L’Educazione alla Cittadinanza Globale ai tempi del Covid19

La pandemia di COVID 19 raggiunge l’Italia a fine gennaio: con la dichiarazione dello stato di emergenza, le istituzioni governative a livello centrale e regionale approvano diversi provvedimenti per rispondere alla diffusione del contagio. Tutto il mondo dell’educazione formale, dalle scuole dell’infanzia all’università, e non formale, è tra i primi settori a subire l’impatto di tali politiche: con il DPCM dell’8 marzo 2020, le università e le scuole sospendono la didattica in presenza, interrompono, nella maggior parte dei casi, la relazione virtuosa con i territori, e sono obbligate a ripensare la didattica e la relazione con le e gli studenti accelerando la digitalizzazione e mettendo in atto processi di didattica a distanza (DaD).
Innovazione e cambiamenti nella scuola
La relazione tra mondo dell’educazione formale e territori e il processo di digitalizzazione, rappresentano due pilastri di innovazione e cambiamento del ruolo della scuola nelle società contemporanee. La prima è ciò che consente, a partire circa dalla fine degli anni Novanta, alle scuole di sviluppare nuovi modelli pedagogici basati sulle competenze (di cittadinanza), ripensando la trasmissione del sapere come modello didattico e integrando sempre di più i temi di attualità e cambiamento., quali l’Educazione allo Sviluppo, l’Intercultura, la Legalità, la Cittadinanza attiva e la Cittadinanza Globale. Modelli in cui il concetto di Cittadinanza assume un ruolo principale e prioritario e guida la necessità di integrare le metodologie e gli approcci formativi e didattici, le discipline e i temi di attualità di cui le e i cittadini del futuro devono essere consapevoli per poter partecipare in modo pieno e attivo.
La digitalizzazione è una strategia che da anni si sta promuovendo, principalmente attraverso il Piano Nazionale Scuola Digitale del 2015 (ma una prima versione può essere fatta risalire al 2007), ma che è diventato sempre più importante negli ultimi anni sia in merito all’introduzione di nuove metodologie didattiche, sia rispetto al bisogno di inserire nuovi contenuti relativi alla “sfera digitale” (fake news, social media, cyberbulling, hate speech, etc.), con un’attenzione in particolare ai concetti di Cittadinanza Digitale e di diritti digitali.
Le politiche di lockdown hanno congelato la relazione scuola-territori e spinto al massimo la digitalizzazione che, senza quella relazione e una risignificazione, rischia un ritorno alla sola trasmissione di sapere. Nella risposta centrata esclusivamente sulla didattica a distanza si evidenzia un appiattimento ai sintomi (all’immediato), invece di uno sguardo all’orizzonte capace di costruire risposte durature e capaci di proporre nuovi paradigmi.
Eppure, queste stesse politiche, hanno richiesto alle e agli insegnanti uno sforzo enorme di ripensamento del proprio ruolo, dei propri strumenti, della relazione educativa con le e i propri studenti, della metodologia didattica, così come dei tempi di preparazione e svolgimento di attività o dei contatti sincronici/diacronici con le e gli studenti.
Le misure adottate per contrastare la diffusione del COVID19 e i suoi effetti sono allora un’occasione preziosa per proporre alcune riflessioni sul ruolo dell’Educazione ad una Cittadinanza Globale (ECG), sulla collaborazione tra educazione formale e non formale e sulla relazione tra le scuole e i territori in cui sono inserite. Leggere con le lenti dell’ECG questo fenomeno e le narrazioni dominanti ci permette infatti di evidenziare alcuni “cortocircuiti” che in un momento di forte incertezza invece di garantire processi inclusivi e solidali rischiano di aumentare le diseguaglianze, e mostrano una scarsa capacità di gestire le complessità.
