La trap è morta. Viva la trap!

I primi ad accorgersene sono gli stessi trapper italiani che cercano nuove strade. È stata, dunque, solo una moda? No, ecco perché la trap, in uscita dai suoi anni di furiosa creatività, può essere letta come traccia del processo di ricombinazione della generazione nativa digitale.

La trap è morta

L’affermazione al festival di Sanremo di due degli esponenti più rappresentativi della trap italiana – Achille Lauro e Charlie Charles, che ha prodotto il brano vincitore – è probabilmente al contempo il picco di una scalata nel consenso popolare e il canto del cigno di una scena che in pochi anni ha stravolto la cultura di massa giovanile più di qualsiasi altro fenomeno negli ultimi vent’anni.

La svolta a Sanremo

Nel 1994 Kurt Cobain se ne andava in giro con una t-shirt che recitava beffarda “Grunge is dead”. Così come il grunge, almeno secondo il suo principale interprete, non ha più senso come scena musicale nell’anno più gravido di pietre miliari, anche per la trap italiana, è la consacrazione nella cultura di massa, a conclusione di un paio d’anni di scalata graduale e inesorabile alle classifiche (fino al fenomeno Rockstar di Sferaebbasta), a segnare l’esaurimento di quello scenario come motore propulsivo per un rinnovamento dell’immaginario generazionale.

E i primi ad accorgersene sono proprio i trapper che hanno raggiunto il successo.

Non è un caso se Achille Lauro, secondo solo al vincitore del Festival nella classifica ufficiale vendita + streaming a una settimana da Sanremo, si presenta sul palco dell’Ariston con un pezzo rock’n’roll, le cui influenze più o meno esplicite sono di cantanti e gruppi lontani dalle sonorità trap (Smashing Pumpkins, King Krule, Pulp). Lo stesso brano, Rolls Royce, vede tra i suoi autori Davide Petrella, uno dei più quotati nel pop italiano contemporaneo (ha scritto per Gianna Nannini, Cesare Cremonini, Tiziano Ferro, J-Ax e Fedez, Francesco Renga, Fabri Fibra). Allo stesso modo, il produttore più influente in Italia, (lavora abitualmente con Sfera e Ghali), Charlie Charles sceglie un brano non trap per fare il suo ingresso nel salotto buono della musica popolare italiana.

Enter the Pop system

Ma la corsa a emanciparsi dalla trap è comune a molti nomi della scena italiana. Già l’ultimo album in studio di Ghali (2017) mostrava tutte le sue potenzialità pop e black,  esplose l’anno successivo con Cara Italia (pensato già in partenza come spot della Vodafone), mentre gli idoli “punk” della scena trap italiana, la Dark polo gang, vengono pesantemente criticati dalla propria base di fan con la pubblicazione dell’album Trap lovers: sonorità più morbide a detta degli stessi e testi che abbandonano l’ossessione per la droga e la vita di strada per concentrarsi sull’amore. Per saltare il fossato scavato dalla base indie-trap, si affidano a Canova, un produttore storico che ha lavorato tra gli altri per Giusy Ferreri, Jovanotti, Alessandra Amoroso, Celentano, Giorgia e Antonacci.

La trap è morta

 

Anche la Love Gang è un esempio di evoluzione in questo senso. I due più famosi esponenti, Carl Brave e Franco 126 hanno preso strade autonome di emancipazione dal genere (sebbene già dall’album Polaroid mostrassero di utilizzare della trap solo l’autotune e alcune atmosfere, per fare un genere-ponte con il cantautorato indie): Carl Brave è stato nell’estate del 2018 il primo di questa ondata a piazzare un singolo mainstream sulle radio commerciali italiane (Fotografia, con il feat di Fabri Fibra e Francesca Michielin), affinando i vecchi strumenti in chiave pop, mentre Franco 126 a inizio 2019 pubblica un album ispirato per sonorità e scrittura al cantautorato italiano degli anni Settanta e Ottanta (vengono meno i riferimenti toponomastici a Roma, ai brand e alle situazioni  storicamente contestualizzabili). Tra gli altri membri della Love Gang, Ketama 126 pubblica il disco Rehab, in cui le sonorità vengono influenzate dalla passione dello stesso per il metal, il grunge e il rock anni ’90 in genere.

