Una lettura de “La meravigliosa lampada di Paolo Lunare” di Cristò, uscito per i tipi di TerraRossa Edizioni, in questi giorni in libreria.

“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”. Sarebbe interessante cercare di appurare se il pensiero di David Foster Wallace abbia attraversato la mente di Cristò, autore di La meravigliosa lampada di Paolo Lunare. Ma forse è più opportuno coltivare il mistero per iniziare la lettura di un testo che mette in scena l’incontro con il soprannaturale a partire dalle vicende di una qualsiasi coppia in crisi. Il romanzo è in libreria grazie a TerraRossa edizioni, e Cristò è alla seconda pubblicazione dopo Restiamo così quando ve ne andate, uscito per lo stesso editore nel 2017.
Si è appena detto “romanzo”, ma a ben vedere il libro fatica a rimanere all’interno dello spazio teorico associato a tale forma letteraria. Pur conoscendo i rischi di affezionarsi in maniera troppo esclusiva alle categorie, e senza voler scomodare l’intera teoria che lo riguarda, possiamo dire per certo che il romanzo solitamente possiede un respiro più ampio sia in termini di lunghezza che di contenuto, risultando più complesso, laddove per complessità si intende la presenza di stratificazioni interne che si prestano a un certo livello di dettaglio, rispetto a quelle possibili in una forma letteraria più breve. In questo caso sarebbe più corretto parlare di un racconto lungo che si richiama al genere del fantastico novecentesco italiano.
La lingua di Cristò non punta su complesse innovazioni stilistiche, il che conferma che la componente originale del testo è trasferita nelle modalità con cui l’autore si relaziona col canone di riferimento attraverso riferimenti intertestuali o maneggiandone l’elemento principale: l’esitazione ontologica (Todorov) di fronte all’inaspettato soprannaturale, che porta il racconto dal regime realista a quello dello strano e del meraviglioso, passaggio essenziale del fantastico, come osservava Todorov.
Paolo Lunare e Petra si conoscono da quando andavano a scuola. Entrambi hanno perso un genitore da piccoli, Paolo il padre e Petra la madre. Sono sposati e convivono da qualche anno in un appartamento in via Giovanni Bartolomeo di una città mai precisata. Il loro rapporto sembra essere entrato in crisi di fronte al mancato rinnovo reciproco di amarsi e di desiderarsi, colpa soprattutto delle omissioni su cui si costruisce, loro malgrado, la relazione: Petra nasconde alcune verità a Paolo e Paolo non conosce la verità sulla propria famiglia e su Petra. Il pretesto di voler esaudire il desiderio espresso dalla moglie di avere in casa una luce che riproduca quella del sole spinge il protagonista a isolarsi nella ricerca della sequenza elettrica perfetta in grado di ricrearla. Una notte, dopo l’ennesimo collaudo, Paolo fa una scoperta sconcertante che, in modi inaspettati fino alle ultime pagine del libro, invertirà il corso della propria vita e di quella di Petra. La luce solare della lampada, infatti, è magica e permette di vedere i fantasmi, in un paradosso che rovescia un antico luogo comune secondo il quale è solo nel buio che trovano asilo queste entità e tutto il soprannaturale, paradosso anticipato e introdotto nel testo sin dal cognome del protagonista. Questa scoperta rivela anche una realtà straziante: i fantasmi sono angosciati da un grande irrisolto delle loro vite precedenti e appaiono mentre tornano con gesti ripetitivi sul ricordo di ciò che è rimasto in sospeso. Tra di loro ci sono anche i genitori di Paolo e Petra.
Se si dovesse ancora dubitare di avere di fronte un omaggio vero e proprio al racconto La pietra lunare di Landolfi, in cui similmente il protagonista scopre il risvolto soprannaturale del reale accedendo a un mondo magico popolato da creature “lunari”, i nomi dei personaggi di Cristò dissipano ogni dubbio. Ce lo confermano anche i paratesti con cui l’editore colloca esplicitamente il testo all’interno del canone del fantastico letterario dell’Italia del Novecento, nel quale il soprannaturale, in particolare il popolo delle “ombre” – altro titolo, tra l’altro, sempre di Landolfi – irrompe nel quotidiano. Nella bandella viene nominato anche Buzzati, altro gigante del genere (e potremmo aggiungere Savinio, Tabucchi e Calvino). Inoltre, nei luoghi del testo in cui Paolo, da morto, inizia a vagare in un paesaggio disumanizzato, non si può non notare un riferimento al protagonista, non defunto ma ben più straziato e condannato, di un capolavoro della letteratura italiana, che pure forzando il realismo si è aperto al possibile e ha prefigurato persino il postapocalittico in Italia: Dissipatio H.G. di Morselli.