Il “cortocircuito” delle diseguaglianze
La scelta e le indicazioni ministeriali hanno messo in luce più chiaramente le diseguaglianze delle condizioni in cui la DaD si sta realizzando: la diversità di risorse e strategie delle scuole (ad esempio, livello di implementazione del Piano Nazionale Scuola Digitale, disponibilità di attrezzature tecnologiche, grado di istruzione della scuola); la diversità di risorse e competenze digitali delle e degli insegnanti nella possibilità di adattarsi alle necessità specifiche della didattica a distanza (abitare in un luogo in cui c’è una buona connessione, conoscere gli strumenti digitali, possedere personalmente gli strumenti per svolgere il proprio lavoro da casa); la diversità di risorse economiche, abitative, tecnologiche e di capitale culturale delle famiglie. Soprattutto per quanto riguarda i minori in età scolare dai 6 ai 14 anni, i genitori (o gli adulti di riferimento della famiglia) in questa condizione, assumono una funzione più importante di mediazione didattica dovendo dare continuità all’offerta didattica della scuola e le competenze digitali non ancora acquisite dalle e dai minori. L’implicito in questo meccanismo è il dare per scontato che genitori e adulti abbiamo tali competenze, abilità, e tempo, e che quindi sappiano e possano accompagnare i figli nello svolgimento delle attività loro assegnate. Un implicito che non si può, invece, dare per scontato, a maggior ragione se si pensa a coloro che presentano bisogni educativi speciali.
Il “cortocircuito” della risposta emergenziale tra cura e programmi didattici.
La didattica a distanza rappresenta un mezzo per poter proseguire l’attività di insegnamento e diventa occasione per ripensare quale sia il fine dell’apprendimento: è lecito attendersi che, a maggior ragione ai tempi del COVID19, la didattica si interroghi se il suo fine sia il “programma” (e quale programma).
Ciò che molte e molti insegnanti hanno cercato di preservare nell’attivazione della didattica a distanza è stato il riflesso di un’azione di cura e tutela: la necessità di riallacciare dei legami, di ritrovare delle consuetudini, delle coordinate rassicuranti. Cura e tutela delle giovani generazioni passano però anche attraverso un doveroso ripensamento dei contenuti stessi della didattica: quando le nostre condizioni cognitiva, fisiologica e neurovegetativa sono alterate avvertiamo con forza l’urgenza di ri-costruire e ri-assegnare un senso a ciò che ci circonda, a ciò che viviamo attraverso la nostra esperienza sensoriale e cognitiva quotidiana. Risignificare i contenuti della didattica implica oggi l’attivazione di un pensiero riflessivo che, recuperando le finalità dell’azione educativa, riconduca gli stessi contenuti alla loro essenza educante: cioè alla rilevanza delle funzioni di orientamento, interpretazione, significazione dei contesti e della complessità.
La riflessione sugli adattamenti e le ri-significazioni fatta dalle e dai singoli insegnanti è preziosa, sicuramente in molti casi essi hanno rilevato e tentato di rispondere al problema. Ma un cambiamento paradigmatico tanto rilevante non si può lasciare in capo ai singoli perché li responsabilizza su scelte strategiche che, ancora una volta, rischiano di moltiplicare le forme di diseguaglianza. E’ auspicabile una riflessione a livello strutturale e sistemico, invece, capace di portare alla costruzione di politiche che rafforzino e consolidino il ruolo della scuola come agente formativo e trasformativo nella società e nei territori.
Se possedere strumenti per leggere e comprendere l’incertezza e la complessità dei contesti è per definizione rilevante e interessante e se ciò che suscita interesse muove l’apprendimento, allora, un’educazione orientata allo sviluppo di capacità di pensiero e lettura critica del presente ha in sé il potenziale di formare cittadini e cittadine dotate di competenze, anche di quelle “negative” che sostengono nelle fasi di incertezza e di perdita di punti di riferimento. Un’educazione che ci può rendere cognitivamente, emotivamente e socialmente più preparati e preparate ad affrontare le discontinuità e che potrebbe aiutare a prevenire altre emergenze. Se queste ipotesi sono particolarmente valide e a tutti evidenti in tempo di distanziamento sociale che produce disorientamento, alcune di noi sostengono che siano valide sempre. Le misure di contenimento originate dall’ “emergenza sanitaria” in corso hanno “semplicemente” acceso su queste ipotesi un faro: e nessuno e nessuna di noi oggi può, in coscienza, dire di non vederle.