A parte il capofila (per numeri e seguito) del genere in Italia, Sferaebbasta, che non sembra al momento interessato a mollare la presa, praticamente tutti gli esponenti principali della trap sembrano lanciare un segnale univoco: il genere sta stretto, per crescere e soprattutto “durare” nel tempo, bisogna evolversi. Apriamo una parentesi sul mercato Usa, dove la trap è nata, che sembra confermare l’andamento raccontato riguardo l’Italia. A fine febbraio 2019, Nella classifica dei dieci brani più ascoltati, dominati da due singoli di Ariana Grande, gli idoli della trap cedono il passo al ritorno di gran carriera del pop e del rap.

Saggi come i nostri genitori (se avessero i tatuaggi in faccia)

L’evoluzione verso generi più tradizionalmente più “solidi” conferma, come scritto in precedenza, che ci troviamo di fronte a una generazione di artisti che a fronte di un’immagine rozza, per certi versi barbara se analizzata con gli strumenti culturali del passato, mettono sul piatto una dedizione e una consapevolezza del loro percorso che probabilmente gli stessi campioni della musica italiana di venti, trenta anni fa, non avevano a inizio carriera. In più di un’intervista, Achille Lauro sottolinea di come il successo arrivato a Sanremo segua anni di notti insonni a produrre musica, e a girare con i live per i club. Nessuna tra le trap star italiane, per quel che risulta dai loro racconti, è stata un asso a scuola, ma tutte raccomandano ai fan di studiare o per lo meno lavorare sodo per realizzare l’obiettivo che si sono preposti. Insomma, quando si toccano certi argomenti sembra di sentire i consigli dei nostri genitori, con la sola differenza che i nostri non hanno tatuaggi in faccia e non parlano sbiascicando.Il genere trap rappresenta una generazione di ragazzi che nella resa culturale alle macerie del fallimento del modello capitalistico avanzato come fonte di benessere crescente e generalizzato, provano a tirarsi fuori dalla melma da soli. Non vi è in loro nessuna ambizione a mettere in discussione politicamente il sistema economico e culturale in cui sono cresciuti (è semmai il loro stesso irrompere nella scena ad essere essa stessa una denuncia vivente di ciò che gira a vuoto).

Un percorso coerente lontano dalla maniera

Per questo motivo, appaiono del tutto fuori fuoco le critiche di chi – fan della prima ora ma anche studiosi dell’ultima – accusa i trapper italiani di imborghesimento e abbandono della trincea iconoclasta del totem “produci, consuma, crepa”. Al contrario, sin dall’inizio, la Dark polo gang, Ghali o Sfera, chiariscono che l’obbiettivo è quello di fare soldi, diventare famosi, avere il pass per i locali da cui li lasciavano fuori quando “non erano nessuno”. Da questo punto di vista il percorso di uscita da un genere ormai fattosi maniera (tanto da essere abbondantemente parodiato sui social) , è del tutto coerente con le aspirazioni iniziali. Persino la prima trapper italiana al livello dei colleghi maschi per capacità di scrittura, flow, attitudine, Chadia Rodriguez, è esplosa con Sarebbe comodo, un pezzo introspettivo e malinconico che anche nella composizione dei versi assomiglia più a un cantautorato pop di spessore che allo stesso genere di Sfereabbasta. Al contrario, le altre trapper che provano a emergere in Italia seguendo binari già battuti, come le Badass B, suonano già di maniera e prive di vitalità.

La trap è morta

Dunque, troppo rumore per nulla?

