Ecco la seconda e ultima parte dell’approfondimento sul decimo anniversario dell’uragano Katrina.
La prima parte è disponibile qui.
«Non ci hanno detto niente. Eravamo impreparati».
Day 5 (1 settembre 2005)
Il Mississippi e la Louisiana sono in ginocchio, alcuni posti non sono ancora stati raggiunti dai soccorsi, ma l’attenzione dei media e dei soccorritori è tutta concentrata su New Orleans. Al Superdome iniziano ad arrivare gli autobus che porteranno gli sfollati all’Astrodome di Houston; sono necessarie 12 ore di viaggio, ma anche lì non sembra esserci spazio sufficiente per tutti i senzatetto; così, si allestiscono altri spazi a Sant’Antonio, Dallas, Huntsville. Sono ancora 50-60 mila le persone da evacuare da New Orleans.
L’elenco di mezzi di soccorso dell’esercito, fornito dalle autorità, è massiccio e impressionante, ma dove sono? Nelle strade vicino al Superdome sembra non esserci nessuno, al di fuori delle persone in attesa dei bus e di quelle in marcia a piedi: è un esodo raccapricciante, famiglie anche con figli piccoli devono camminare per 45-50 miglia prima di trovare luoghi provvisti di generi di conforto.
Al Convention Center, un altro luogo abbastanza centrale della città dove si sono radunati gli sfollati, la situazione sembra peggiore di quella del Superdome; i responsabili dei soccorsi e il capo dipartimento della FEMA dichiarano di non sapere nulla di quello che avviene al Convention Center, ma diffidano la stampa dal diffondere notizie allarmanti, affrettate e non verificate. Gli ingegneri del corpo dei pompieri, intanto, hanno coperto con cemento e sacchi di sabbia alcune delle brecce negli argini nei canali che collegano il lago Pontchartrain e il Mississippi.
I soccorsi ritardano, le strade sono interrotte e le acque non navigabili. Il DHS (Department of Homeland Security) dichiara che portare soccorso in alcune zone è troppo pericoloso; alcuni spari hanno colpito anche un elicottero nei pressi del Superdome: si viene a sapere poi che si tratta di sfollati che cercavano di attirare l’attenzione dei soccorritori, ma i volontari e i soccorritori lavorano nel panico.
Si mettono in moto gli aiuti internazionali con una raccolta gestita dagli ex presidenti Bush e Clinton, simile a quella messa in atto nel 2004 per il Sud-Est asiatico colpito dallo tsunami. Il presidente Bush intanto sorvola l’area del disastro. Il Senato approva altri fondi per la FEMA e invia anche i Conairs, gli aerei utilizzati per il trasporto dei prigionieri.
Day 6, (2 settembre 2005)
Al Convention Center regnano il caos e la violenza; sembra quasi che siano i teppisti a pensare al cibo e all’acqua per gli sfollati. Il sindaco Nagin si scaglia contro tutti, interpretando probabilmente il pensiero di tutti i suoi concittadini. Denuncia la scarsa operatività del presidente Bush, afferma di essere solo ad occuparsi dei senzatetto, rassicura gli sfollati sul fatto che l’amministrazione si occuperà di loro. Per inciso, nel 2014 Nagin verrà condannato per 20 capi di imputazione di corruzione per aver ricevuto in dono vacanze private, forniture di granito e abbonamenti telefonici da aziende e imprenditori impegnati nella ricostruzione di New Orleans dopo Katrina. Bush è in Alabama, ma non è in programma una visita a terra alla città di New Orleans.
Finalmente i soccorsi non sono presenti solo nelle promesse ma arrivano, anche al Convention Center, dove la folla esplode in un applauso liberatorio; oltre al cibo, però, i senzatetto vorrebbero i bus per andar via. Dopo l’arrivo delle truppe dell’esercito coi beni di prima necessità il Convention Center è al sicuro, ma troppo tardi e troppo poco è stato fatto per loro. La situazione in varie parti della città è drammatica, con corpi coperti solo da teli ad ogni angolo.
Un giornale locale, il “Times Picayune”, aveva lanciato nel 2002 l’allarme sullo stato degli argini e la pericolosità degli effetti di un uragano, con un reportage dal titolo “Washing away”; il sistema di argini, dicevano allora, è troppo datato e i soldi per rinforzare e rinnovare gli argini erano stati tagliati dopo l’11 settembre 2001. 100 mila persone sono sempre state a rischio, visto che buona parte della città era posta sotto il livello del mare. L’allarme era stato lanciato a più riprese e a più riprese messo a tacere, quindi.
