Se qualcuno volesse conoscere il centro storico di Palomonte1 dalle mappe catastali lo ritroverebbe pressocché uguale a com’era quella fatale domenica di quarant’anni fa. Prima delle 19.34.
Invece, salendo sulla collina che guarda al golfo di Salerno e all’alta Valle del Sele, avrebbe davanti agli occhi un agglomerato urbano diverso, con volumi, spazi, forme irriconoscibili pianta alla mano. Questa anomalia conoscitiva, che dovrebbe far riflettere anche metodologicamente chi – per un motivo o per l’altro – si addentra nella ricerca di quanto questa catastrofe abbia prodotto con posture e posizionamenti differenti, è una delle contraddizioni che, ancora oggi dopo quarant’anni, aspettano di essere saldate.
Per tentare di capire in maniera compiuta gli effetti del terremoto del 23 novembre 1980, soprattutto in tempi di anniversari, è necessario, quindi, ritornare sul terreno oltre che scavare nelle macerie documentali. Per un’intera generazione di ricercatori sociali e storici, ritornare sul terreno è equivalso, dopo percorsi formativi universitari e post-universitari, a tornare a casa, nei paesi in cui si è nati e cresciuti. Per qualcuno di questi, inoltre, il ritorno ha voluto anche dire entrare nelle questioni sospese attivamente, immergendosi in ruoli nuovi di animazione culturale e protagonismo politico. Io, uno fra questi, sto comprendendo adesso cosa significhi (non cosa abbia significato) il terremoto “posizionando la tenda” dell’osservatore nel cuore nevralgico della ricostruzione del mio paese: il municipio.
Sò ammì
Da giugno 2017, eletto in Consiglio Comunale in una lista civica, ricopro il ruolo di vicesindaco di Palomonte. La decisione di partecipare alle elezioni comunali è il naturale sbocco dell’attivismo ambientale e culturale degli anni precedenti, figlio della decisione di ritornare nel paese (in cui sono nato e nel quale vive la mia famiglia) dopo gli studi universitari: per scelta metto in pratica la restanza, un tema antropologico che proprio in quegli anni l’antropologo Vito Teti stava teorizzando2.
Così, nonostante fino ad allora abbia letto e riflettuto sugli effetti del sisma nell’Appennino campano-lucano, abbia osservato le mutazioni urbanistiche dei paesi ricostruiti e la poetica nostalgia di quelli abbandonati, benché lo sguardo antropologico abbia da tempo innescato un’interpretazione dei fenomeni sociali a partire dalla mia “patria”, è da tre anni che posso comprendere le reali conseguenze della catastrofe sismica tratteggiando linee di interpretazione che s’intersecano a tanti temi fondamentali per le scienze sociali: identità, patrimonio, potere, clientelismo e molti altri ancora. Più di ogni altra scelta personale, però, il moto di azione e impegno nasce da qui: dalla testimonianza di un singolo (ammì: io nel dialetto palomontese) che si racconta alla sua comunità ritrovata e ancora recisa in n’gimma e m’bier (sopra e sotto: centro storico e frazioni a valle): dal manifesto di Mariano Casciano (il mio sindaco) lanciato alla fondazione della “piazza virtuale” di Palomonte, il gruppo su Facebook (Zompa chi pot) che insieme abbiamo creato nel 2012 per sopperire alla mancanza di una piazza fisica, frutto – anche questa – della cattiva ricostruzione post-terremoto del centro storico3.
“Quel ragazzo studia giurisprudenza”, “un amico con una 127 blu cadaverica”. Sò ammì. Ho vissuto n’gimma Pal una felicissima infanzia ed estati meravigliose. Fino al 1980 quando il mondo si è scassato e non siamo stati più i palesi di prima. Ingenui, diffidenti, miti e crudeli, contadini. Questo eravamo noi. Un popolo che sbadiglia tra medioevo e modernità. Deformati in qualche settimana in esseri mostruosi che il terremoto generò mentre la civiltà contadina agonizzava. Le rivalità tra fazioni, le scaramucce, la violenza di classe, la stessa dicotomia n’gimma/m’bier solidificarono un gelido, autistico inverno. Tutti per sé, Zamberletti per tutti. La lotta per la sopravvivenza divenne ferocia per l’accaparramento, la furbizia contadina scaltra avidità metropolitana. Più contributi, rimborsi, stivali, “buatte”, nelle case, nei fienili, nelle macchine, alla rinfusa, senza scopo. Ingoiavamo tutto in un gorgo, un Maelstrom, che da noi ha un nome più stretto e cupo. Si chiama l’Aus. Terrore di noi piccoli, forse era una voragine o un antico pozzo scavato nel versante sud della collina di Palo. Ci finimmo tutti nell’Aus del terremoto4. Forze potenti ne alimentavano i vortici: una legislazione criminogena che estese sempre di più i confini della nostra parossistica avidità, ambizioni politiche alimentate con l’erogazione senza fondo e senza fine di miliardi a casaccio, cifre spaventose nelle mani di persone, enti, comunità, abituate