Dunque, se è vero che l’epoca d’oro della trap è durata un lustro o poco più, possiamo derubricare il genere a una semplice moda passeggera, come sostenevano i detrattori furiosi spiazzati da Sferaebbasta, Dpg e compagnia? No, sarebbe stupido giudicare l’importanza di un movimento musicale in base alla sua durata. Per fare un paio di esempi: sia il punk che il grunge hanno avuto un’età d’oro analoga, 4-5 anni. Quello che conta è il potere di influenzare la cultura giovanile, il modo di vestire, di tagliarsi i capelli, di tatuarsi persino, così come quello di esprimersi. Quest’ultimo aspetto è una buona cartina di tornasole per distinguere mode da svolte epocali. Rimanendo in ambito musicale, la scrittura trap ha modificato il nuovo pop (frasi brevi, abbandono della rima, utilizzo di sostantivi secchi o semplici nomi di brand commerciali per indicare una condizione, toponomastica locale utilizzata con noncuranza del diverso background degli ascoltatori). Citiamo per esempio i Coma Cose, gruppo indiepop che si è trovato in alta rotazione sulle radio commerciali nell’estate 2018, o il caso di Alessandro Raina. Il primo singolo da solista dopo un lungo silenzio dell’ex leader di uno dei migliori gruppi indie degli anni zero, gli Amor Fou, nonché autore dei diverse power hits delle ultime stagioni (Malika Ayané, Giusy Ferreri, Luca Carboni), dal punto di vista della scrittura, è né più né meno che un pezzo trap. Anche la nuova promessa millennials della musica italiana, una sedicenne vicentina che ha scelto come nome d’arte Madame, supera gli stilemi della trap (ascoltate il singolo magnetico Sciccherie) ma solo dopo averli assorbiti e rimasticati. Passeranno anni prima che un altro genere musicale riesca a influenzare moda, linguaggio, arte, come la trap.

Il ritorno agli strumenti e la fascinazione del rock

Tornando all’evoluzione della scena, è interessante osservare come cresca l’interessamento verso la musica suonata per una generazione di musicisti nativi digitali. Prima abbiamo citato alcuni casi italiani, ma aggiungiamo il percorso di Post Malone, uno dei re della trap mondiale. Nei suoi live non di rado imbraccia una chitarra ed esegue cover dei Nirvana, e parte del suo potere contrattuale e della sua fama li usa per salire su palchi televisivi e suonare insieme a rockstar come Aerosmith e Red Hot Chili Peppers. Non si tratta solo del fatto che un genere ormai dato per morto da diversi critici ed esperti di settore, eserciti ancora una fascinazione magnetica anche su chi non ne ha vissuto le epoche d’oro (Vasco stella cometa di Achille Lauro, Sferaebbasta che chiama il suo album Rockstar), ma di un vero e proprio ritorno all’analogico. Così come le camere dei millennials aprono le porte ai giradischi (lo scorso anno i vinili e i cd  hanno superato negli Usa il numero di download a pagamento) gli artisti nativi digitali cercano istintivamente di recuperare la terza dimensione della musica suonata, chitarra, basso, batteria, sassofono, come passaggio indispensabile per l’evoluzione personale e stilistica.

La trap è morta

La ricombinazione dei nativi digitali

Non si sta affermando che tra qualche anno i beniamini del genere trap rilasceranno album folk o metal (magari qualcuno lo farà pure), ma che l’aver dato per spacciato il vecchio mondo analogico, è stato forse troppo affrettato. Il virtuale, il sintetico, l’immateriale, inizia un processo di ricombinazione con la sporcizia, la fisicità e l’imperfezione della materia. Non per nostalgia, ma per consapevolezza che l’unico modo di non sparire tanto velocemente quanto si è irrotti, è quello di ancorarsi alla terra. Una tendenza che probabilmente non riguarda solo la musica, ma i processi di costruzione di senso dell’essere umano contemporaneo, a partire dall’organizzazione sociale, i bisogni materiali, le spinte pre-politiche che condizionano la politica stessa. Per dirla con l’evoluzione tecnologica, la realtà virtuale e quella aumentata sono solo passaggi progressivi e intermedi verso i cyborg: funzioni biologiche e microprocessori combinate per un organismo nuovo. E forse anche la trap, nei suoi anni di furiosa creatività, è stata una traccia di questo processo.

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