L’“ignoranza bianca” e un certo giornalismo italiano
In queste ultime settimane alcuni esponenti di punta del quarto potere stanno dando prova di grande capacità mistificatoria, non proprio qualità necessaria del buon giornalista.
Dal dibattito sul movimento di massa BLM, che da settimane sta manifestando negli USA il suo dissenso in seguito all’omicidio di George Floyd, non potevano certo esimersi le migliori penne italiane e tra le varie testate, sempre più schierate su posizioni neo-con, La Repubblica sembra dettare la linea.
Come Roberto Saviano anche il direttore Maurizio Molinari infatti non ha perso occasione per dichiarare senza vergogna la sua “ignoranza bianca”– si veda Franco Palazzi nel suo articolo su Jacobin – rigidamente e colpevolmente sorda al cambiamento.
Tra le tante cose che i moti di questi giorni ci stanno insegnando è che la narrazione dominante è stata fin troppo a lungo so/su-pportata e che sta a ciascuno di noi usare il proprio, anche piccolo, privilegio per confutarla; perché la struttura è più debole di quanto ci avevano convinti e perché per interrompere la catena occorre spezzare, di volta in volta, quei piccoli ma solidi anelli che la tengono insieme.
Il 5 giugno Molinari, ospite di Tg3 Linea Notte, in soli 2 minuti e 5 secondi di intervento evita a più riprese di fare giornalismo vomitando qua e là sprazzi di doxa, prontamente supportati da citazioni scorrette e sciorinamenti di dati parziali.
Non è una novità d’altronde che Molinari si “appoggi” a discorsi e parole altrui. Già da scrittore di best seller era stato scoperto con le mani nel libro di un altro; era stato Nicola Perugini a scoprire le infinite somiglianze tra Il Califfato del terrore di Molinari del 2015 e The Rising of Isis di Jay Sekulow dell’anno precedente.
Oltre ad evidenziare il problema deontologico insito nell’operazione di “citare senza virgolette”, Perugini ci invitava già allora a farci delle domande rispetto a chi fosse il modello di tale ispirazione. Se Jay Sekulow è quel noto e potente membro della destra cristiana americana, schierato da sempre su posizioni islamofobiche e pro-vita, avvocato del team legale di Donald Trump, in particolare l’unico autorizzato a fare dichiarazioni a suo nome durante il processo per impeachment, con chi si è schierato Maurizio Molinari? Quale sarà mai la sua ideologia di riferimento?
Maggiore chiarezza di fronte a queste domande la fa in diretta Molinari stesso proprio all’inizio del suo intervento. Per il direttore de La Repubblica gli Stati Uniti si fondano su principi ideali che, fin dalla stesura della Costituzione del 1787, sono stati traditi: tutte le persone sono uguali davanti alla legge eppure la schiavitù continuerà per oltre un secolo e questa ingiustizia di fondazione «è quella che Obama definisce l’original sin of slavery».
Fin qui tutto bene, ma ecco che la tesi che sottende al discorso si fa subito più chiara nei secondi successivi: gli effetti di tale peccato originale, continua Molinari sempre “citando” Obama, avrebbero lasciato una cicatrice che i bianchi «non hanno saputo rimarginare» e i neri, «vittima del proprio vittimismo», non hanno saputo superare.
Occorre qui fermarsi un momento per comprendere fino in fondo la gravità di tale affermazione.
Molinari non fa altro che ripetere il bias razziale secondo il quale i neri sarebbero ontologicamente incapaci di liberarsi dalle catene della schiavitù.
Lo stereotipo dei tempi dello schiavismo, quello del nero pigro e parassita sociale, si arricchisce, per giustificarsi, di sfumature moderne e così, oggi, la pigrizia si tramuta nella più sofisticata ignavia: il nero non agisce per sfondare il soffitto di cristallo nonostante la società di oggi glielo consentirebbe.