a spigolare tra magri bilance senza alcuna esperienza e coordinamento di gestione. Risultato: corruzione di animi, di culture, e alla fine, di luoghi. Strumenti urbanistici mai approvati, continuamente cambiati, amministratori di tutti i livelli sbronzati dai quattrini facili, e giù, opere mastodontiche, paradossali, mostruose. Un trattato di teratologia a cielo aperto. Approvato sostenuto, sopportato da un massiccio consenso della gente. Questo tendiamo a rimuovere, vogliamo dimenticare. Fabbri del nostro destino, forgiammo la nostra rovina. Giovane e ingenuo, ero. Litigai con i miei familiari per aver parlato, quasi da solo, contro questo scempio. Contro il ponte. Contro Manlio, amico, lo è ancora, della mia famiglia. Persi con quegli altri venti pazzi, tutte le battaglie che si potevano perdere. Sorse un altro Moloch di cemento, parallelo all’altro. Ammì m’ ricord. Nessuno disse niente. Si, ci scassarono il palco, ma mica solo quello. Ammì m’ ricord la vergognosa rimozione del bar di Nino Grisi, il sapore della colla dei manifesti che solo Peppino sapeva attaccare sui muri (noi eravamo buoni solo a riversarcela in faccia) la rabbia di Felicino Alfano alle quattro del mattino contro i vili che, mezz’ora, dopo ce li stappavano. De Luca venne a fare un comizio in piazza. Minacciò fuoco e fiamme, dopo pochi giorni fummo sacrificati a un accordo PSI – PCI, anzi Conte- De Luca. Il sindaco fu Presidente della Provincia. Noi fummo abbandonati. Quanti rivoli prendono le responsabilità. Come il bianco si confonde col nero. Piansi, mi arresi, chiusi la sezione. Sbagliammo. Certo il sindaco fu responsabile, alimentava il fuoco e teneva la barra, ma quanti remavano, come schiavi, come ossessi, senza motivo verso la rovina. Per la doppia casa, per la strada, per un metro quadro in più, una speranza in più, un’illusione in più. Ecco perché non sparo contro i capri espiatori e non me la prendo con quelli di noi che poi, per sopravvivere, per smarrimento, meno garantiti, meno avvertiti, hanno cambiato bandiera o mentalità. Dovevamo sopravvivere e siamo sopravvissuti. Quello che è seguito altro non è stato che il putrido cascame di queste premesse. Odio, caos, incomprensione autistica. Ciascuno ha pagato o sta pagando: noi di n’gimma lo straniamento di vivere in un centro storico che è “una piccola Battipaglia”, le frazioni un’immobilità comatosa. Il territorio, quello che di meglio avevamo da consegnare ai posteri, crocifisso dalle colate di cemento come un Cristo il Venerdì Santo. Per questo sono qua e scusate lo sfogo, magari poi continuo, rospi ce ne sono ancora tanti… (Mariano Casciano, Una discesa nell’Aus5
È con questo spirito di ricostruzione civile che vinciamo, di un soffio, le elezioni comunali e improntiamo le decisioni e le attività amministrative.
Etnografia dell’ufficio ricostruzione
La ricostruzione, anche quella edilizia, di Palomonte non è ancora conclusa al mio arrivo al comune. Soprattutto nel centro storico sono in piedi, nonostante decenni di rovina, UMI e case, palazzi storici e monumenti da mettere in sicurezza e ricostruire. Buona parte delle abitazioni acquisite a patrimonio pubblico nel corso degli anni in cambio di contributi o ricostruzioni fuori sito non è ancora stata oggetto d’intervento, così come alcune strade della viabilità locale, preferite a nuove arterie altamente impattanti, o gli spazi pubblici. Accanto alla quasi totalità dei beni pubblici ancora terremotati, convivono, inseriti forzosamente, palazzi in cemento armato multicolore, completamente ricostruiti agognando una verticalità abitativa raggiunta grazie agli sventramenti: la strada spesso arriva sia davanti alla porta del piano terra che alla porta del terzo piano.
Tante sono le incompiute, scheletri in multiproprietà oramai fatiscenti attraverso i cui vuoti si può intravedere il paesaggio, spesso sotto sequestro. Come già detto, al catasto queste case non esistono, non ricoprono l’attuale piano di sedime frutto di cessioni ancora non regolamentate di spazi pubblici e privati, tante seconde case non sono inquadrate come tali sfuggendo ai tributi locali e divenendo immobili incedibili, non ereditabili. Un bel caos che, tolti i pochi che hanno scelto di costruire “com’era, dov’era”, ha come responsabili un elenco di figure molto particolare: politici, tecnici comunali, tecnici privati, tecnici-politici, cittadini, proprietari. Il luogo fisico in cui queste figure campeggiano ancora, nonostante l’inevitabile declino e rallentamento degli ultimi anni, è l’ufficio ricostruzione del Comune di Palomonte. Una bella stanza della sede comunale, con tre finestre che la riempiono di luce e permettono a chi entra di arrivare con lo sguardo fino al mare.