In generale, il fantastico italiano novecentesco è stato riconosciuto come un tributo colto alla ben più ampia e longeva tradizione ottocentesca afferente allo stesso genere ma prodotta in lingua inglese, francese o tedesca, le cui radici sono rintracciabili nella tarda antichità, in particolare in Luciano dove l’archetipo del viaggio (sulla Luna) prepara all’irruzione dello strano e del soprannaturale. In tal caso la lampada magica di Paolo Lunare gli permette il “viaggio” tra i fantasmi. Lo strano e il meraviglioso letterario da noi si sono dunque sviluppati più tardi e con maggiore fatica per la presenza più radicata di tradizioni un po’ ingombranti: il classicismo e il pensiero cristiano in primis. Quest’ultimo è lecito pensare che volesse tenere lontano il più possibile a lungo l’interferenza del soprannaturale e del magico nelle cose terrene. Il posizionamento degli autori italiani rispetto a tale tradizione è stato spesso riconosciuto come un attestarsi sull’ordine dell’omaggio sofisticato e del rimando intertestuale.
Tuttavia, vi sono due aspetti che spiegano perché un’operazione come quella sperimentata da Cristò oggi sia meritevole e da tenere sotto osservazione, sia in ambito italiano che in generale in quello letterario, andando oltre il semplice dato di opera omaggio al canone del fantastico landolfiano e più in generale, italiano.
Per quanto riguarda il primo aspetto, La meravigliosa lampada di Paolo Lunare conferma l’interesse sempre più evidente e condiviso per la categoria del fantastico, del magico e della speculative fiction, che altro non è che la fantascienza, nella letteratura italiana contemporanea. E non solo si tratta di una validazione mainstream di quel repertorio percepito per decenni come di nicchia o “da nerd” ma fortemente radicato a livello generazionale (si pensi ai videogiochi a tema fantasy), una svolta osservata e sostenuta ad esempio dallo scrittore Vanni Santoni. Bisognerebbe ampliare il discorso, includendo una sanzione che finalmente è stata riconosciuta anche a livello editoriale e a livello di premi letterari non solo nel contesto italiano, ma a livello internazionale per quei generi di norma – e a torto – considerati fratelli minori del cosiddetto realismo.
Nel 2014 Ursula K. Le Guin, ritirando il National Book Award con un discorso che sta facendo scuola – il premio per la prima volta in mezzo secolo è stato conseguito da un’autrice di fantasy e fantascienza –, affermava che i tempi a cui dobbiamo prepararci sono talmente bui che avremo bisogno non semplicemente di autori realisti, ma di autori di una realtà più grande. Queste dichiarazioni, e il premio in sé conferito proprio a Le Guin, certificano una nuova presa di coscienza: non solo che il fantastico letterario sia degno tanto quanto il realismo letterario, ma che abbattere la gerarchia tra i generi è il primo passo per un approccio davvero aperto alle reali infinite potenzialità del letterario.
Il secondo aspetto riguarda le potenzialità del meraviglioso letterario rispetto alla materia centrale trattata qui da Cristò, e cioè il mondo degli affetti. Leggendo la storia di Paolo Lunare e di Petra si ha la certezza che il desiderio di forzare i termini del reale per condurci nel meraviglioso e nello strano sia stato individuato come la strada più adatta per affrontare uno dei temi centrali dell’esistenza. Il meccanismo formale specifico del fantastico, ovvero quell’esitazione ontologica sopra menzionata in cui Paolo è incredulo e al contempo consapevole di essere all’oscuro delle cause che permettono alla lampada di mostrare i fantasmi, costituisce un espediente utile a veicolare il senso di smarrimento riguardo alle faccende umane che ci riguardano in prima persona. I fantasmi dei propri genitori, che Paolo e Petra in un certo senso spiano, sono in tal senso le figurazioni di paure fondamentali, ovvero il terrore del dubbio di essere stati davvero amati come figli e il timore che questo dubbio agisca come sabotatore del diventare adulti nell’ambito di relazioni sane, e del diventare a propria volta genitori adeguati.
Da questa prospettiva, il libro sembra suggerire che, in un’epoca come quella contemporanea, il romanzo realista non è sufficiente a perlustrare i lati più oscuri del precario esistenziale, mentre l’irruzione dello strano e del magico sono opportunamente all’altezza di questo smarrimento, privato e collettivo, e della frustrazione di percepirsi come adulti mancati, perché solo il magico e lo strano letterario prefigurano possibilità non ancora contemplate, anche di comprensione e riconciliazione degli affetti. Ogni legame parentale sembra agire come una lampada magica che ha il potere di dire cosa saremo e quanto finiremo per essere simili a chi ci ha preceduto. Ma Paolo Lunare ci avvisa anche di non diventarne schiavi e ci suggerisce di immaginare vie alternative. Per scoprire quali, dovremo attendere però il prossimo incontro col meraviglioso in libreria.