La mistificazione è evidente e necessaria per confermare agli occhi del colpevole uomo bianco la sua innocenza, se non originaria almeno contemporanea. L’uomo nero, dal canto suo, è evidentemente incapace di emanciparsi, intrinsecamente votato com’è al fallimento morale; l’adagio è sempre lo stesso: per liberarsi dalle catene egli necessita di un intervento salvifico, il deus ex machina. La Grace del Manderlay di Lars Von Trier che, piena di buone intenzioni, dall’alto del suo privilegio bianco mostra agli schiavi la realtà della loro condizione, aspettandosi la trasformazione da lei immaginata.
Questa vittimizzazione secondaria e paternalistica non è nuova nel linguaggio del potere, una dialettica caratteristica che Adorno nel 1947 individuò come «uno degli tratti più sinistri del fascista».1
La colpevolizzazione della vittima divenne formula nota nel 1971, quando William Ryan nel suo Blaming the victim criticò la tesi di Daniel Patrick Moynihan che in The Negro Family: The Case for National Action attribuiva la responsabilità della condizione in cui malversava la comunità afroamericana esclusivamente alle dinamiche della comunità stessa e, in particolare alle donne nere, colpevoli di indebolire la capacità degli uomini neri di funzionare come figure autoritarie; a conferma del fatto che misoginia e razzismo sono, insieme ad omofobia, transfobia e sessismo, tutte teste dello stesso mostro.
Anche in Italia il dibattito sulla colpevolizzazione della vittima non è affatto nuovo e meraviglia come questo meccanismo dialettico continui ad essere utilizzato nonostante le innumerevoli proteste dei movimenti femministi che si sono scagliati, fin dagli anni ’70, contro questo vergognoso abito, spesso indossato in sede processuale per umiliare le vittime di stupri e violenze.
Evidentemente a Molinari non è giunta notizia di questo.
Il discorso che cita più volte senza accennare al contesto in cui fu pronunciato è il famoso A More Perfect Union del 2008 che Obama pronunciò a Philadephia in piena campagna elettorale. Obama tenne questo discorso a marzo in seguito allo scandalo che investì il reverendo Jeremiah Wright, a lui profondamente legato, i cui sermoni radicali diventarono oggetto di attenzione da parte dei media. Obama così prese le distanze dal pensiero di Wright fino a definire il suo un «linguaggio incendiario».
Che Obama la pensasse diversamente dal suo pastore o che la sua fosse una mossa tattica per evitare di perdere le elezioni non sta a me dirlo. Di certo però chiarisce il clima in cui venne pronunciato lo speech nel quale Obama affronta in maniera complessa la questione del privilegio bianco e della disuguaglianza razziale; temi certamente delicati da fare per un candidato nero in un paese come gli Stati Uniti.
Nel discorso non vi è traccia del termine vittimismo, né se ne legge tra le righe l’imputazione di tale colpa alla popolazione afroamericana. Obama esorta le persone nere a non diventare vittime del passato di abusi e le esorta a prendere coscienza e ad agire insieme a ispanici, indiani americani e ai bianchi che vivono ai margini della società, per distruggere il famoso “soffitto di cristallo”: «For the African-American community, that path means embracing the burdens of our past without becoming victims of our past. It means continuing to insist on a full measure of justice in every aspect of American life. But it also means binding our particular grievances – for better health care, and better schools, and better jobs — to the larger aspirations of all Americans — the white woman struggling to break the glass ceiling, the white man who’s been laid off, the immigrant trying to feed his family.»
Purtroppo il saccheggio è ormai avvenuto e il rinforzo negativo è passato, ancora una volta, sotto silenzio, senza contraddittorio di fronte a un Mannoioni silenzioso e assertivo.
Che la ragione di tale uso strumentale della lingua sia causa di un’incapacità di immedesimazione dato dall’uso prolungato del privilegio o che sia invece consapevole distorsione della realtà non modifica il risultato: un pessimo servizio al giornalismo, un pessimo servizio all’informazione, un pessimo servizio all’umanità.
Ma Molinari non si ferma qui e continua nella sua opera di semplificazione riduzionista. Questa volta ad essere descritte senza il necessario approfondimento sono le conseguenze che il covid19 ha avuto sulla società americana.