New Orleans nel 2005 è la nona città più povera degli States con il 70% di afroamericani; circa l’ 80% della città è rimasto sott’acqua. Persino Fidel Castro offre 1000 medici e 26 tonnellate di medicinali per aiutare gli sfollati (offerta rifiutata dagli Stati Uniti). Per le famiglie, specie quelle ospitate a Houston all’Astrodome, inizia la ricerca dei propri congiunti; dopo l’uragano si sono separati perché saliti su altri bus o sfollati altrove. I giornali online pubblicano elenchi di nomi e cognomi, così come i siti internet e i blogs.
Day 7 (3 settembre)
L’aeroporto Louis Armstrong è diventato un ospedale da campo già da diversi giorni; al secondo piano vengono ospitati i feriti più gravi, ci sono tanti elicotteri in fila pronti per trasportare via gli sfollati. Anche in città le truppe sembrano avere dato una svolta ai soccorsi, dopo i ritardi dei primi giorni. Il Superdome ospita tra le 2000 e le 5000 persone, anche se il flusso dei bus per portarli via si è arrestato d’improvviso. Al Convention Center invece ci sono 25 mila persone, sembra un campo profughi di un paese del Terzo Mondo. All’Astrodome di Houston e nelle strutture nelle sue vicinanze invece i posti stanno finendo: là ci sono circa 153 mila vittime di Katrina.
L’ospedale Charity è finalmente evacuato dopo 5 giorni dall’uragano, sono 29 i neonati salvati, molti dei quali senza madre. Intanto le famiglie usano internet e i mezzi di comunicazione per cercare i propri cari e capire dove sono finiti, ogni sito internet ha due liste, le missing persons e l ‘I’M ok” lists. Fioriscono i blogs, che rappresentano una novità importante e che anticipano, in qualche modo, quello che saranno i social networks e twitter per le catastrofi ad Haiti, in Giappone e in tempi più recenti.
Continuano le polemiche con il presidente Bush, che in una conferenza stampa rifiuta di rispondere alla domanda sul ritardo e difende i soccorsi che sono stati aggressivi e uniti. Persino il cantante Kanye West si scaglia contro Bush, colpevole di discriminare gli afroamericani. Riferendosi alle fotografie scattate nella città allagata, afferma che “se c’è un immagine di neri, stanno saccheggiando; se sono bianchi, stanno cercando cibo”.
Le persone di colore sembrano davvero le vittime più colpite da Katrina, emerge la fragilità sociale della città e dell’America più profonda, troppo concentrata sulla minaccia del terrorismo globale più che sulle sue debolezze. I neri poi sono amareggiati e riluttanti a raccontare le proprie esperienze durante l’uragano e poi al Superdome e al Convention center. Anche le forze di polizia sono inadeguate, circa il 30% degli uomini della polizia cittadina non è stato a disposizione durante l’emergenza per motivi non sempre giustificati. Gli aiuti arrivano sempre copiosi da tutte le parti del mondo, sia dalle nazioni sia da privati, star e celebrità, così come emergono storie di eroi e volontari che hanno salvato dalle acque le vittime dell’uragano.
DAY 8 (4 settembre)
E’ domenica e New Orleans sembra tornare alla calma; i numeri parlano di 200 mila persone ospitate in Texas, di cui 30 mila provenienti dal Superdome e 20 mila dal Convention Center. Ma altri 40-50 mila sono rimasti nelle loro case e si rifiutano di lasciarle, prendendosela con le istituzioni e i responsabili dei soccorsi. Intanto cresce il rischio biologico poiché nelle acque giacciono cadaveri, liquidi inquinanti, carburanti, carcasse. Anche i corpi sono difficili da riconoscere, visto che i records di dati (dna, impronte dentali, dati sanitari) sono andati dispersi. Le pompe e i mezzi idrovori stanno cercando di pompare via l’acqua e chiudere le brecce degli argini per liberare le strade che sono ancora piene di acqua.
A Gulfport, nel Mississippi, i danni sono molto ingenti, ma l’attenzione continua a essere concentrata tutta su New Orleans. Alcuni sindaci, senatori e la first lady del governatore Barbour si improvvisano manager dell’emergenza e distribuiscono cibo, medicinali e tantissime altre cose al di fuori del coordinamento con la FEMA (Federal Emergency Management Agency).
