Analisi dei disastrosi incendi dell’estate 2017 sul Vesuvio* (prima parte). La seconda parte è disponibile qui.
Da un incendio all’altro
Per secoli la parola incendio, in riferimento al Vesuvio, è stata utilizzata per indicare l’esplosione del vulcano, salvo essere poi gradualmente affiancata e rimpiazzata dai termini eruttazione, bruciamento e, infine, eruzione (Casapullo 2014: 42). L’incendio, cioè, indicava il fenomeno naturale, dove la terra giovane e resa fertile dal vulcano prometteva la riconferma di un ciclo di devastazione e di rinascita. Oggi la parola incendio torna tristemente a segnalare l’evento sul Vesuvio, questa volta provocato dall’uomo, un disastro che impoverisce e rende fragile il territorio, esponendolo a ulteriori possibili calamità.
Durante i mesi di giugno e luglio 2017 una serie di incendi ha bruciato un terzo dell’area del Parco Nazionale istituito nel 1995 intorno al vulcano napoletano: un evento riconducibile totalmente ad azioni umane di cui non conosciamo le cause contingenti, né i colpevoli diretti, i quali possono essere mossi da una vasta casistica di interessi, come il business dell’emergenza, della bonifica e della riforestazione; l’economia dei rifiuti e – in talune zone – dell’edilizia; le manifestazioni di forza da parte della criminalità spicciola in ascesa o della criminalità organizzata in radicamento; il vandalismo urbano e la piromania; la disattenzione e la noncuranza. L’incendio è quindi il risultato di fattori di diversa natura: è al contempo un disastro naturale e sociale, così come ambientale, economico e tecnologico (November 2003). Ciò che tuttavia gli incendi vesuviani mostrano con maggior evidenza è il limite del ruolo delle istituzioni e della loro idea di area protetta. In questo senso i roghi hanno reso lampante l’inadeguatezza, l’impreparazione, l’insufficienza, il ritardo della pianificazione, della prevenzione, dell’assunzione di responsabilità da parte degli amministratori pubblici, dall’Ente Parco alla Regione Campania, passando per i singoli comuni coinvolti e la città metropolitana di Napoli.
Per oltre un mese, dai primi di giugno alla seconda metà di luglio, le falde del Vesuvio hanno bruciato pressoché tutti i giorni, dapprima in aree suburbane abbandonate, come per i roghi di rifiuti nella zona circostante la discarica Novelle-Castelluccio, nel comune di Ercolano (l’11 giugno per almeno 4 giorni, ma era già andata a fuoco ai primi di luglio 2015), e in uno sversatoio abusivo di tessuti a Terzigno (il 23 giugno). Successivamente, tra il 27 giugno e il 9 luglio, le fiamme hanno percorso varie aree verdi a monte dei comuni di Somma Vesuviana, Torre del Greco, Sant’Anastasia, San Giuseppe Vesuviano ed Ercolano, dove è stata assediata addirittura la sede storica dell’Osservatorio Vesuviano sul colle del Salvatore. Infine, il momento cruciale e angoscioso è giunto con l’esteso incendio che, soprattutto nei giorni 11 e 12 luglio (e, ancora, il 16 luglio), grazie al forte vento ha incenerito la Riserva naturale statale Tirone Alto Vesuvio (istituita nel 1972, oltre vent’anni prima del Parco Nazionale), lambendo alcune abitazioni torresi, prontamente evacuate. Sono anni che il Vesuvio è funestato dai roghi, sempre più vasti e distruttivi, come già nelle estati 2015 e 2016, ma è in questo 2017 che la violenza delle fiamme ha raggiunto il punto massimo di devastazione dal 1944, quando però gli incendi furono di origine vulcanica a causa dell’ultima eruzione.
Il fuoco è all’origine della civiltà, scrive Ignazio E. Buttitta, dal momento che attraverso il fuoco l’uomo poté «riscaldarsi, farsi luce, proteggersi dai predatori, cuocere i cibi» (Buttitta 2002: 19). Tuttavia, polisemico e ambivalente come tutti i simboli, il fuoco è anche una rappresentazione della fine, in quanto foriero di dolore e desolazione: «Il fuoco è una presenza che modifica profondamente la vita individuale e sociale in senso utilitario, ma trascina con sé anche distruzione, rovina, morte. Il principio informatore della cultura del fuoco sta pertanto nella capacità di controllarne costantemente l’energia. Se sfugge all’uomo, rompendo il sottile equilibrio su cui si regge il patto tra l’uomo e la fiamma, patto che è anche tra l’uomo e gli dèi, il fuoco acquista un potere incontrollabile» (Buttitta 2002: 33).