Educare alla Cittadinanza Globale
L’Educazione alla Cittadinanza Globale mira a costruire futuro, attraversando le tre dimensioni costitutive di ogni individuo – cognitiva, socio-emozionale e comportamentale – riconoscendone l’importanza per il pieno sviluppo della persona, sia a livello individuale che come cittadini/e. Le istituzioni scolastiche sono il primo luogo in cui si impara a “stare al mondo” : la scuola, nel suo collegamento con il territorio, in questa visione, riacquista l’antico significato di gymnasium, una palestra in cui studenti e studentesse si esercitano e acquisiscono le competenze per comprendere la realtà in cui sono immersi e nella quale avranno un ruolo attivo, per se stessi e per la comunità. Articolare il significato delle competenze globali in questo periodo è più che mai urgente per vivere questa “crisi” in modo costruttivo e per immaginare il modello di sviluppo sociale e ambientale a cui tendere. Pensiero critico, pensiero sistemico, competenza interculturale, competenza collaborativa, competenza strategica, competenza di autoconsapevolezza1: nell’affrontare questa sfida epocale per il mondo della scuola, le competenze globali, possono aiutare a “dare senso” e riprogettare l’esperienza educativa.

Abbiamo oggi principalmente due strade: pensare di ritornare alla normalità2 o costruire una nuova normalità. La retorica del “ritorno alla normalità” rischia di vanificare le “lezioni da apprendere” e di tendere al ritorno a qualcosa che non è mai esistito: la normalità che era ed è ben diversa in relazione alle diseguaglianze economiche, abitative, di capitale culturale, di posizione lavorativa e tipologia di contratto. Per fare solo alcuni esempi.
Esercitare le competenze di cittadinanza globale ci permette invece di mettere in discussione le narrazioni dominanti che performano, non solo il presente, ma anche il futuro (ad esempio, il linguaggio emergenziale e bellico prevalentemente usato nel dibattito pubblico).
Costruire una nuova normalità, significa elaborare il lutto, nella sua concezione psichiatrica di perdita: della concezione di noi stessi come perno. La discontinuità ci propone oggi anche di assumere uno sguardo più disincantato su noi stesse e sulla nostra posizione nell’universo: materia organica limitata e vulnerabile in stretta interdipendenza con altri organismi all’interno di un ecosistema complesso e in costante cambiamento. Forse il COVID19 è o diventerà anche un esperimento (tra i primi?) di narrazione collettiva e condivisa che prova, e riesce, a tenere insieme il vissuto personale, la dimensione relazionale e quella strutturale, non solo nelle riflessioni degli addetti ai lavori. Le scuole con il loro ruolo formativo e trasformativo possono, e dovrebbero, contribuire a questa narrazione. Raccogliendo la sfida di costruire il sapere in modo più democratico possono essere un luogo privilegiato in cui sguardi diversi (in termini per esempio generazionali o di provenienza) possono essere raccolti, valorizzati e integrati. In questa direzione l’ECG si propone di costruire una narrazione globale, relativa all’umanità, a partire dal locale e dal personale. In cui i macro processi sono calati nel micro (individuale e locale) ma dove la dimensione relazionale, di scambio, reciprocità e solidarietà è componente fondamentale e dove la dimensione collettiva diventa imprescindibile per un pensiero critico e strategico.
Note
- Queste competenze sono state elaborate in “PISA 2018 OECD Global framework competence” e nel documento UNESCO (2015) Global Citizenship Education: Topics and Learning Objectives.
- Il Manifesto, 05 aprile 2020, Ángel Luis Lara, Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema.