Leonard Cohen

L’11 novembre è stato dato l’annuncio della scomparsa, a 82 anni, di Leonard Cohen

Il 21 ottobre era uscito il suo ultimo disco, You Want it Darker, in cui il cantautore si dichiarava pronto a lasciare il mondo. Qualche giorno prima Cohen, già da tempo costretto a servirsi di una sedia a rotelle a causa dei problemi alla colonna vertebrale, aveva rilasciato la sua ultima, bellissima intervista a David Remnick del «New Yorker».

Del suo lavoro letterario avevamo già parlato, qui. Come già è successo in occasione della scomparsa di Lou Reed, abbiamo deciso di ricordarlo attraverso cinque canzoni, provando a scegliere le meno scontate.

ONE OF US CANNOT BE WRONG

Songs of Leonard Cohen, 1967

Durante il concerto all’Isola di Wight nel 1970, Cohen disse di aver scritto questa canzone, che il titolo presenta come un’applicazione del principio di non contraddizione al rapporto di coppia, «cercando di uscire dalle anfetamine e inseguendo una giovane donna incontrata in un manifesto nazista». In tanti hanno provato a interpretarne il significato: un riferimento alla pratica buddista, una canzone d’amore dedicata a Nico – l’unica donna che lo abbia mai respinto, si dice – o una parodia dei testi di Bob Dylan, di cui Cohen divenne amico fin da quando lo stesso produttore e “talent scout” di Dylan, John Hammond, lo invitò a smetterla di dedicarsi solo a poesie e testi letterari, e a incidere questo disco. Cohen aveva già pubblicato alcune raccolte poetiche e due romanzi (The Favourite Game e Beautiful Losers), e aveva vissuto per un periodo sull’isola di Hydra, in Grecia. Allettato dall’idea di poter guadagnare di più con i dischi che con i libri, accettò.

I lit a thin green candle to make you jealous of me,
But the room just filled up with mosquitoes, they heard that my body was free
Then I took the dust of a long sleepless night and I put it in your little shoe
And then I confess that I tortured the dress that you wore for the world to look through.

 

THE OLD REVOLUTION

Songs from a Room, 1969

È tratta dal secondo album di Cohen: quello in cui forse più che in tutti gli altri i testi del cantautore sono enfatizzati dagli arrangiamenti; quello che sul retro ha la foto più nota di Marianne Ihlen, la musa conosciuta sull’isola di Hydra e morta il 28 luglio 2016. Anche se i due non stavano più insieme da quarant’anni, qualche giorno prima che lei si spegnesse Leonard le aveva scritto un’intensa lettera, poi pubblicata.

The Old Revolution, però, non è dedicata a Marianne: parla di una battaglia persa, di un uomo che ha combattuto per la causa realista più per entusiasmo giovanile che per convinzione. Ora che è tardi e la guerra è finita, si ritrova sconfitto e in catene. Cohen, neanche a dirlo, empatizza con il perdente e in un attimo la sua miseria diventa la miseria nostra, del genere umano, del mondo.

I finally broke into the prison,
I found my place in the chain.
Even damnation is poisoned with rainbows,
All the brave young men
They’re waiting now to see a signal
Which some killer will be lighting for pay.
Into this furnace I ask you now to venture,
You whom I cannot betray.

 

JOAN OF ARC

Songs of Love and Hate, 1971

Mentre Giovanna D’Arco sconta sul rogo la sua condanna per eresia, inizia un dialogo tra lei e il fuoco che la lambisce. La donna dice che tutto ciò che avrebbe desiderato era «un abito da sposa, o qualcosa di bianco» e viene bruciata sempre più dal fuoco – ormai perfettamente assimilato alla passione e al desiderio – fino ad arrendersi a lui in un’unione descritta come un amplesso. Nonostante la bellezza del testo, cui è impossibile restare indifferenti, la domanda posta all’autore in un’intervista del 1988 era inevitabile: «Dunque una donna ha bisogno di un uomo per essere completa, è questo che voleva dire?» Lui rispose: «Pensavo al senso del destino che ogni essere umano ha, e come ciascuno incontri e sposi il suo destino. […] Non volevo suggerire che in realtà Giovanna d’Arco volesse solamente essere una mogliettina. Quello che intendevo è che era tanto solitaria che doveva abbracciare il suo destino. […] Dal punto di vista del movimento femminile, lei lottava per qualcosa di straordinariamente originale e coraggioso». In un’altra intervista Cohen dichiarò: «Mi innamoro sempre. Ricordo una volta in cui camminavo con Nico e le dissi: “Credi che Giovanna D’Arco si innamori?” E lei rispose: “Tutte le volte, Leonard. Tutte le volte”. Sento il mio cuore uscire dal petto cento volte al giorno». Anche per questo brano, qualcuno ha sostenuto che Nico fosse un’ispiratrice e che il verso «Such a cold and lonesome heroine» fosse un esplicito richiamo all’eroina.

Fabrizio De André ne ha cantato la versione italiana, Giovanna D’Arco (uno dei tre brani di Cohen, insieme a Nancy e Suzanne, tradotti da De André).

It was deep into his fiery heart
He took the dust of joan of arc,
And then she clearly understood
If he was fire, oh then she must be wood.
I saw her wince, I saw her cry,
I saw the glory in her eye.
Myself I long for love and light,
But must it come so cruel, and oh so bright?

 

WHO BY FIRE?

New Skin for the Old Ceremony, 1974

Tanto la melodia quanto le strofe di questa canzone sono ispirate al poema liturgico ebraico Unetaneh Tokef, che da bambino Cohen ha ascoltato spesso in sinagoga. Ogni strofa inizia con una morte diversa, per modalità («chi per fuoco», «chi in solitudine»), ma anche per motivazione («chi per la sua avidità», «chi per fame», compreso un «chi nel felice, felice mese di Maggio» che fa il verso a una ninna nanna). Poi la strofa finisce con la brusca domanda «Who, shall I say, is calling?» che evoca il modo formale di domandare, al telefono, chi occorra riferire come chiamante. È una delle canzoni più spirituali di Cohen, che si interroga sul senso profondo del nostro esistere. Non in termini teologici o filosofici, però, ma con l’umanità e l’ironia di sottolineare come sarebbe buona educazione che, almeno, colui che chiama si presentasse.

And who in her lonely slip, who by barbiturate,
who in these realms of love, who by something blunt,
and who by avalanche, who by powder,
who for his greed, who for his hunger,
and who shall I say is calling?

 

IN MY SECRET LIFE

Ten New Songs, 2001

Le sonorità sono cambiate: questo è il brano di apertura del primo disco a essere pubblicato dopo i cinque anni trascorsi in un monastero buddista nei pressi di Los Angeles con il maestro Joshu Sasaki, che Cohen chiamava semplicemente “Roshi”, “venerabile maestro”. «Non cercavo una nuova religione o un’altra lista di dogmi […]. Nel tour precedente bevevo tre bottiglie di vino ogni sera e una delle cose che cercavo era il riposo… non sapevo cos’altro fare». Cohen non troverà l’esperienza di meditazione molto adeguata alla sua indole e solo dopo un ulteriore periodo trascorso a Mumbai riuscirà a superare la sua depressione, per ragioni che lui stesso riteneva «impossibili da penetrare».

Questo brano parla di un amore non corrisposto – di una vita non corrisposta – e solo il cielo sa quanti uomini e donne vi hanno cercato un impossibile sollievo.

I saw you this morning
You were moving so fast
Can’t seem to loosen my grip
On the past
And I miss you so much
There’s no one in sight
And we’re still making love
In my secret life.

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