Le tante facce dello Stato Islamico

Pubblichiamo una recensione al nuovo libro di Gabriele Del Grande, Dawla: La storia dello Stato Islamico raccontata dai suoi disertori.

 

La storia dello Stato Islamico raccontata dai suoi disertori. È questo il sottotitolo di Dawla del giornalista e scrittore Gabriele Del Grande in libreria da aprile (pubblicato da Mondadori), a meno di un anno dalla conclusione delle battaglie di Raqqa e di Mosul e a circa cinque anni dalla comparsa sulla scena internazionale della più recente reincarnazione di al-Qaida in Iraq. Frutto di quasi due anni di minuzioso lavoro di giornalismo investigativo – durante i quali Del Grande, oltre ai disertori protagonisti del libro, ha intervistato circa settanta tra ex prigionieri politici, contrabbandieri, attivisti, ex membri dell’esercito governativo e dell’Esercito Libero Siriano (ELS) sparsi tra Turchia, Kurdistan iracheno e Europa – Dawla accompagna il lettore in un viaggio che comincia nel 2005 e lo porta fino ai primi mesi del 2018.

Del Grande segue le vicissitudini dello Stato Islamico – chiamato Dawla, arabo per ‘Stato’ – attraverso le storie di tre suoi disertori di alto livello attualmente fuggiaschi in Turchia, raccontandone le origini, gli sviluppi, la crudeltà e i giochi di potere, fino all’imminente disfatta militare. Come in passato, quest’ultima sembra più una ritirata tattica con l’obiettivo strategico di ritornare all’attacco in futuro, come del resto già evidente negli attacchi terroristici in alcune città europee. Nel panorama degli innumerevoli titoli che hanno invaso gli scaffali delle librerie dal 2013 ad oggi, Dawla si distingue per l’originalità del punto di vista, che offre ai lettori tutta la complessità del fenomeno Stato Islamico (ISIS) nel contesto della guerra in Iraq e Siria.

La narrazione procede incalzante con colpi di scena degni di un romanzo giallo, includendo intrighi internazionali tra le principali città della Siria e dell’Iraq, passando per la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti e l’Europa. I tre protagonisti provengono da estrazione sociale, città e paesi differenti, e sono l’emblema delle tante, tantissime storie dietro cui si nascondono le diverse motivazioni di coloro che hanno aderito allo Stato Islamico. Il primo personaggio si radicalizza nelle carceri del Presidente siriano Bashar al-Assad, dove era finito in seguito alla sua partecipazione alle proteste contro il regime all’inizio della rivoluzione; il secondo è uno zelota religioso che – almeno inizialmente – crede nel messaggio messianico dello Stato Islamico; mentre il terzo è un arrivista che vede nella creazione dello stesso la possibilità di fare carriera.

Background storico

Il libro si apre con l’arresto nel 2005 da parte delle forze di sicurezza di Assad di otto attivisti di Shams, un’organizzazione della società civile siriana nata nel 1999 grazie a un gruppo di studenti con l’obiettivo di far chiudere il famigerato carcere di Palmira, e poi evolutasi in un organismo politico con obiettivi più ampi tra cui la fine dello stato di Emergenza in vigore in Siria dal 1963, lo scioglimento del tribunale militare e l’approvazione di riforme democratiche. Gli attivisti di Shams finiranno per scontare una lunga pena nel famigerato carcere di Sednaya, presso Damasco, dove da anni il regime siriano teneva sotto chiave migliaia di islamisti di svariati filoni ideologici, dai reduci di al-Qaeda in Iraq ai membri dei Fratelli Musulmani.

In questo modo, Del Grande mostra i retroscena dell’attuale guerra in Siria, ricostruendo nel dettaglio come parte della leadership dei gruppi islamisti che combattono il regime, incluso lo Stato Islamico, si sia forgiata a Sednaya soprattutto durante la rivolta dell’estate del 2008 in cui decine di detenuti furono feriti o uccisi. La prima parte del libro serve per capire l’importanza del contesto storico e del ruolo giocato dai servizi segreti siriani nel facilitare il transito di combattenti salafiti verso l’Iraq a seguito dell’invasione e occupazione dello stesso da parte degli Stati Uniti, il loro successivo arresto e detenzione presso il carcere di Sednaya, e la loro scarcerazione nel 2011, fino a diventare figure di spicco nella struttura di potere di ISIS. Questo è un passaggio chiave per contestualizzare la progressiva islamizzazione dell’opposizione al regime siriano dal 2012 in poi.

Del Grande presenta quindi una chiave di lettura più articolata di ISIS, che offre un correttivo importante alle improvvisate analisi giornalistiche post-2013 collocando il fenomeno nell’ambito siriano e regionale, e dandogli un più ampio respiro storico. Alla fine del libro, il lettore non può fare a meno di domandarsi quale sarà la sua prossima iterazione, visto che le ragioni strutturali della sua esistenza – guerra, regimi autoritari che però non esercitano completo controllo sul proprio territorio, rivalità geopolitiche regionali e internazionali che fanno dell’Iraq e soprattutto della Siria un teatro di guerra per procura – rimangono immutate.

Tre storie, uno Stato

La storia del primo disertore inizia nel 2011, quando Abu Mujahid, al secolo Malik, è uno dei promotori e animatori dell’onda di manifestazioni popolari contro il regime di Assad nella sua città natale di Raqqa, nel nord est della Siria. Malik, emblema delle migliaia di attivisti siriani, è testimone in prima persona della feroce repressione del movimento rivoluzionario da parte dell’esercito siriano e dei servizi segreti del regime. Oltre a subire l’arresto e la tortura, assiste alle torture dei suoi compagni del movimento di manifestazioni e proteste che porteranno all’espulsione dell’esercito governativo da Raqqa nel 2012.