Due pareti sono interamente occupate da mobili chiusi con dentro i faldoni delle singole pratiche ancora da consultare, mentre quelle oramai concluse occupano un’altra stanza al piano terra dell’ex convento cinquecentesco divenuto municipio. Altre due pareti hanno scaffali aperti con ulteriori faldoni, sul cui dorso è possibile leggere nomi e cognomi di altri beneficiari dei contributi: quando li ho letti la prima volta ho ritrovato storie controverse e vicende che nella mia memoria richiamavano qualcosa di torbido. Due scrivanie, di cui una attiva, e un grosso tavolo su cui dipanare la documentazione lavorata al momento. Inquilina della stanza è la dipendente comunale legata a doppio filo alle vicende post-terremoto.
Alla ricostruzione del paese, con incarichi pubblici e privati, lavora da prima che fosse assunta (della sua assunzione, a dir la verità se n’è parlato anche nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul terremoto che vede Palomonte tra i sette paesi maggiormente esaminati6), io sono nato l’anno successivo al suo primo incarico e due anni prima della sua definitiva assunzione.
Durante il primo confronto, fresco di nomina, in un clima molto cordiale mi presenta per sommi capi lo stato dell’ufficio che, negli ultimi anni, ha visto come responsabili amministratori o tecnici esterni e che serba una lunga serie di questioni sospese, nodi da districare, problematiche di natura procedurale o amministrativa. Il lungo colloquio termina con un avvenimento particolare che mi lascia perplesso e rende giudizio quello che fino a poco prima, conscio – dall’esterno – dell’aura che circondava la mia interlocutrice e dall’aneddotica locale, era solamente un pregiudizio. L’architetto sa che sono un antropologo e mi passa un foglio stampato. «È un bando. Selezionano un antropologo», mi dice. In realtà si trattava del programma d’esame di un corso di antropologia di un’università del nord. La ringrazio, nonostante la sua lusinga sia miseramente fallita. Capisco ancora di più che quella stanza all’apparenza innocua è il laboratorio da cui è uscito il paese ricostruito come Frankenstein. Al tavolo dell’intervento, però, ci sono anche altri attori, con ulteriori strategie complementari. Sui buoni contributo si sono alimentate tutte le campagne elettorali del mio paese, anche l’ultima.
Elenchi di interventi di priorità A e priorità B pubblicati con determina a poche ore dalle elezioni, promesse, ricatti, riscossioni. Così ecco arrivare un cittadino che reclama la promessa fatta da un candidato avversario, con la premessa «Nonostante X mi abbia detto che avrebbe fatto Y, non l’ho votato» oppure un altro che si presenta con «Non vi ho votati ma, se mi fate Z, alle prossime elezioni vi sosterrò». O ancora, il tecnico privato che, per sbloccare pratiche di finanziamento ferme o sospese, fornisce suggerimenti, documenti, atti, lavori gratuiti al responsabile del procedimento o all’amministratore di turno, sostituendosi al pubblico, sopperendo alle lacune che la pubblica amministrazione ha aggravate sulle spalle, per scopi, in ultima analisi, essenzialmente privati. Anni di studio sul clientelismo meridionale resi volti e storie tra chi gironzola nei corridoi del municipio7.
Frasi ricorrenti, pericolose se gli attori si accordano e passano dalle parole alle azioni, in questo caso – però – innocue perché uno degli interlocutori (il politico, che di solito è il motore) spegne sul nascere qualsiasi tentativo, aggrappandosi alle norme, ai diritti, alla legge. Nonostante un clima diverso dagli anni d’oro della piena ricostruzione, nonostante la cascata di fondi statali sia agli sgoccioli, ancora sopravvive l’idea che alcuni meccanismi funzionano se oleati. In questo caso, da amministratore e osservatore, mi chiedo quanto la responsabilità sia suddivisa tra politico-tecnico pubblico-tecnico privato-cittadino. Cos’è nata prima? La raccomandazione o l’istigazione? Probabilmente sono frutti dello stesso albero: l’occupazione di ruoli cruciali (per un paese, una città, una provincia, una regione, uno Stato) da parte di mediocri, anelli cruciali di un sistema che si alimenta mettendo in minoranza il merito. Spesso in nome della burocrazia che foraggia il potere e viceversa8.
Per la mia personale esperienza, però, posso sostenere che il motore principale di questo male sta nei cittadini, educati male, sprezzanti nelle richieste, critici e rancorosi con chi spiega loro che certe cose non si possono più fare. Qualcuno comprende, qualcun altro si arrabbia, nessuno si fa un esame di coscienza e ammette che la somma di piccoli piaceri personali ha generato la scarsità di occasioni di sviluppo anche per sé e i propri figli. I figli, appunto. Io che sono uno di loro, parte di una generazione che non ha vissuto sulle proprie teste la scossa ma la tragedia della ricostruzione, a chi devo chiedere il conto per le occasioni mancate, per il paese che non ho più? Lo chiedo ai miei padri che, superata la paura del trauma, hanno preferito reinventare e accelerare la trasformazione che i paesi sonnecchiosi già sulla via dello spopolamento stavano affrontando.
