteraria.

 

 

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