Jamal, suo caro amico d’infanzia, muore in prigione a seguito delle torture sostenute. L’odio e il desiderio di vendetta che lo animano una volta rilasciato, contemporaneamente alla progressiva diffusione di numerosi gruppi armati, portano Abu Mujahid a unirsi prima al gruppo armato Uwais al-Qarani – parte dell’Esercito Libero Siriano, un raggruppamento di fazioni armate dell’opposizione che include disertori dell’esercito siriano, ex attivisti e criminali locali – e poi a diventare un membro del neonato Stato Islamico, che fa di Raqqa la sua capitale ufficiale una volta espulso l’ELS.

La storia del secondo protagonista introduce invece la parte più messianica del fenomeno ISIS. Giordano di Salt, a nord ovest della capitale Amman, e reduce disilluso di al-Qaeda in Iraq, Abu Karim ha una traiettorie per molti versi diametralmente opposta a quella di Abu Mujahid. Non sono la rabbia e la sete di vendetta contro la dittatura di Assad ad animare la sua decisione di lasciare una vita tranquilla in Giordania per unirsi al Dawla, ma la profonda convinzione nella singolarità del suo messaggio e del momento storico propizio per un trionfo dell’Islam politico. Grande conoscitore della letteratura salafita dal teologo medievale Ibn Taymiyya al palestinese Abdallah Azzam, uno dei fondatori di al-Qaeda, oltre che influenzato da numerose letture esoteriche e cospiratorie, Abu Karim raggiunge il nord della Siria nel settembre 2014 con in mente due obiettivi precisi: assistere alla battaglia finale tra il Messia e l’anticristo e allo stesso tempo, paradossalmente, verificare la veridicità del messaggio del Califfo dello Stato Islamico al-Baghdadi e l’autenticità della sua organizzazione.

Temprato da un’esperienza di undici mesi con al-Qaeda in Iraq nove anni prima e consapevole delle contraddizioni che caratterizzano il rapporto tra movimenti jihadisti e servizi segreti internazionali, Abu Karim vede i suoi peggiori sospetti materializzarsi e dopo qualche mese viene arrestato, imprigionato e torturato nella famigerata prigione dello Stadio Nero di Raqqa con l’accusa di spionaggio. Lì trascorrerà quattrocentocinquanta giorni in condizioni disumane prima di essere liberato per intercessione di un ex compagno d’armi iracheno.

Abu Usama, il terzo disertore, è invece originario dell’Iraq ma da tempo residente in Siria. Si unisce allo Stato Islamico spinto dall’opportunismo e da un desiderio di affermazione personale, più che da motivazioni politiche o religiose. La sua parabola, da uomo di fiducia in Siria della Sicurezza Interna dell’organizzazione fino a spia alle calcagna dei membri del Dawla di stanza a Istanbul, illustra le ipocrisie, gli intrighi e le lotte di potere interne allo stesso. Inizialmente infatti il rapporto di fiducia creatosi tra Abu Usama e Abu Anas, figura di spicco della sicurezza interna di ISIS nonché ex colonnello dell’esercito iracheno, portano il primo a diventare un temuto ispettore interno e a guadagnarsi l’epiteto di ifrit, il demone, presso i membri stessi dell’organizzazione. Una fallita operazione di spionaggio interno in Turchia, volta a smascherare un presunto agente al soldo degli Stati Uniti, ne causeranno il declino e la mancata promozione a uno dei reparti più prestigiosi e misteriosi dello Stato Islamico. La sua testimonianza offre un punto di vista unico sui conflitti interni a ISIS e sul rapporto che l’organizzazione di al-Baghdadi intrattiene con i governi e i servizi segreti di paesi presumibilmente in guerra con la stessa.

Il fatto che Dawla sia basato su testimonianze dirette di disertori dello Stato Islamico lo rende una fonte d’informazione imprescindibile sia per lettori che per ricercatori interessati al conflitto siriano. Il libro conferma con fonti di prima mano altri resoconti giornalistici sui rapporti sottaciuti tra lo Stato Islamico e i servizi segreti arabi e internazionali, la tacita complicità del governo turco nel facilitare l’arrivo di foreign fighters in Siria attraverso il confine settentrionale, e il processo di manipolazione dell’opposizione siriana da parte del regime attraverso la liberazione di figure chiave del jihadismo locale incluso dal carcere di Sednaya.

La scelta editoriale di includere molti termini arabi nel testo accanto al loro equivalente italiano è apprezzabile nel suo tentativo di avvicinare il lettore all’arabo, lingua nella quale Del Grande ha condotto tutte le interviste. La decisione di attenersi strettamente a una traslitterazione scientifica di stile anglosassone rischia tuttavia di creare confusione in un pubblico italofono. Per esempio, sarebbe stato opportuno utilizzare i nomi geografici di uso corrente (es. Homs), invece che il loro corrispettivo in traslitterazione scientifica (Ḥimṣ).

Questo comunque non sminuisce lo straordinario lavoro di indagine giornalistica che Dawla rappresenta: un libro fondamentale per chiunque voglia cercare di capire le radici di un fenomeno che, anche se apparentemente concluso, probabilmente tornerà a far parlare di sé in futuro.

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