La globalizzazione non è più quella di una voltaLa globalizzazione e le nuove teorie dell’imperialismo – Giuseppe Quaresima

Recensione di La globalizzazione e le nuove teorie dell’imperialismo. Una rassegna critica, di Giuseppe Quaresima

Devo ammettere che prima di iniziare a leggere il libro di Giuseppe Quaresima sono stata per giorni a guardarne la copertina con un certo timore misto a sconforto. Invece, a dispetto del titolo, La globalizzazione e le nuove teorie dell’imperialismo. Una rassegna critica (Editrice Petite Plaisance) non è affatto un testo ostico. Anzi: persino una lettrice poco avvezza all’argomento come me è riuscita a comprendere le teorie fondanti del dibattito intorno alla natura imperialista della “cosiddetta” globalizzazione. Certo, non posso definire il libro di Quaresima una lettura amena, né il testo è privo di piccole ellissi e lacune che danno per scontate precomprensioni teoriche, ma tant’è: alla fine si tratta pur sempre di un saggio di economia politica. Insomma, credo di aver capito (quasi) tutto.

Quaresima, laureato in economia e dottorando in Law and economics all’Università di Siena, parte dal presupposto che alla luce dell’attuale situazione storica (intendendo quella cominciata con la guerra in Afghanistan e culminata con la crisi economica e finanziaria del 2007), la globalizzazione non può più essere acriticamente considerata come la tappa finale di una presunta teleologia del capitalismo. Di conseguenza, al centro del dibattito contemporaneo ci sono le corporazioni multinazionali, le banche e gli Stati più avanzati, e il tipo di rapporto (che di fatto coincide con una forma di dominio) che essi instaurano con le classi lavoratrici e gli Stati meno sviluppati. L’autore si propone di “evidenziare non solo le differenze e le contraddizioni fra le varie teorie proposte, ma anche le intuizioni e le aspettative comuni di queste teorie”, che – è un dovere precisarlo – ruotano tutte attorno all’ambito teorico marxista.

Tra quelle analizzate, l’unica a non essere una “teoria dell’imperialismo contemporaneo” è quella dell’Impero di Negri e Hardt, che fa riferimento a un Nuovo ordine mondiale sorto sulle ceneri dei regimi coloniali e dell’Unione Sovietica – l’Impero appunto – il quale “non ha nulla a che vedere con l’imperialismo” (Negri e Hardt, Impero, Rizzoli 2002) e che “è un apparato di potere decentrato e deterritorializzato che incorpora progressivamente l’intero spazio mondiale, amministrando delle identità ibride e delle gerarchie flessibili mediante reti di comando”, segnando in questo modo la definitiva sconfitta dello Stato nazione, ci spiega Quaresima.

Buona parte del libro è dedicata al “dibattito attuale sulla teoria dell’imperialismo di Lenin”, la quale affermava, tra le altre cose, l’esistenza di “associazioni monopolistiche internazionali che si spartiscono il mondo”, e la spartizione del controllo globale tra grandi potenze imperialiste in lotta tra di loro.

Nell’ambito di questo dibattito Quaresima cita la teoria dell’imperialismo collettivo di Samir Amin, che analizza la competizione tra monopoli alla luce di un ribaltamento della relazione nazionale/mondiale, per cui oggi – al contrario di quanto avveniva in precedenza – solo gli attori che dominano nel mercato mondiale possono risultare determinanti nei mercati nazionali. Per Samin assistiamo, piuttosto che a una lotta tra monopoli, a una collaborazione tra essi – alla testa dei quali si colloca la “Triade” (Usa, Europa occidentale e Giappone) – i quali hanno dato vita a una struttura di potere imperiale definibile appunto come “imperialismo collettivo”, che svolge un’azione predatoria nei confronti del Sud del mondo e che si basa su cinque monopoli fondamentali (tecnologia, controllo dei flussi finanziari, accesso alle risorse naturali, controllo della comunicazione e dei media, armamenti).

Sempre nell’ambito del dibattito sulla teoria leninista si colloca la teoria dell’imperialismo globale di Ernesto Screpanti, che definisce quest’ultimo come “sistema di relazioni internazionali in cui le politiche statali sono orientate a rimuovere i vincoli che gli agglomerati nazionali (etnici, culturali, linguistici, religiosi e sociali) possono porre all’accumulazione di capitale su scala mondiale”, un sistema che ha tra le sue cause un aumento della polarizzazione nella distribuzione della ricchezza. Tale impero, tuttavia, secondo Screpanti non avrebbe un unico centro di erogazione, ma sarebbe costituito da reti acefale e da diversi soggetti economici, politici e burocratici, che si muovono secondo la logica dell’accumulazione capitalistica e si basano sull’attuazione di quattro meccanismi disciplinari: la disciplina commerciale, la disciplina monetaria, la disciplina terroristica e la disciplina ideologica (a sua volta basata su efficienza della libertà e potenza della moneta).

A questo punto la mia determinazione vacilla. Ma vado avanti nella lettura, e mi imbatto nella teoria del nuovo imperialismo di David Harwey, secondo il quale l’imperialismo attuale nasce da un problema di eccesso di capitale – di cui il sistema capitalistico soffre ciclicamente – che determina la necessità di trovare uno spazio in cui espandersi, generalmente uno spazio ancora precapitalistico. Da qui la volontà di dimostrare come l’utilizzo della guerra da parte degli Usa sia un sintomo di debolezza e denoti un momento di crisi del capitalismo, piuttosto che dimostrare la sua forza. L’ultima teoria esposta è quella dell’impero del capitale di Ellen Meiksins Wood, secondo la quale “la cosiddetta globalizzazione altro non è che un nuovo imperialismo capitalista, gestito da un sistema di molteplici Stati nazione sotto la guida particolare degli Stati uniti d’America”, in cui è il capitale a guidare e limitare l’azione dello Stato, che nondimeno è funzionale e assolutamente indispensabile per i suoi interessi. Le principali potenze mondiali non sono dunque coinvolte in una rivalità geopolitica e militare diretta, proprio perché questo sarebbe una disgrazia per il capitale.

Quaresima propende per le teorie di Amin e Screpanti, che a suo avviso sono quelle che meglio riescono a fare un passo avanti rispetto ai paradigmi del secolo scorso. Il loro punto di forza sta proprio nel riferirsi all’imperialismo come a un concetto “al singolare”, seppur dai connotati complessi e variegati: un sistema di potere che non vede conflittualità al suo interno, e che mira piuttosto al controllo su ciò che è dialetticamente opposto ad esso (che, nel concreto, è costituito dalle fasce di popolazione e dagli Stati economicamente più deboli).

Se dovessi dare un consiglio all’autore, gli direi di limare alcuni momenti di stanchezza in cui i concetti sembrano perdersi per poi ripiegarsi su se stessi in piccole ridondanze, e di potenziare la ricchezza espressiva e la precisione lessicale. Nel complesso, resta il fatto che La globalizzazione e le nuove teorie dell’imperialismo è un testo organico e completo. Un testo che, senza chiudersi in un dibattito per soli “esperti”, è capace di chiarirci un po’ meglio le idee su quello che accade sopra le nostre teste, ma attraverso esse.

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