La Commissione 219
La seduta del terzo Consiglio Comunale che, dopo la prima d’insediamento e programmatica e la seconda dettata da adempimenti in materia di bilancio, si può intendere come la prima realmente marcata dalla maggioranza politica ha, tra i punti all’ordine del giorno due adempimenti necessari per far ripartire i lavori della cosiddetta Commissione 2199. Si approva a regolamento comunale una legge dello Stato, la legge della ricostruzione post-terremoto 1980 nella sua componente più stretta politici-tecnici-cittadini, per affermare che la politica in quella commissione che istruisce le pratiche e concede i buoni contributo non ha voce in capitolo. Così, dopo vicende diverse, la politica ritorna nel suo ruolo naturale: fornire l’indirizzo politico e controllare senza ingerenze lo svolgimento dei lavori. Indirizzo, appunto. Così, con deliberazione di Consiglio Comunale n. 36 dell’1.08.201810, dopo una faticosa ricognizione delle somme presenti nelle voci del bilancio comunale e nelle tesorerie, si programma la percentuale da ripartire sul totale dei fondi assegnati al Comune di Palomonte da utilizzare per la ricostruzione del patrimonio edilizio pubblico, per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e per le esigenze abitative (priorità A e B secondo i criteri stabiliti dall’art. 3 commi 1 e 2 della L. 32/92).
Nonostante la chiarezza procedurale, gli atti di indirizzo, le ripetute riunioni, i lavori della commissione procedono a rilento, una pratica alla volta, una risoluzione di un problema alla volta, una storia di terremoto alla volta. Sono lontani i tempi in cui la commissione era una corazzata tecnico-politica e, così, anche ordinanze sindacali, procedimenti ad horas si arenano. Come si sono arenati alcuni stati finali necessari per il saldo del contributo nella mancata comunicazione tra le aree tecnica e finanziaria o, peggio, nell’inadempienza delle comunicazioni al CIPE, al Ministero del Tesoro o alla Regione Campania. Servirebbero molti altri fondi per completare la ricostruzione e, al tempo stesso, quelli che ci sono non vengono spesi perché le procedure non sono complete. La difficoltà amministrativa sta proprio in questo: far fluire i procedimenti che si scontrano contro mille ostacoli che nel boom di qualche decennio fa erano facilmente disarginabili.
I prefabbricati
Nel giugno 2019 rimuoviamo gli ultimi prefabbricati, le abitazioni transitorie dalla tenda alla casa. L’operazione è possibile grazie al riparto che ci permette di comprendere quanto dei fondi in cassa è utilizzabile per i lavori pubblici: ciò che restava del villaggio provvisorio a Valle, sorto grazie a fondi statali e donazioni, così non c’è più. Alcuni prefabbricati in legno sono ceduti a ditte e privati che li acquistano per smontarli e rimontarli altrove, quelli in lamiera, di materiali compositi o con tracce di amianto smantellati nel rispetto delle procedure di smaltimento e quelle sanitarie. Il costo per l’ente è di diverse decine di migliaia di euro, dal punto di vista simbolico l’operazione rappresenta la chiusura di un capitolo fatto di precarietà, sradicamento, disamore ma anche di quotidianità, relazioni, visioni comuni.
Ci sono miei coetanei cresciuti nei prefabbricati che tratteggiano con la memoria lo spazio domestico nel quale sono nati, ne cercano le tracce (ciò che era resistito dei pavimenti, l’area di sedime) perché, ora che vivono nella casa ricostruita, manca loro qualcosa che in quella provvisorietà era a portata di mano: il vicinato, lo stare insieme, il condividere, nella sfortuna, il conto alla rovescia per qualcosa (la casa) che tardava ad arrivare e che avrebbe risolto i disagi del caldo e del freddo, dello spazio stretto, dei cattivi odori. Emozioni opposte che fanno il paio con ciò che realmente è ancora sotto la polvere delle macerie, la fiducia gli uni negli altri che la corsa agli aiuti, alle sovvenzioni, ai contributi ha fagocitato, tra i terremotati e i non terremotati, tra i sostenitori del sindaco del terremoto e i suoi oppositori, tra quelli di n’gimma e quelli di m’bier.
La scuola-comunità
Lì dove fino a pochi anni fa vivevano terremotati o presunti tali ecco lo spazio vuoto che la politica può scrivere. Un’area da rigenerare, riscattare, restituire alle generazioni future, al centro del territorio comunale, punto baricentrico fra le frazioni che l’assenza di uno strumento urbanistico11 e la voracità del suolo della ricostruzione post-terremoto ha elefantiacamente alimentato, ma – soprattutto – un’area pubblica, costituita da terreni comunali o sgravati da usi civici: qui sorgerà una scuola, la scuola-comunità.