Solo per l’emergenza dell’11 e 12 luglio di quest’anno sono stati impiegati tre elicotteri e tre canadair (di cui due provenienti dalla Francia), oltre che decine di pompieri e operatori della Protezione Civile regionale, e addirittura l’esercito per presidiare la grande discarica nella ex-cava SARI, oggetto di virulente contestazioni negli anni scorsi. A tutto ciò vanno aggiunti i tanti volontari che, autonomamente e con mezzi propri, talvolta improvvisati, sono andati a scavare trincee tagliafuoco e a proteggere le abitazioni più isolate ed esposte. È esattamente quest’ultimo aspetto a dare le dimensioni del disastro: di certo i danni subiti dall’ecosistema sono irreparabili e le forze in campo per farvi fronte sono state notevoli, ma a rappresentare un elemento particolarmente indicativo è soprattutto la straordinaria reazione – emotiva ma, appunto, anche concreta – di tanti abitanti, su cui tornerò successivamente.
Un disastro di fuoco
L’area del Vesuvio percorsa dal fuoco supera i 1.980 ettari, ossia circa un terzo dei 7.259 ettari dell’intero Parco Nazionale. Di questa superficie bruciata, circa 960 ettari di vegetazione risultano «completamente distrutti», 770 ettari «molto danneggiati» e 250 ettari «leggermente danneggiati». Dal punto di vista sanitario l’ARPAC (Agenzia Regionale di Protezione Ambientale della Campania) ha rilevato che durante gli incendi la materia particolata – particelle presenti nell’atmosfera come polvere e fumo – ha costantemente superato i limiti di legge mentre sul piano economico il costo della sola riforestazione ammonterebbe a 4 milioni di euro.
Secondo Legambiente, nella provincia di Napoli sono andati arsi 3.143 ettari, due terzi dei quali sul solo Vesuvio, ma è tutto il quadro regionale della Campania a essere desolante: tra maggio e luglio 2017 sono andate incendiate 18 aree con una superficie boschiva di 13.037 ettari, quattro volte la superficie bruciata nell’anno precedente, quasi tutte nelle aree protette (parchi nazionali e regionali, Siti di Importanza Comunitaria, Zone di Protezione Speciale) (Legambiente 2017: 9). È stata un’estate drammatica in tutta Italia: da maggio a luglio sono stati incendiati 72.000 ettari, ossia il 150% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016 (48.000 ettari), quando i costi – relativi a danni ambientali e spegnimento – ammontarono a 22 milioni di euro (Legambiente 2017: 2). Tuttavia, a livello nazionale l’anno più disastroso è stato il 2007, quando bruciarono più di 200.000 ettari, la metà dei quali boschi (Leone 2017: 36), come nel caso del Gargano, dove ci furono tre morti, trecento tra feriti e intossicati, tremila sfollati, strutture turistiche distrutte e quasi 6.000 ettari cancellati dal fuoco (WWF 2008: 13-14).
Questo delirio di fiamme rimanda alle parole con cui Elias Canetti descrive il rapporto tra massa e fuoco: «Il mezzo di distruzione più impressionante di tutti è il fuoco. Lo si vede da lontano e attira altra gente. Distrugge in maniera irrevocabile. Nulla dopo il fuoco rimane com’era prima. La massa che appicca il fuoco si considera irresistibile. Tutti si uniranno a lei mentre il fuoco divampa. Essa annienterà tutto ciò che le è ostile. […] È il simbolo più efficace della massa. Dopo ogni distruzione, massa e fuoco devono estinguersi» (Canetti 2002: 24). Sul Vesuvio, tuttavia, non si è espressa soltanto una massa di incendiari, per ora anonimi e impuniti, ma anche una massa di volontari spontanei che hanno contribuito a spegnere i roghi e ad assistere le persone e gli animali distribuendo cibo e acqua nelle zone inaridite dalle fiamme. I vigili del fuoco hanno compiuto sforzi encomiabili, ma altrettanto ammirevole è stato il ruolo che i cittadini hanno avuto nei soccorsi: dal guidare le autobotti sui vari fronti dell’incendio, al completare gli spegnimenti che i canadair non avevano terminato; dall’azione attiva dinnanzi a fiamme di decine di metri, al dispensare taniche d’acqua, frutta, verdura e pane tra i tronchi carbonizzati. Sui social media le testimonianze sono state innumerevoli. Rientrando da una missione in favore degli animali selvatici, il volontario Luigi Vitiello ha scritto: «Abbiamo provato a fare pace con la natura, col nostro Gigante, che è stato volutamente violentato e spogliato per mano dell’uomo, per non si sa quale motivo». Dal canto suo, dopo aver lottato contro le fiamme, Nicola Liguoro, un residente di Torre del Greco, ha osservato: «Oggi la gente di via Resina Nuova si è fatta Stato e ha difeso con i denti le proprie case strappandole al fuoco che le voleva prendere».
