«L’arte è morta, e si vede»

Gli Esercizi di rianimazione di Andrea Cosentino. [Con 404: file not found abbiamo scelto e visto alcuni degli spettacoli di SienaFestival]

di Umberto Mazzei e Pamela Pifferi

Sul palco della sala Lia Lapini lo scorso 10 ottobre è andato in scena per il SienaFestival Esercizi di rianimazione, il nuovo spettacolo di Andrea Cosentino che, insieme a Francesco Picciotti, propone una serie di tre brevi pièces – Pane ai circensi, Cazzatelle e Il popolo dei topi – che si interrogano sullo stato attuale dell’arte, sulla sua funzione e sulle sue possibilità.
Muovendo dalla tradizione del teatro di narrazione italiano, Cosentino spazia tra il teatro popolare e l’avanspettacolo, tra l’avanguardia e il varietà, attraverso l’uso, l’abuso e lo svuotamento dei più disparati linguaggi teatrali.

Pane ai circensi apre lo spettacolo senza preamboli: il pubblico ha appena iniziato ad entrare e si sta accomodando sulle gradinate mentre i due attori, a lato del palco, interpretano due accattoni disposti a tutto pur di farsi lasciare qualche elemosina. Con voce deformata dal microfono, Cosentino itera a intervalli regolari la domanda “mi dai dei soldi?” mentre Picciotti agita ritmicamente la ciotola con le monete, conferendo alla scena un carattere straniante e ipnotico al tempo stesso. Si affronta così la questione dei rapporti tra arte e denaro, in cerca di una definizione che fissi i confini tra teatro e accattonaggio, imponendo una riflessione sui metodi e l’efficacia della provocazione. Cazzatelle pare cambiare registro e volgere più esplicitamente verso il ludico. Burattini, barzellette, travestimenti posticci, imitazioni e finti proverbi, declinati con un armamentario di oggetti di scena che include bambole, spugnette, giocattoli e altri utensili della quotidianità.

A prima vista ci si trova di fronte a un esempio di bassa comicità da cabaret per un pubblico dai gusti facili. Tuttavia la mancanza di pretenziosità di questi divertissements è continuamente rimarcata dall’attore stesso, che così facendo rivela il grado di concettualizzazione a monte della scrittura e consente di abbandonarsi alle copiose risate strappate. Le cazzatelle si configurano dunque come esperimenti sui singoli elementi di cui si compone uno spettacolo, scissi e ridotti in forma minima, essenziale: il corpo, la voce, le espressioni facciali, gli abiti e gli attrezzi di scena. Il popolo dei topi chiude la triade con una rappresentazione dell’ultimo racconto di Franz Kafka Giuseppina la cantante ovvero il popolo dei topi. Picciotti, travestito da topo gigante, racconta la trama prima con accento barese, poi – con virtuosistico excursus – simultaneamente in tutti i principali dialetti italiani, infine ne inscena l’epilogo servendosi di due pupazzi in un teatrino di marionette. Il testo kafkiano, già di per sè un commento sul rapporto artista-società, su senso e utilità dell’arte, è affiancato dal commento comico e denigratorio di Cosentino sulla pochezza della rappresentazione offerta dal suo compare.
Al di là dell’ormai classico effetto metateatrale si intravede, negli Esercizi di rianimazione, il tentativo di superare uno stallo. Cosentino porta sul palco l’arte stessa: la osserva, le tasta il polso, ne constata il decesso, quindi esamina la situazione con lucida ironia. Accanto alla dissacrazione del linguaggio allora assistiamo anche a quella concettuale. I suoi quadretti esilaranti mettono in luce alcune questioni fondamentali con cui chi fa e chi fruisce l’arte deve confrontarsi. Lo spettacolo non solo pensa apertamente se stesso ragionando sui propri limiti, ma sottopone a critica questo procedimento, in un circolo autoreferenziale che pare portare inevitabilmente alla battuta finale: “e mo’?”. Davvero l’arte è condannata ad essere il vuoto contenitore di oggetti che non rimandano ad altro da sé?
Cosentino ci diverte, ci deride, ci sollazza, ci fa sentire intelligenti e stupidi insieme, in continua oscillazione tra il comico e la drammaticità dei problemi sollevati. La sua proposta sembra indicare nel radicamento in una tradizione (teatrale, letteraria e popolare), nell’individuazione dei maestri (Artaud e Duchamp su tutti) e nella forza onnipervasiva del riso le possibili vie d’uscita.

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