Lavoroculturale#10. Ieri oggi e domani

Quello che pubblichiamo oggi è il secondo articolo di uno speciale sul lavoro culturale oggi. Si tratta di una tavola rotonda collettiva con alcune/i dei redattori e delle redattrici del blog (la lista è in fondo).

Omar Flores, da Unsplash

Il lavoro culturale ha accompagnato e provato a influenzare le evoluzioni socio-culturali di questi dieci anni passati: “nei momenti in cui si fa strada in maniera ampia la necessità di articolare un pensiero su un evento (piccolo, grande, globale o locale che sia), lì lavoro culturale c’è quasi sempre” (am). Molteplice e eterogeneo – “trovo che lavoro culturale sia eclettico: ha una identità precisa ma ha un gruppo di lavoro meno circoscritto o meno immediatamente individuabile, è il suo importante punto di forza” (pr) – si può forse provare a trovare dei minimi comun denominatori: “il blog ha attraverso tante faglie sociali e politiche, provando a offrire chiavi di lettura critiche e interpreative. Dalle migrazioni agli attacchi terroristici fino alla pandemia e ai suoi effetti sull’istruzione, il lavoro e i rapporti sociali: il racconto che abbiamo cercato di costruire attorno agli eventi è stato spesso animato da un costante lavoro di smontaggio e ri-montaggio dei discorsi e delle immagini che affollano il dibattito e si imprimono nel nostro immaginario” (mc). “La crisi del berlusconismo, l’avvento del Movimento 5 Stelle e dopo di loro l’ascesa di Salvini e il rafforzamento costante delle destre hanno cambiato, in questi dieci anni, il rapporto tra linguaggio e realtà. Abbiamo cercato di indagarli anche puntando la lente su dettagli, su elementi ai margini del panorama: penso al discorso fatto sulle immagini, sulle politiche emergenziali legate alle catastrofi, sulla letteratura e sui media, ma non solo” (mtg).

Ieri

Proviamo a fare un passo indietro, alle origini del blog, guardando all’ambiente culturale da cui è nato. “Nel 2006 è uscito Gomorra di Roberto Saviano. Nei mesi successivi, su Nazione Indiana, Carmillaonline, Giap, Lipperatura, etc. si discuteva quotidianamente di oggetti letterari e artistici ibridi, ‘non identificati’, delle forme della testimonianza pubblica e di una rigenerazione dell’impegno artistico e culturale. Ogni pezzo aveva decine, centinaia di commenti, e finiva che uno studente poteva interagire e dissentire con un professore altrimenti inarrivabile, o magari con uno scrittore o un artista. Poco tempo dopo, Saviano fu ufficialmente investito del ruolo di intellettuale pubblico, con tutto ciò che comporta. Il progetto il lavoro culturale nasce in quel contesto. Contro i rischi di un ‘intellettualismo individuale’, il nostro progetto si è basato fin da subito sull’idea di pensarci come ‘intellettuale collettivo’, dove la capacità di interconnessione di un gruppo multiforme prevalesse sulla qualità e visibilità del singolo. Fin dall’inizio, uno degli obiettivi è stato la trasversalità: l’idea di aggregarci e aggregare non in relazione a un tema, un oggetto specialistico o un approccio disciplinare univoco, ma nella costruzione di una sensibilità aperta e condivisa” (fz). Se c’è una data di fondazione, c’è anche un luogo: “tra il 2010 e il 2011, in una manciata di mesi, in una piccola città come Siena vengono fondati tre blog culturali o letterari: 404: file not found, Le parole e le cose, e il lavoro culturale. Nel 2008 l’Università di Siena era andata vicina alla bancarotta, con inevitabili effetti sul piano scientifico e culturale. Per gli studenti e ricercatori precari si era aperto un grande vuoto di programmazione che si univa ad altri vuoti, molto più dolorosi. Se si riascoltano le registrazioni del seminario di apertura del progetto il lavoro culturale, la nostra idea era quella di spingerci oltre il giudizio, oltre la sanzione. Volevamo un’università nella quale un sociologo, un semiologo, un antropologo, uno studioso di letteratura o di cultura visuale potesse confrontarsi con uno scrittore, con un regista, con un attore, con qualsiasi figura portatrice di un “sapere pratico” come con un compagno di strada (fz). E i luoghi sono anche forieri di ricordi: “mi manca via Pantaneto, le sigarette fuori dal portone della biblioteca di Lettere, il giardino della biblioteca, la Corte dei Miracoli. Gli scenari de il lavoro culturale delle origini. Ma non mi piace la retromania. Il lavoro culturale ci porta pel mondo: ci incontreremo di tanto in tanto con gli altri redattori, ai piani bassi delle università d’Europa, in quelle quattro strade alla periferia delle smart cities dove vi do appuntamento per camminare fino alle quattro del mattino a chiacchierare di operai piombinesi, minatori maremmani e grappa cattiva. Portate scarpe pesanti da contadini, mi raccomando” (ap).