Un paese senza piazza è un paese spiazzato. Un agglomerato di case e di strade senza cuore e senza testa. È quel che hanno pensato i giovani di Palomonte, una cittadina del salernitano distrutta dal terremoto del 1980 e sfigurata dalla ricostruzione. Un gruppo di millennials con in testa l’avvocato-filosofo Mariano Casciano, l’antropologo Simone Valitutto e la direttrice della biblioteca Elisa Panza, ha puntato sulla cultura per tentare di far rinascere la loro comunità. Scegliendo la piazza e la scuola come luoghi-simbolo di una lista civica che a sorpresa ha vinto le ultime elezioni amministrative con 24 voti di scarto. Trasformando quella che sembrava una mission impossible in una scommessa politica e in un laboratorio di cittadinanza. A ispirarli, oltre all’insegnamento del sognatore Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici di Napoli, è stato l’innovativo progetto di Renzo Piano della scuola-comunità. Una sorta di nuova acropoli che, insieme agli alunni, ospiterà aree comuni e servizi per la collettività come palestra e auditorium e accoglierà persino il mercato cittadino, sotto il porticato dell’edificio. Che i ragazzi popoleranno al mattino e i cittadini al pomeriggio. Fondi ministeriali permettendo, che comunque la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha dichiarato di voler destinare all’impresa. Per trasformare l’utopia in realtà è stato chiamato Massimo Alvisi, collaboratore di Piano nel gruppo di Casa Italia che coinvolge tecnici della zona perché l’idea sia pienamente condivisa. Così la piazza potrà tornare a essere il centro vitale della polis, la scuola il suo motore di ricerca e la cultura il propellente per progettare un futuro migliore (Marino Niola, Piazza e scuola per rinascere (e vincere le elezioni), “il Venerdì di Repubblica”, 4 agosto 2017).
Cambiano i ministri di Viale Trastevere, i tecnici coinvolti, ma il progetto di costruire una scuola unica che risolva le emergenze edilizie degli edifici scolastici di Palomonte e faccia crescere, finalmente, insieme i palomontesi di domani continua il suo corso. La scuola-comunità, sin dalla campagna elettorale, come scrive Marino Niola, è il punto nevralgico del programma elettorale dell’amministrazione, frutto di sensibilità che non si preoccupano delle logiche mini-territoriali del presente ma guardano al progresso futuro. Oggi gli alunni che frequentano la scuola dell’Infanzia, la Primaria e la Secondaria di Primo Grado del paese sono divisi in quattro edifici scolastici, tutti costruiti tra gli anni ’60 e ’70, due nel centro storico, due nella frazione Bivio: i due poli che dal Secondo dopoguerra convivono centripetando logiche di appartenenza locale sub-comunali. Da una parte n’gimma, il centro storico e le frazioni limitrofe su cui da sempre agisce la sua funzione attrattiva, dall’altra m’bier, il centro abitato di Bivio e le sue frazioni, sviluppatisi nel corso del tempo per un naturale fenomeno di abbandono del centro in collina verso una posizione strategica che lo apre all’Autostrada Salerno – Reggio Calabria e lo fornisce di parrocchia, servizi, attività commerciali e, appunto, scuole.
Già prima del terremoto, dunque, i palomontesi frequentavano scuole diverse e la logica contradaiola della divisione pareva accendersi solamente durante le competizioni elettorali, ma coi soldi della ricostruzione è diventata violenta. Quelli di “giù” rimproverano quelli di “sopra” di aver approfittato della tragedia non per ricostruire il dovuto ma per arricchirsi di volumi in più per le proprie case (prime, seconde, stalle) demandando alle loro scelte private e politiche lo stato di abbandono del centro storico, lo sperpero di denaro pubblico, il mancato sviluppo del paese. Dall’altro lato, chi per anni ha vissuto in condizioni abitative provvisorie, senza la propria casa, la propria chiesa, la propria piazza, rimarca il proprio stato di disagio e non accetta, anche su logiche classiste che collocavano nel centro antico la classe medio-alta del paese e nelle frazioni – originariamente – i nuclei contadini e artigiani, di essere giudicato in tal modo.
Crescere con due parrocchie (con due sacerdoti), due scuole, nessuna piazza ha significato non conoscere i propri coetanei e ritrovarli, magari, compagni di classe agli istituti superiori in altri paesi. Com’è successo a me, cresciuto negli anni ’90, che sono salito per la prima volta nel centro storico del mio paese (all’epoca un cantiere operosissimo) da adolescente, chiedendo a mio nonno di accompagnarmici: né io, che non c’ero mai stato, né lui, che non lo riconosceva più, sapevamo orientarci. Oggi, per fortuna, quel muro invisibile è crollato da un po’, anche le nuove generazioni si conoscono e condividono momenti ed esperienze. Resta solo, tra mille difficoltà, lasciar loro una scuola innovativa e ai loro genitori un luogo di socialità.
Patrimonio dimenticato, patrimonio contestato
È apparso, già dai primi giorni di attività amministrativa e – mi auguro – leggendo questo breve resoconto, sempre più necessario riconnettere le storie di chi abita il paese, rielaborando le catastrofi del terremoto e della ricostruzione. Per farlo si è rivelato imprescindibile lavorare su due binari che, coinvolgendo la comunità locale, dirigessero da un lato verso il patrimonio materiale e immateriale sopravvissuto al 1980 o ancora in pericolo e dall’altro verso un’analisi collettiva del ruolo che gli spazi pubblici rivestono nella quotidianità attraverso una nuova forma patrimoniale generata ex novo tramite l’arte.