La Polizia di New Orleans è subissata di sensi di colpa, oltre che critiche, tanto che il sindaco Nagin chiede un supporto psicologico extra per gli uomini delle forze dell’ordine, visto che già si stanno verificando suicidi. Continuano gli episodi discussi, come l’uccisione di 5-6 (ma alcuni media parlano di 8) persone sul Danzinger Bridge e il responsabile della parrocchia di Jefferson (in Louisiana è l’equivalente della contea) si rifiuta di ospitare rifugiati chiudendo le porte deÕlla sua comunità.
La FEMA allestisce 3 navi per ospitare 7000 sfollati per 6 mesi. Ma resta sotto accusa: il TimÕes Picayune pubblica una lunga lettera indirizzata a tutti i responsabili, da Bush a Nagin. Ma ci sono cose che vanno avanti, nonostante tutto, come testimonia un appello di un musicista di New Orleans a riprendere gli strumenti o la Southern Decadence Parade, una parata delle comunità gay e lesbiche, in programma come ogni anno in occasione del Labor Day, che viene celebrata in modo non ufficiale questa volta da circa 25 persone, quando di solito erano in migliaia a partecipare.
Day 9 (5 settembre)
È il Labor day, un giorno di festa che le circostanze non permettono di festeggiare. Le pompe hanno iniziato a funzionare, ma si sa che ci vorranno mesi per liberare la città dall’acqua, e quando le acque si ritireranno ne resteranno i segni, il pericolo di batteri e microbi infestanti, di liquami e residui inquinanti. Ci sono poi circa 10 mila persone che hanno rifiutato di essere evacuate, perché non si fidano e hanno paura degli sciacallaggi.
La difesa di chi lotta strenuamente e ostinatamente contro la deportazione si appella al fatto che non si sa dove e come verranno mandati i superstiti e neanche se e quando molti dei loro concittadini torneranno. Le istituzioni e i soccorritori cercano di convincerli prima con le cattive, tagliando cibo e acqua, poi con le buone, ma niente da fare. I soccorritori cercano anche di mettere in salvo gli animali domestici, rimasti a centinaia nelle case abbandonate, che si chiedono che fine abbiano fatto i propri padroni e che cosa ci fa lì tutta quell’acqua. Ora che la maggior parte dei superstiti è stata messa in salvo i volontari possono dedicarsi anche a loro.
Nel resto del Mississippi si continua ad aspettare i soccorsi e molti paesi sono quasi per intero abbandonati; la regione è una delle più povere degli USA, con circa il 22% degli abitanti sotto la soglia di povertà. La governatrice della Louisiana, Kathleen Blanco, intanto, decide di accompagnare Bush in un’altra visita che però non calma la rabbia dei sopravvissuti; la governatrice, inoltre, non è d’accordo col presidente sulla decisione di stabilire la legge marziale per evitare gli sciacallaggi. Anche se la fase più calda dell’emergenza è passata, la situazione non accenna a migliorare.
Epilogo
L’uragano ha profondamente cambiato New Orleans, e non poteva essere altrimenti. Come in altre vicende analoghe accadute negli anni Duemila, la shock economy ha sfruttato in pieno l’effetto tabula rasa; le strade e i quartieri allagati e lo stesso sistema sociale della città hanno costituito l’occasione per sperimentare alcune ricette neo-liberiste che hanno penalizzato ulteriormente la popolazione afroamericana e povera, ad esempio i voucher per l’affitto e la scuola invece di ricostruire alloggi popolari e scuole pubbliche e l’ aumento dei prezzi e del valore degli immobili del centro cittadino per espellere di fatto la classe meno abbiente.
Molti degli sfollati del 2005 non hanno mai fatto ritorno a New Orleans, rimanendo a Houston o Atlanta. New Orleans si appresta a festeggiare il terzo centenario della sua fondazione: l’amministrazione democratica ha deciso di porre l’attenzione sulla “resilient New Orleans”, la città resiliente, che rinasce e che reagisce. I protagonisti di questa rinascita, però, sono sempre meno i neri e sempre più la New Orleans bianca concentrata sugli affari e sul turismo.
La questione razziale, la povertà e i contrasti tra giovani afroamericani e forze dell’ordine sono tutti problemi aperti che Katrina ha fatto emergere in modo lampante e che negli ultimi mesi anche nel resto del Paese hanno evidenziato forti contraddizioni sulle quali gli Stati Uniti e il presidente Obama sono chiamati a interrogarsi, al di là delle commemorazioni.