Una recensione di “La sitcom. Genere, evoluzione, prospettive” di Luca Barra.
Nell’ambito della comunità di spettatori seriali sembra esserci una distinzione molto netta: ci sono coloro che si appassionano e partecipano con entusiasmo al mondo della sitcom e chi resta sostanzialmente indifferente alla comicità seriale. Mentre il discorso che si genera a partire dalle grandi (o piccole) serie drama riesce spesso a sfondare il muro di nicchie, circolando in modo trasversale ai generi e alle comunità di riferimento – pensiamo al successo di Game of Thrones – la discorsività che si produce intorno alle sitcom, invece, sembra essere fortemente legata ad un sentimento di appartenenza al genere stesso. La grande serialità contemporanea si caratterizza proprio per il fatto di riuscire a creare mondi, con prassi, linguaggi e intonazioni emotive specifiche che raccolgono e uniscono gli spettatori. Nella ricezione della sitcom questo processo sembra essere tanto più fondante quanto, per certi versi, evanescente. Non ci sono grandi immaginari o mondi che vengono costruiti, giochi linguistici che superano la cerchia stretta dei fan, tutto si può ridurre ad un divano sgangherato. Eppure li vedi, gli appassionati di sitcom: si scambiano battute e occhiate compiaciute, condividono la tonalità del comico specifica di quel determinato racconto seriale e sembra quasi che si siano seduti anche loro su quei divani. Non è un caso, forse, che una delle attrazioni più attese del tour degli studios delle Warner Bros. di Los Angeles sia proprio il famoso divano di Friends. E tu, che non hai il dono della comicità seriale, non riesci a capire, e più ti sforzi di entrare nel suo mistero, più continui a non capire.
Il volume di Luca Barra La sitcom. Genere, evoluzioni, prospettive (Carocci 2020) prova a spiegare quello che chiameremo mistero del divano, brillantemente rievocato in copertina proprio nel suo carattere seriale, e lo fa incrociando due prospettive: quella delle storia della sitcom americana e quella della storia della ricezione e dell’adattamento della sitcom in Italia. Sono due gli aspetti che colpiscono il lettore (soprattutto se è spettatore fuori dalla bolla). Il primo è che la sitcom ha una tradizione molto lunga, che il volume ripercorre in modo analitico e dettagliato; il secondo e che, in questo suo attraversare decenni e epoche, la sitcom finisce per intrattenere un rapporto di straordinaria vicinanza, non soltanto con il proprio presente, ma soprattutto con il contesto culturale di riferimento. L’elemento, allora, che risulta di particolare interesse, perché forse ci aiuta ad entrare nel mistero della comicità seriale è che, se è vero che oggi i racconti seriali si rivolgono ad una potenziale platea di spettatori sempre più ampia, globale potremmo dire, in virtù delle “nuove” modalità di distribuzione, questo formato comico, però, mantiene un rapporto strettissimo, di dialogo e rispecchiamento o rovesciamento con la realtà e con il contesto da cui proviene. Potremmo dire che il mondo della sitcom, è la sit: più che costruire mondi, la sitcom fa precipitare, condensa il mondo reale, il contesto socio-culturale di riferimento nella situation: il luogo di lavoro, le corsie di un ospedale, l’ambiente domestico di un gruppo di giovani newyorkesi, per far qualche esempio (i pochi noti a me fuori dalla bolla). Nell’atto di rovesciamento parodistico, dissacrante, del reale, magari già anche rimediato da un grande racconto drama (pensiamo a Scrubs) o anche nella ricomposizione pacificante di profonde rivendicazioni sociali (Will&Grace), la sitcom ritaglia in modo millimetrico un mondo e lo fa diventare una situazione. Ciò che garantisce il processo di serializzazione è proprio che tale situazione resta sempre stabile e costante, finanche negli arredi, che diventano così oggetti identitari per gli appassionati, permettendo in questo modo al racconto di andare avanti, episodio dopo episodio.
Scrive Barra: «L’engagement della sitcom si basa su un continuo dualismo tra le battute che stimolano la risata e la ripetizione di situazioni e personaggi simili, che gradualmente costruisce l’affetto: il piacere comico conquista, quello emotivo mantiene nel tempo» (p. 23). Nella stabilità del mondo, che non ha necessità di essere accresciuto o modificato dalle vicende dei personaggi, ciò che fidelizza lo spettatore è proprio la reiterazione di caratteri e dinamiche relazionali. In questo contesto i personaggi sono centrali e con essi si crea un vero e proprio rapporto affettivo. E qua sveliamo un altro piccolo pezzo di mistero del piacere della comicità seriale: a differenza delle serie drama, dunque, dove l’affettività passa innanzitutto per la partecipazione alla costruzione di un’impresa e quindi di un mondo, la sitcom diventa il luogo di massima prossimità con i personaggi e con le istanze che essi rappresentano.
Questo forte radicamento del genere nel contesto produttivo di origine, unito ad una sorta di pregiudizio che in Italia si è avuto nei confronti di questo genere, per lungo tempo considerato minoritario se non addirittura banale e triviale, amplifica l’effetto “nicchia” che avvolge la fruizione della comicità seriale in Italia. A fronte di un iniziale e ritardatario interesse verso le sitcom da parte delle tv commerciali italiane, che ha portato, scrive Barra, ad una «abbondanza confusa e disorganica» (p. 93), segue una “abbondanza di nicchia”. E così tocchiamo la specificità tutta italiana del mistero del divano: salvo rari casi di eccezionale successo, nei palinsesti delle tv lineari la sitcom viene relegata in fasce orarie e canali secondari e proprio questa scelta distributiva comincia a far emergere quell’aura di prodotto di nicchia, destinato a pochi fortunati, che alimenta quel forte senso di appartenenza al genere. Prima le pay tv e poi lo streaming, pirata o meno, ha permesso alla sitcom di radicarsi nelle abitudini di un pubblico selezionato diventando «uno tra i punti di riferimento privilegiati di una quality television persino elitaria, seguite da un pubblico non più di massa nazional-popolare, ma in qualche modo qualificato, colto, appassionato e fan» (p. 101).
Tutto ciò trova massima e (per il momento) definitiva espressione in Boris, la vera sitcom di culto italiana, in cui con irresistibile sarcasmo la tv (pay) mette alla berlina proprio quella produzione fiction generalista (l’indimenticabile Gli occhi del cuore), facendo precipitare, di nuovo, nella situazione del set “i mostri” dell’Italia di inizio Millennio. Anche in questo caso, dunque, una sitcom strettamente legata al reale e che, come ci dimostrano i meme che in questi giorni circolano in rete, ancora oggi riesce a rispecchiare il presente, smascherandolo con implacabile sarcasmo e surreale verosimiglianza.