Un piccolo posto della Campania per un grande progetto. Palomonte, comune di quattromila abitanti nel salernitano, espande la memoria collettiva grazie a un lavoro coraggioso di un gruppo di videomaker. Venticinque ore di registrazioni d’interviste per raccontare questo luogo ferito da eventi drammatici, come il terremoto dell’80, ma soprattutto segnato dal lento spopolamento. E allora si guarda alle radici comuni per non disperdere la memoria. Il video, disponibile su vimeo.com, si chiama Ammì, acronimo di Arte, Memoria, Materia, Identità. Un progetto che si sviluppa in un contesto di proiezione verso il nuovo, come quello tracciato da PIC · Patrimonio in Comune, progetto che prevede la mappatura con rilievi fotografici tridimensionali e documentazione video dei luoghi a rischio scomparsa, proprio come i piccoli comuni in area sismica. Un’operazione che guarda alla rete per crescere ed essere sostenuta (TGR CAMPANIA, edizione delle 14.00 del 27 novembre 2018: https://vimeo.com/303524190 (ultima consultazione 02.07.2020).
Così, il primo lavoro verso la stesura collettiva di una mappa del patrimonio è PIC- Patrimonio in Comune12, si tratta di un progetto inedito, per cui Palomonte diventa il primo banco di prova, che accanto alla documentazione fotografica e video del patrimonio materiale (chiese, monumenti, affreschi, quadri, palazzi, castello ecc.) e immateriale (parole in dialetto, ricette, leggende, testimonianze di storia orale ecc.) permette di comprendere a chi si è lasciato coinvolgere quanto ciò che è rimasto sia fragile e al tempo stesso prezioso, generando un germe di orgoglio per beni fino ad allora non presi in considerazione e una domanda profonda. La stessa domanda che Antonia, l’anziana centenaria che a inizio documentario descrive i momenti terribili della scossa e dei primi giorni da sfollata, pone nella bocca di chi l’ascolta in un monologo autoriflessivo: «Ma com avita campat?». Come avete vissuto, come siete sopravvissuti, cosa vi ha mantenuti vivi?
Il secondo progetto, “Sussulti. Storie di terra e umanità”, ha, invece un’accoglienza diversa. Si tratta di un progetto di rigenerazione urbana attraverso l’arte pubblica del Comune di Palomonte, co-finanziato dalla Regione Campania13. Raccontare le storie degli italiani attraverso le pagine degli Archivi dei diari di Pieve Santo Stefano e le poesie di Pierluigi Cappello, risignificate in istallazioni artistiche che tendono a rimarginare gli scempi architettonici e urbanistici della ricostruzione post-sisma 1980, oltre a tentare di far diventare il paese meta turistica, ha prodotto un acceso dibattito nella comunità intorno agli spazi pubblici, per troppo tempo, nell’economia morale locale, secondari rispetto a quelli privati. La partecipazione della cittadinanza al processo artistico di riqualificazione è stato strutturato grazie a diverse modalità di dialogo e elaborazione di scelte: attraverso laboratori aperti e itineranti sono stati individuati gli spazi pubblici da dover ridefinire attraverso l’arte, l’organizzazione dell’accoglienza e ospitalità degli artisti prodotto di diverse riunioni con associazioni e gruppi informali, il calendario della settimana di residenza è stato costruito coinvolgendo le diverse frazioni del paese.
Accanto alla partecipazione attiva di una porzione della cittadinanza, soprattutto giovane, durante la realizzazione delle istallazioni e nei giorni successivi una serie di polemiche hanno riguardato l’utilizzo dei fondi comunali che, invece di essere spesi per “Sussulti”, avrebbero dovuto sostenere spese di manutenzione del territorio, l’ubicazione di una specifica opera su un muro rivestito in pietra perché ritenuto già “rigenerato” e, in generale, la “bellezza” dei lavori artistici. Queste polemiche, dai luoghi pubblici di discussione è passata sui socialnetworks, nell’aula consiliare con un’interpellanza della minoranza e nella caserma dei Carabinieri, con una denuncia di danneggiamento aggravato contro ignoti che hanno distrutto – a pochi giorni dalla realizzazione – una delle cinque istallazioni. Polemiche sterili che, puntando il dito contro i 10 mila euro di cofinanziamento comunale (paragonati ai miliardi spesi – male o bene – per la ricostruzione sono una goccia nel mare) lo mettono nella piaga che ancora non si è sanata da quel 23 novembre 1980, dalla solidarietà internazionale, dallo Stato che sbaglia e accusa i responsabili, dai ritardi e dagli scandali: del pubblico, dei beni comuni, del futuro poco importa, ciò che conta non è incoraggiarsi a vicenda con “ce la faremo”, ma fottere l’altro.
Occorre, secondo me, proprio in occasione degli anniversari sfuggire dalla retorica, dalla nostalgia, dal pianto e dal rimpianto e ripartire con questa consapevolezza: se di ricostruzioni sbagliate è piena la storia delle catastrofi italiane, ancora non abbiamo imparato che prima di ricostruire le case occorre ricostruire il sentimento di quei luoghi, pericolosi e vitali, che decidiamo di abitare, far pace coi propri paesi e lavorare affinché i benefici siano condivisi da tutti, senza egoismi e clientelismi, senza silenzi e omertà. Solo così potrà esserci una buona ricostruzione e non ci saranno differenze tra catasto e cuore.