Al di là dell’empatia con vittime e soccorritori, traspaiono da questa esperienza i limiti istituzionali, le numerose falle nel sistema di difesa del territorio, l’assenza di manutenzione dei boschi, la mancanza di controlli, il vuoto di pianificazione, il sottodimensionamento dell’organico del Parco, il ritardo della Regione nell’adozione del Piano Antincendi Boschivi (AIB) 2017 (approvato solo il 21 luglio).
Una rovina ordinaria e abituale che rientra perfettamente nella definizione di disastro elaborata dalle scienze sociali, ossia come processo generato da una relazione di lunga durata tra uomo e ambiente, lungo le linee di frattura del corpo politico e sociale, e che, osserva Roberto E. Barrios, «in quanto processo, non si conclude con [la cessazione del fenomeno fisico], ma può estendersi indefinitamente e infiltrarsi nella vita quotidiana», a seconda delle modalità con cui gli enti pubblici e la comunità colpita attueranno la ripresa o la ricostruzione (Barrios 2017: 18). È nella consapevolezza di quest’intreccio tra lacune preesistenti e aumento dei rischi futuri che si è assistito ad un fiorire di iniziative di protesta. Più volte, ad esempio, il coordinatore del movimento “Cittadini per il Parco”, l’imprenditore agricolo Giovanni Marino, ha avanzato dure critiche politiche e gestionali al Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Agostino Casillo, manager d’azienda 33enne nominato in quel ruolo poco più di un anno prima: «può chi è sordo a qualunque avvertimento, chi fa sfoggio di sicumera salvo poi trovarsi del tutto impreparato ad affrontare la più prevedibile delle emergenze; […] l’uomo che non è stato capace di un cenno di autocritica […]; può dunque essere questo l’uomo che guiderà il Parco nella difficilissima opera di ricostruzione ambientale, civile, economica e morale che abbiamo di fronte?».
Centinaia di cittadini dei comuni vesuviani, inoltre, il 25 luglio hanno partecipato alla mobilitazione generale «Vesuvio basta fiamme», organizzata da un gruppo di attivisti di Torre del Greco, che ha avuto come momento topico un corteo nel centro di Napoli, snodatosi fino alla Prefettura, a sottolineare la richiesta di presenza delle istituzioni. Tra i promotori, l’autotrasportatore Marco Manna il giorno seguente ha scritto: «in piazza c’erano gruppi, comitati e movimenti che da tempo lottano per queste tematiche e vederli al nostro fianco non ha fatto altro che rafforzare la nostra voglia di combattere per salvaguardare la nostra terra. La loro presenza ci spinge ancora di più a proseguire in questa battaglia. Lo scopo di questa manifestazione era quello di portare a conoscenza del Prefetto tutto il lavoro fatto da persone quasi anonime, che in questi anni si sono battute per denunciare ciò che non andava sul Parco del Vesuvio. […] Non ci fermeremo, non staremo di certo a guardare, perché le persone anonime, quelle che non si svegliano solo durante l’emergenza, sono costantemente al lavoro».
Bibliografia
Barrios R. E., 2017: “Governing Affect. Neoliberalism and Disaster Reconstruction”, Nebrasca University Press, Lincoln.
Butler A., Sarlöv-Herlin I., Knez I., Ångman E., Ode Sang Å., Åkerskog A., 2017: “Landscape identity, before and after a forest fire”, in “Landscape Research”, vol. 42, issue 6, disponibile online in pdf.
Buttitta I. E., 2002: “Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali”, Sellerio, Palermo.
Canetti E., 2002: “Massa e potere”, Adelphi, Milano.
Casapullo R., 2014: “Note sull’italiano della vulcanologia fra Seicento e Settecento”, in R. Casapullo – L. Gianfrancesco (a cura di), “Napoli e il Gigante. Il Vesuvio tra immagine, scrittura e memoria”, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro).
Legambiente, 2017: “Dossier incendi 2017. Aggiornamento al 27 luglio 2017”, disponibile online in pdf.
Leone U., 2017: “È tutto un incendio. Prevenzione, l’arma vincente”, in “Rocca”, n. 18, 15 settembre.
November V., 2003: “L’incendie créateur de quartier ou comment le risque dynamise le territoire”, in “Cahiers de géographie du Québec”, vol. 47, n. 132, dicembre, disponibile online in pdf.
WWF, 2008: “Gli incendi boschivi. Le cause, le leggi, gli strumenti di tutela. Le proposte del WWF Italia”, giugno, disponibile online in pdf.
*La prima parte del titolo è tratto da: Giuseppe Maria Mecatti, 1752: Racconto storico-filosofico del Vesuvio. E particolarmente di quanto è occorso in quest’ultima Eruzione principiata il dì 25 Ottobre 1751 e cessata il dì 25 Febbraio 1752 al luogo detto l’Atrio del Cavallo, Giovanni Di Simone, Napoli, p. CXXIII.