Negli USA, secondo i dati raccolti dal World Economic Forum, le percentuali di decessi per Covid-19 tra gli afrodiscenti rispetto alla loro quota sulla popolazione sono più del doppio. Analizzando i dati dei singoli stati i risultati sono ancora più impressionanti; l’esempio del Kansas dove gli afroamericani, nonostante la popolazione afroamericana rappresenti il 6% della popolazione, sono morti a un tasso sette volte superiore a quello dei bianchi, è agghiacciante. Che dire poi della disoccupazione se non che nel primo trimestre del 2020 il tasso fra gli afroamericani è stato doppio rispetto a quello della popolazione bianca.
Se ne deduce facilmente che, per quanto l’epidemia abbia colpito l’intera popolazione mondiale, l’impatto sia stato estremamente diversificato; il virus non ha spazzato via le differenze socio razziali, non ha fatto da livella e sarebbe stato bene chiarirlo; ha piuttosto esacerbato il divario razziale esistente e lo ha reso eclatante con la freddezza dei numeri e delle percentuali.
Molinari, finalmente, si accinge a terminare il suo intervento e lo fa in grande stile:
«Da una parte abbiamo le immagini agghiaccianti della violenza del poliziotto di Minneapolis su George Floyd ma dall’altra abbiamo le altre immagini ugualmente agghiaccianti di orde di gente che si riversa dentro i negozi saccheggiando, depredando, assaltando i civili.»
Ancora una volta il discorso passa sotto silenzio, Mannoioni annuisce: tutto vero, tutto giusto. Forse che, viene disperatamente da chiedersi, Molinari intendesse dire altro rispetto a quello che invece poi ha effettivamente detto? Purtroppo no.
“Ugualmente”; in un avverbio di modo tutto il senso osceno di un’ideologia: l’espressione odiosa di una parificazione inaccettabile secondo la quale l’uccisione di un uomo innocente da parte della polizia sia grave quanto la distruzione della proprietà privata.
In fondo l’ideologia reazionaria neo-liberista non fa né ha mai fatto mistero di questo odioso relativismo morale. Sappiamo anche che la tutela della vita umana non è un valore assoluto in una società capitalista e che la tutela del diritto, nonostante su tutte le carte democratiche sia sancita per legge, è direttamente proporzionale allo status. Se il capitale è la misura del privilegio ecco che la sua tutela va garantita ad ogni costo. Il discorso morale diventa così un espediente culturale di facciata, la colpevole bugia dei moderati. E qui, bisogna dirlo, Molinari espone tutta la sua oscena moderazione.
Se qualcuno pensasse che questi 2 minuti e 5 secondi siano stati una tragica svista purtroppo dovrà ricredersi.
Qualche giorno prima, l’1 giugno, questa volta su SkyTg24, Molinari non perde occasione per ribadire la sua appartenenza all’apparato. Definendo quella di Trump di intervenire o meno sui civili con metodi violenti una “difficile scelta”, Molinari ci mostra, ancora una volta, di usare il linguaggio in maniera sinistra; l’equivoco pericoloso è considerare l’uso della violenza sui civili una possibilità democratica.
Questa dialettica strumentale nasconde, neanche troppo velatamente, la violenza di un pensiero profondamente antidemocratico che usa il ribaltamento come prassi.
Un possibilismo relativista che viene invocato anche in questi giorni dai difensori di Montanelli e che non può che richiamare alla mente le parole di Eric Mamer, capo portavoce della Commissione Europea, che di fronte alle domande di un giornalista sulla liceità dell’uso della violenza sui migranti nel bel mezzo di una crisi umanitaria al confine greco-turco, non rispose né sì né no, «dipende tutto dalle circostanze» disse.
L’epochè elevata a paradigma con conseguente abdicazione all’etica è solo uno degli innumerevoli strumenti del discorso suprematista.
Ma a ben ascoltare, questo linguaggio passivo-aggressivo svela l’ansia paranoica di chi sa di avere seppellito il cadavere sotto il pavimento e improvvisamente si accorge di non essere il solo a sentirne il battito del cuore rivelatore.
Se è vero che, come dice l’attivista Djarah Kan, «i giornalisti hanno la grande responsabilità di creare immaginari», viene spontaneo chiedersi quando a Molinari verrà chiesto di rendere conto della sua?