*L’articolo è stato pubblicato in “Terremoto 20 + 20. Ricordare per ricostruire”, Edizioni MIdA, 2020, quinto rapporto dell’Osservatorio sul doposisma curato da Stefano Ventura. Simone Valitutto ha anche curato, insieme a Fabio Fichera e Irene Falconieri, il secondo volume di “Visioni d’archivio”, il semestrale dell’Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (Irpinia 1980. Evocare il terremoto, ripensare i disastri).
Note
- Palomonte è un comune del Cratere salernitano, elencato nell’allegato B del DECRETO-LEGGE 13 febbraio 1981, n. 19 “Individuazione dei comuni colpiti dal sisma del novembre 1980”, questo vuol dire che non è stato classificato come “disastrato”, ma “gravemente o particolarmente danneggiato”. Il numero di vittime legate alla scossa registrato in paese è tre, le abitazioni crollate, interessate da crolli, cedimenti o lesionate è aumentato in seguito alle scelte dei proprietari di acuire, spesso artificialmente, i danni per facilitare l’erogazione di contributi
- Restanza, il tornare nei paesi e osservare chi parte o resta (Vito Teti, Pietre di pane. Un’antropologia del restare, Quodlibet, Macerata 2011).
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Il centro storico di Palomonte è la sede di edifici pubblici e religiosi, rovine, tracce del patrimonio storico-artistico, case vuote, scarsamente o recentemente abitate, la piazza è una spianata di cemento. In un paese senza piazza, in cui anche le frazioni (spesso contrapposte) sono sprovviste di luoghi della socialità pubblici, il depauperamento delle occasioni reali di incontro e confronto ha generato l’esigenza di una piazza virtuale.
Nel 2012 nasce un gruppo Facebook che – attraverso il ricordo (raccolta di foto d’epoca, aneddoti, storie, documenti, discussioni) prima e l’azione (organizzazione di eventi, visite guidate, interventi privati di manutenzione e restauro, controllo e denunce dell’attività amministrativa, ripristino della Biblioteca Comunale, formazione di una lista civica presentatasi alle elezioni comunali) dopo – ha avviato un percorso di ricostruzione identitaria legato non solamente al luogo fisico (piazza), ma anche a quello antropico/antropologico (paese). Il passaggio dal ricordo all’azione, frutto della discussione online e del riconoscersi dei membri più attivi, è stato graduale. Esposta una questione sul social network, avviati il confronto virtuale e quello reale, si è proceduto alla risoluzione, prima da volontari e ora da amministratori, attraverso la partecipazione fisica e intellettuale di abitanti e di palomontesi emigrati che hanno messo a disposizione risorse e competenze. I primi risultati raggiunti da questo processo sono di natura culturale, con la Biblioteca Comunale diventata “piazza del sapere” e polo della comunità
- L’Aus è un fenomeno carsico presente sul versante settentrionale della collina del centro storico, nella tradizione locale è una voragine pericolosa che inghiotte, senza far ritornare, chi vi si avvicina.
- Il testo è ricco di spunti autobiografici riferiti non solamente all’attivismo della locale sezione del PCI o all’ opposizione al sindaco in carica dal 1975 al 1992, ma anche a vicende personali, ricordi, analisi degli stravolgimenti urbanistici e tra i compaesani con l’innesco di dinamiche sociali violente. È la testimonianza della generazione dei giovani del terremoto, coloro che hanno partecipato all’iniziale risveglio cooperativo alimentato dall’arrivo di organizzazioni di volontari (a Palomonte operò l’ARCI di Brà coordinata direttamente da Carlo Petrini), sconfitti dall’egemonia politica che ha monopolizzato la ricostruzione e tutto ciò che ne consegue (sventramenti, insediamenti industriali, gestione dei fondi e dei buoni-contributo).
- Commissione parlamentare d’ inchiesta sulla attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e della Campania colpiti dai terremoti del novembre 1980 e febbraio 1981 (Legge 7 aprile 1989, n. 128, legge 8 agosto 1990, n. 246 e legge 28 novembre 1990, n. 349), X Legislatura (dal 2 luglio 1987 al 22 aprile 1992), Relazione conclusiva e relazione propositiva, p. 444.
- Solo per citare alcuni testi fondamentali sul tema che hanno come campo d’indagine l’Italia Meridionale: dai primi studi, oggi in larga parte superati, di ricercatori stranieri (Edward C. Banfield E. C., The Moral Basis of a Backward Society, The Free Press, Glencoe 1958, Jeremy Boissevain, Patronage in Sicily, in “Man”, I, 1, 1966, pp. 18- 33) alle etnografie o approfondimenti storico-sociali di studiosi italiani (Gabriella Gribaudi, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno, Rosemberg & Sellier, Torino 1980, Maria Minicuci, Politica e politiche. Etnografia di un paese di riforma: Scanzano Jonico, CISU, Roma 2012, Berardino Palumbo, Politiche dell’inquietudine. Passioni, feste e poteri in Sicilia, Le Lettere, Firenze 2009, Amalia Signorelli, Chi può e chi aspetta. Giovani e clientelismo in un’area interna del Mezzogiorno, Liguori, Napoli 1983, Doroty L. Zinn, La raccomandazione. Clientelismo vecchio e nuovo, Donzelli Editore, Roma 2001).
