Ricomincio da due: il percorso gentile di un laboratorio della differenza

Attorno alla differenza, l’esperienza di Labodif: istituto di ricerca, comunicazione e formazione.

Ci sono dei nomi che se dati alle cose non ne impediscono altri; ci sono delle differenze che se fatte esistere, non impediscono ad altre di avere una propria vita.  Ce lo insegna Labodif, un laboratorio permanente fondato e coordinato dall’economista Giovanna Galletti e dalla regista Gianna Mazzini, dedicato alla ricerca, alla didattica e alla comunicazione della differenza a partire dalla differenza sessuale come differenza primaria.

In un’epoca tendente al sessismo, all’omofobia e a razzismi di ogni sorta, la strada intrapresa da molti e molte di noi per difendere i diritti di minoranze, maggioranze scomode e angoli di noi insintetizzabili, è sempre più orientata verso un’idea di differenza astratta e multiforme. Questa inclinazione dà potenzialmente casa a ogni specificità ma, paradossalmente, corre il rischio frequente di non comprenderne davvero mai nessuna. Mossi dal timore di sprofondare nell’essenzializzazione di caratteristiche, forme, desideri e orientamenti a scapito di noi stessi e di altri, stiamo decidendo di infilare ogni angolo di noi in un’idea generica di differenza che dovrebbe farsi carico di ogni specifica diversità. Stiamo producendo un concetto di creolizzazione in grado di mettere assieme meticciato culturale, etnico, linguistico, geografico, sessuale e di genere. Insomma, per paura che riconoscere una cosa significhi disconoscere o negare le altre, mescoliamo tutto: da dove veniamo, come parliamo, le nostre biografie, il modo in cui viviamo i nostri piaceri e quello in cui viviamo i nostri corpi. Se da un lato si tratta di un’operazione che ci appare intellettualmente necessaria per disinnescare l’appiglio possibile di ogni dispositivo discriminatorio, dall’altro, con l’imposizione di questa astrazione, impediamo alle differenze che si manifestano nella realtà di essere previste in quanto tali e finiamo per negarle senza rendercene conto.

Tra molte, la differenza di cui sono portatrici le donne continua ed essere quella più penalizzata. Se a lungo lo è stata rispetto ad una cultura capace di parlare solo la lingua dell’uomo, continua ad esserlo anche ora, nonostante le lotte e le conquiste realizzate dal movimento femminista, mentre si sta cercando di costruire un discorso sul diritto alla diversità in un senso più ampio. La tendenza alla neutralità dell’osservazione,  che viene nuovamente proposta sotto nuovi abiti (dalla retorica della parità a quella della multiformità), per avvicinare tutte le differenze mettendole tutte sullo stesso piano, torna a nascondere la donna in un contenitore che, in quanto neutro, non può prevederla. Si pone quindi come un’urgenza la necessità di trovare nuove forme e nuovi percorsi di svelamento del neutro per restituire a ogni diversità le proprie specificità, a partire da quella delle donne.

Ed proprio questo quello che Gianna Mazzini e Giovanna Galletti stanno facendo con Labodif: attraverso una serie di attività, che vanno dalla ricerca alla formazione e alla comunicazione, lavorano quotidianamente alla definizione di un universo simbolico, quello femminile, fino ad ora sempre taciuto, mistificato o detto in modo troppo frammentario ed episodico. Il percorso di Labodif, mosso dal desiderio di restituire alla realtà il due che le spetta, ha radici salde in un’esperienza più che decennale che ha preso il proprio via a metà degli anni Novanta. Dopo aver scoperto e attraversato il pensiero della differenza prodotto fino a quel momento, Gianna e Giovanna hanno avviato un lunghissimo periodo di ricerca, durante il quale sono riuscite a mettere a fuoco gli snodi e l’intelaiatura di questo universo simbolico nascosto che trova fondamento nell’assunto secondo cui l’origine della differenza si genera a partire dalla nascita. Il nostro rapporto con la vita cambia a seconda del fatto che siamo nati e nate da una persona simile o da una dissimile e da come questa linea di continuità o discontinuità sia stata completamente trascurata.

Nel 2006, forti dei dieci anni trascorsi tra studio e incontri laboratorali, hanno presentato a una grande agenzia pubblicitaria internazionale una proposta d’indagine caratterizzata da un metodo alternativo a quello classico e capace di liberarsi della neutralità dello sguardo. Una ricerca che mirava a individuare la forma della soggettività femminile e che partiva dalla necessità di capire come far emergere i fondamenti della differenza e come tradurli negli strumenti della conoscenza. L’assunto da cui partiva l’intera riflessione era quello secondo cui l’astrazione e l’esperienza costituiscono le due grandi differenze che guidano il modo con cui gli uomini e le donne si muovono nella loro vita. Era quindi necessario sradicare le domande da una percezione astratta della realtà e ricalibrarle su un modo, quello delle donne, profondamente diverso che avrebbe dato voce a uno sguardo sul mondo differente.

L’agenzia committente, spiazzata dai risultati ottenuti, secondo i quali sarebbe stata costretta a modificare integralmente la propria linea di condotta su ogni fronte, si è ritirata. In pochissimo tempo però, i maggiori gruppi editoriali italiani (tra cui RCS e Mondadori) hanno acquistato la ricerca. Se il riconoscimento del valore del lavoro svolto ha costituito un momento importante per la crescita del percorso sempre più concreto di Labodif, la visibile difficoltà di applicazione dei risultati che avrebbero dovuto riorientare lo sguardo editoriale in virtù di un pubblico di uomini e donne pensati sia dagli uomini che dalle donne, ha spinto Gianna Mazzini e Giovanna Galletti a tradurre il percorso che avevano compiuto fino a quel momento in un percorso di formazione, da ripetere e condividere.

Nel 2009 Labodif, in dialogo con camere di commercio, aziende e realtà territoriali lungo tutta la penisola, avvia dei corsi strutturati che cominciano a frequentare moltissime donne di età, provenienza e professione differente. Una classe segue l’altra e le aule si riempiono grazie a un passa parola continuo tra le donne che seguono un percorso a tappe grazie al quale escono ogni volta più felici perché più padrone di sé. L’esperienza, senza diventare terreno di intimismo ma rivelandosi spazio d’incontro tra donne diversissime tra loro ed epicentro di nuove possibilità grazie alle quali ripensare sé e il mondo, diventa la trama narrativa che comincia ad articolarsi tra i rami dell’architettura di un universo simbolico, quello femminile, che un po’ per volta viene finalmente riconosciuto. Ed ecco che parole come libertà, corpo, tempo, madrità, spazio e relazione acquisiscono forme e significati differenti pronti per rendere lo sguardo sulla realtà e il proprio modo di fare la vita più ricco e gentile di quando ogni cosa veniva guardata con uno sguardo che non ci corrispondeva altrettanto perché o imposto o preso in prestito.

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