Oggi

Cosa resta quindi dell’organizzazione del lavoro culturale di dieci anni fa? “Mi pare che in qualche modo i social media abbiano cannibalizzato il resto. Dieci anni fa avevo il Reader con i blog e siti che seguivo più spesso, adesso quasi tutto è veicolato dai social” (lp). “Buona parte del dibattito online si è oggi spostato sui social network che ne hanno normalizzato e addomesticato lo slancio. Anche il dibattito sul ruolo dell’intellettuale nella società è in un certo senso scemato. Sarebbe facile dire che all’intellettuale si è sostituito l’influencer, ma non credo che sia così. Piuttosto, le dinamiche di influenza sui social tendono a generare continuamente nuove voci autorevoli e potenzialmente trasversali – capaci di allargare gli sguardi e costruire alleanze – finendo poi per profilarle in relazione a uno specifico target sociale, generazionale o di altro tipo: “il regista dei Baby boomer”, “l’economista della working class”, “il filosofo dei Millennials”, etc” (fz).

È cambiato quindi drasticamente il panorama: “quando lavoro culturale è nato era pionieristico, mentre ora è, in un certo senso, resistenziale. Rispetto a dieci anni fa, oggi avere un blog collettivo, gestito completamente su base volontaria da un gruppo di trentenni, è un gesto quasi anacronistico – lo scrivo con una certa ironia. Basti pensare anche solo a quanto il diffondersi dei podcast abbia cambiato la fruizione dei contenuti on line. Molti blog che sono nati insieme a noi e con strutture simili, oggi non esistono proprio più” (mtg). Eppure non sono spariti i luoghi dove prendere parola, anzi, sono probabilmente aumentati, cambiando: “credo che sia aumentato il numero di blog e altre realtà online che, da varie prospettive, contribuiscono all’analisi (più o meno) critica dell’esistente. Probabilmente, questo fatto ha reso più difficile avere visibilità e, di conseguenza, ha spinto molte di queste realtà a cercare il modo di ottenerla, differenziandosi o, viceversa, imitando soggetti più affermati. lavoro culturale mi pare che abbia mantenuto la sua linea, multiforme già in partenza, osservando cosa succede intorno ma senza ossessioni o preoccupazioni rispetto al proprio spazio e alla propria riconoscibilità.” (eg) “Sicuramente da un lato ci sono sempre più spazi e modi per mettere insieme esperienze come la nostra. Dall’altro diventa difficile resistere. Si aggiunge il fatto che il lavoro salariato da cui si cerca di ritagliarsi spazi di lavoro culturale libero si è dilatato talmente tanto da fagocitare la vita intera. Si è sempre al lavoro… Dunque si è sempre in quel bivio in cui in redazioni come la nostre emerge il dubbio: ‘ma non sarebbe forse meglio farsi comprare e stipendiare?’. Poi però uno ci riflette e capisce questo romperebbe l’incantesimo.” (np)

