Un reportage fotografico di Daniela Neri dedicato alle donne e alle madri di Bhopal che portano su di sè il peso della tragedia.
Il reportage fotografico di Daniela Neri, rientra in una serie di post dedicata ai disastri industriali. Nel corso del tempo seguiranno altri interventi volti a cartografare una rete di luoghi investiti dai disastri e le dinamiche di resistenza di chi ne ha subito l’impatto umano e ambientale.
Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 la rottura di una valvola nell’impianto di produzione di pesticidi della Union Carbide a Bhopal, in India, causò la fuoriuscita di 40 tonnellate di MIC, una sostanza altamente tossica. Nel giro di poche ore, la nube velenosa sprigionatasi dalla fabbrica provocò la morte di migliaia di persone. Altre decine di migliaia subirono danni permanenti alla salute.
A 31 anni di distanza, nessuno dei principali responsabili del disastro è stato condannato e le vittime e le loro famiglie non hanno ancora ottenuto adeguati risarcimenti. Soprattutto, il territorio non è mai stato bonificato e l’impianto continua a somministrare veleno alla popolazione attraverso le falde acquifere.
La seconda generazione di vittime, quelli nati da chi il gas lo ha respirato, manifesta patologie di ogni tipo, mentre la percentuale di bambini nati con malformazioni, malattie sensoriali e gravi problemi fisici e mentali è altissima. Nonostante la tragedia abbia prodotto una grande partecipazione popolare e forme di attivismo di grande importanza, le associazioni che lavorano sul campo sono poche e spesso mal finanziate. Le autorità, sia quelle governative che quelle della multinazionale coinvolta nell’incidente, hanno declinato le proprie responsabilità, e i risarcimenti, di scarsa entità e spesso bloccati dalla burocrazia statale, hanno raggiunto solo poche vittime.
In questo contesto, sono state soprattutto le donne a subire l’impatto del disastro. Si può dire che sono state loro ad assumere su di sé il peso della tragedia: vanno all’ospedale per il trattamento dei loro familiari, si recano agli uffici statali per le varie pratiche, e sono ancora loro che marciano nelle dimostrazioni di protesta. Le donne sono rimaste forti nonostante tutte le difficoltà causate dal disastro e, nonostante i loro stessi problemi fisici e di salute, non hanno mai abbandonato la lotta e la cura dei propri figli.
Di seguito una descrizione delle fotografie
Foto 1: Documenti di Shamshad Bi e dei suoi familiari. La donna ha perso un figlio la notte del 2 e un altro pochi mesi dopo. Il marito è deceduto nel 2007. Vive sola con la figlia, che ha problemi ai reni e, sebbene già operata, ancora non sta bene.
Foto 2: Shambabu e sua madre Subhadra vivono nell’Oriya Basti, uno dei quartieri più colpiti dal disastro. Shambabu ha problemi neurologici e si reca quotidianamente al Chingari Rehabilitation Centre.
Foto 3: La sera all’Oriya Basti. Qui le famiglie, che non hanno abbastanza soldi per procurarsi gas o legna, usano un composto di fango e paglia per cucinare i pasti. La terra, intrisa di sostanze tossiche, diviene quindi anche combustibile, rimettendo in circolo i veleni.
Foto 4: Shabra Bi con la madre. Shabra ha una laurea ma non riesce a trovare lavoro. Non può camminare e il suo handicap le ha precluso finora ogni possibilità.
Foto 5: Flaconi di agenti chimici in uno scaffale di ciò che rimane del laboratorio della Union Carbide.
Foto 6: Safya e la madre Shama. Safya ha gravi problemi neurologici e mentali.
Foto 7: Al Chingari Rehabilitation Centre, ONG che si occupa dei bambini colpiti dalle conseguenze del disastro.
Foto 8: Al Sambhavna Hospital, ospedale gestito da attivisti locali che fornisce cure gratuite per i sopravvissuti del disastro, una donna attende una visita ginecologica. Tra le conseguenze dell’incidente, i problemi ginecologici quali amenorrea, tumore alle ovaie e infertilità, sono estremamente diffusi.
Foto 9: Shubaham, 4 anni, con il padre Dasiya, il fratello Adith, 7 anni, e il cugino. Shubham non ha muscolatura e non è in grado di sostenersi. Adith, il fratello maggiore, è quasi cieco e ha un deficit mentale. La famiglia del padre li ha cacciati di casa incolpando la nuora per i problemi fisici dei nipoti.
Foto 10: Yajana Bi, vittima del disastro, vive a New Harif Nagar, quartiere addossato alla Union Carbide e tra i più colpiti dal gas.
Foto 11: Oriya Basti. Il quartiere, non provvisto di fognature, è ancora oggi estremamente inquinato e soggetto ad allagamenti che creano acquitrini stagnanti e malsani.
Foto 12: Yeshi, 11 anni, con la nonna. Yeshi ha una grave forma di autismo e frequenta il Chingari Rehabilitation Centre.
Foto 13: Durante la dimostrazione del 2014 per i trent’anni dal disastro, alcuni ragazzi sul muro che delimita i resti della Union Carbide smembrano un fantoccio che rappresenta Warren Anderson, CEO della compagnia nel 1984.
Foto 14: Amida Bi, sopravvissuta e attivista di Bhopal, all’interno dello scheletro di un capannone della Union Carbide.