- Cfr. David Graeber, Burocrazia. Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici, Il Saggiatore, Milano, 2015.
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Comune di Palomonte, Deliberazione del Consiglio Comunale n. 24 del 28.09.2017, oggetto: Regolamento per il Funzionamento della Commissione Comunale per ricostruzione e Riparazione ex lege 219/81 – L. 32/92 e ss.mm.ii.; Comune di Palomonte, Deliberazione del Consiglio Comunale n. 25 del 28.09.2017, oggetto: Nomina componenti della commissione tecnica comunale ex art.14 della L.219/81 e ss.mm.ii. (art.19 del D. Lgs.76/90). Da quest’ultima si citano questi passaggi esplicativi:
Premesso che:
– ai sensi dell’art. 14, commi 3,4 e 5 della legge 14 maggio 1981 n. 219, i comuni terremotati per l’esame delle pratiche relative al terremoto, possono costituire uno o più commissioni, elette dal Consiglio Comunale con voto limitato, tale da garantire la presenza di una rappresentanza della minoranza consiliare. Tali commissioni sono composte da quattro membri (oltre il Presidente, Sindaco pro – tempore), di cui almeno due tecnici, e sono presiedute dal Sindaco o suo delegato e sostituiscono a tutti gli effetti la commissione edilizia;
– il Comune di Palomonte con deliberazione di C.C. n. 8 del 22-06-2012, ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. 76/90, ha nominato i componenti della commissione tecnica comunale;
– in seguito alle recenti competizioni elettorali, si rende necessario rinnovare la commissione ex lege 219, in quanto la composizione consiliare è variata;
– il Consiglio di Stato, con parere n. 2447/2003, ha ritenuto che la presenza di organi politici nelle commissioni edilizie, deputate a pronunciarsi su autorizzazioni e concessioni edilizie non è più consentita dall’attuale assetto normativo;
– il Ministero dell’Interno, ha espresso l’avviso che le considerazioni del Consiglio di Stato devono intendersi valevoli anche per la commissione tecnica comunale di cui all’art. 19 del D. Lgs. n. 76/90, tenuto conto del carattere analogo di detta commissione edilizia e tenuto conto, altresì, che la stessa sostituisce a tutti gli effetti la commissione edilizia comunale;
– dal principio enunciato deriva che la Commissione edilizia, non essendo organo che svolge funzioni di indirizzo politico, non può essere composta né tantomeno presieduta da organi politici dell’ente locale.
- Comune di Palomonte, Deliberazione del Consiglio Comunale n. 36 dell’1.08.2018, oggetto: Prosecuzione dell’opera di ricostruzione conseguente agli eventi sismici del 1980-81 di cui alla L. 219/81 e successive modifiche ed integrazioni. Ricognizione sullo stato delle risorse assegnate e riprogrammazione del piano di impiego.
- L’assenza di uno strumento programmatorio per l’edilizia e lo sviluppo territoriale è stata sicuramente l’humus che ha alimentato la cattiva ricostruzione. Progetti di Piani di recupero, Piani Regolatori, Piani Urbanistici Comunali sono stati sventolati davanti agli elettori nei pubblici comizi, diventavano armi per punire gli oppositori e premiare i sostenitori, stracciati dal susseguirsi delle amministrazioni, bloccati da Enti sovraordinati. Nell’attività amministrativa della maggioranza di cui faccio parte c’è la revisione del PUC che fa i conti con carenze e rallentamenti procedurali.
- L’impossibilità di monitorare e promuovere al meglio l’immenso patrimonio conservato nei palinsesti delle principali città italiane, toglie alla rete dei Comuni al di sotto dei 5000 abitanti (5544 su 7.954) la quasi totalità delle risorse nazionali e comunitarie a disposizione, esponendoli ulteriormente al rischio sismico, idrogeologico e a processi di spopolamento e saccheggio. PIC intende contribuire al contenimento di questa erosione realizzando dettagliate campagne fotografiche (virtual tour, fotogrammetria 3D, drone, alta definizione, riflettografia all’infrarosso e fluorescenza ultravioletta) a partire dai quadranti più esposti. Questi dossier sosterranno le attività di promozione/prevenzione delle singole amministrazioni e saranno fruibili liberamente su un portale dedicato. L’auspicabile introduzione del protocollo PIC tra le buone pratiche amministrative incentiverà inoltre la formazione e l’occupazione di giovani professionisti in grado di documentare periodicamente ogni singolo territorio (Fonte: www.altrospaziophotography.com/patrimonio-in-comune-pic/, ultima consultazione 02.07.2020).
- Eventi per la promozione turistica e la valorizzazione dei territori” – Programma giugno 2018-giugno 2019.