Domani

Forse il momento più sconvolgente,ossia capace di produrre grandi sconvolgimenti politici, economici e culturali, è proprio quello che stiamo vivendo ora: “Con ogni evidenza il 2020 ha segnato una svolta drastica nelle nostre vite, soprattutto nella nostra relazione con l’online” (gt). “Trovo che la svolta più epocale sia quella in corso, determinata dalla pandemia da Covid 19, con tutto quello che ne consegue in termini di cambiamento delle relazioni, degli spostamenti, del mercato del lavoro e della didattica. Facciamo ancora fatica a capirne i confini e questo, del resto, ci caratterizza: l’approccio di Lc è sempre stato quello di non stare a tutti i costi ‘sul pezzo’ ma provare a confrontarsi con chi a vario titolo stava indagando sui quei fenomeni, in un filone di dialogo tra discipline differenti. Provare, appunto, a scardinare la comodità degli schieramenti ‘pro o contro’. Forse gli interventi più interessanti di lavoro culturale sono quelli che ancora dobbiamo leggere” (mtg)

 E quindi, cosa ci aspettiamo dal domani? “Vedo un panorama di informazione e conoscenza generalista (termine niente affatto sminuente) piegato in maniera desolante ai dettami del neoliberismo, del buonsensismo e dell’opinionismo, e dunque della semplificazione e assuefazione ai piccoli e grandi poteri. L’impresa culturale, con tutti i suoi pregi (approfondimento, rispetto per chi ne fruisce) e i suoi difetti (ambizioni irrealistiche e sicumera) interviene per riorganizzare questo panorama, magari facendo crescere un po’ d’erba” (gf). “Non credo però che la situazione peggiori man mano che si procede: credo anzi che il panorama culturale sia davvero interessante e abbia andamento sinusoidale (per questo è interessante anche quando fiacco). Più che i nuovi despoti temo i nuovi pacificatori: la tentazione dell’anestetizzazione mi sembra decisamente peggiore della censura o addirittura dell’esaltazione del fascismo (che è viva e lotta contro di noi)”. (gt)

Non sappiamo se domani sarà un giorno migliore, ma possiamo provare a capire come affrontarlo: “Realtà come il lavoro culturale o di altre imprese culturali riusciranno a dare un contributo nella risposta a questa come di altre sfide, solo se riusciranno a rinnovare l’idea di un vivere spiccatamente politico, laddove si fosse d’accordo che ‘politico’ sta a indicare una maggiore cura delle relazioni e una maggiore capacità di immaginare nuovi modi di vita e perché no, di nuove forme di lavoro culturale. Quello che un’impresa culturale può sicuramente fare in frangenti di crisi – e chi non lo fa dovrebbe iniziare a farlo al più presto, anche con tentativi imperfetti – è fare politica in questo senso, configurando tale sforzo come un diritto che si ha il piacere di esercitare, non come un dovere da seguire con un senso di obbligo” (cc). “Cosa ci riserverà il nuovo decennio di lavoro culturale  non lo so, non ho poteri precog, ma credo che gli scenari saranno sempre più internazionali e dovremo saper allungare le quattro strade della periferia di Kansas City ad ogni angolo del fottuto orbe terraqueo, alla ricerca di nuove province da cui dar battaglia” (ap). 

Hanno contribuito a questa serie:

Lorenzo Alunni (la)

Massimiliano Coviello (mc)

Cecilia Cruccolini (cc)

Giuseppe Forino (gf)

Enrico Gargiulo (eg)

Maria Teresa Grillo (mtg)

Angela Maiello (am)

Nicola Perugini (np)

Alberto Prunetti (ap)

Luca Peretti (lp)

Paola Rivetti (pr)

Giacomo Tagliani (gt)

Francesco Zucconi (fz)

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Continua. Il terzo articolo della serie #lavoroculturale10 uscirà il 15 febbario. Il primo si trova qui.

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