In occasione dell’accordo sul nucleare iraniano, abbiamo pensato di riproporvi alcuni estratti da Vita di Galileo di Bertolt Brecht (Einaudi, 1970).
Esaltazione o condanna di Galileo?
Sarebbe un grave difetto della mia opera se avessero ragione quei fisici che mi dissero — in tono di approvazione — che l’abiura galileiana vi appare come ragionevole, ad onta di alcune «perplessità», per il fatto che essa consentì a Galileo di continuare i suoi studi scientifici, trasmettendoli ai posteri. In realtà Galileo arricchì l’astronomia e la fisica, nello stesso tempo in cui le svuotò di gran parte del loro significato sociale. Col discredito che esse avevano gettato sulla Bibbia e sulla Chiesa, queste scienze avevano combattuto per un certo tempo sulle barricate in difesa di ogni progresso. Ciononostante, è vero, il rivolgimento completo venne nei secoli seguenti; ma si trattò appunto di un rivolgimento, non di una rivoluzione; lo scandalo degenerò, per così dire, in una disputa tra specialisti.
La Chiesa, e con lei tutta la reazione, poté ritirarsi in buon ordine e conservare più o meno intatta la sua forza. Per quanto concerne queste scienze, esse non riacquistarono più quella funzione così importante nella società, non tornarono più su posizioni così vicine al popolo. Il misfatto di Galileo può esser considerato il «peccato originale» delle scienze naturali moderne. Della moderna astronomia, che interessava profondamente una classe nuova, la borghesia, perché appoggiava le correnti sociali rivoluzionarie dell’epoca, egli fece una scienza specialistica strettamente limitata, la quale naturalmente proprio grazie alla sua «purezza», ossia alla sua indifferenza per il sistema di produzione, poté svilupparsi relativamente indisturbata. La bomba atomica, come fenomeno tecnico non meno che sociale, è il classico prodotto terminale delle sue conquiste scientifiche e del suo fallimento sociale.
Il quadro spassionato di una nuova epoca. Premessa alla versione americana
Quando, nei primi anni del mio esilio, stavo scrivendo in Danimarca il dramma Vita di Galileo, nella mia ricostruzione dell’idea tolemaica dell’universo fui aiutato da alcuni assistenti di Niels Bohr, che stavano studiando il problema della disintegrazione dell’atomo. Era tra l’altro mia intenzione tracciare il quadro fedele di un’epoca nuova: impresa assai impegnativa, giacché intorno a me ognuno era convinto che alla nostra epoca per dirsi nuova mancasse tutto. Sotto quest’aspetto nulla era mutato quando, alcuni anni dopo, mi accinsi a produrre, in collaborazione con Charles Laughton, la versione americana del dramma.
A metà del nostro lavoro l’«era atomica» fece il suo esordio a Hiroshima. Dall’oggi al domani la biografia del fondatore della nuova fisica assunse un ben diverso significato. L’infernale potenza della grande bomba gettava una luce nuova e più viva sul conflitto di Galileo con le autorità del suo tempo. Poche modifiche furono necessarie al dramma, e nessuna alla sua struttura. Già nell’originale la Chiesa era rappresentata come un potere secolare, e la sua ideologia come, in fondo, permutabile con parecchie altre. Fin dal principio, come chiave di volta della gigantesca figura di Galileo era stato adottato il suo concetto di una scienza legata al popolo.
Per secoli e in ogni parte d’Europa, il popolo, con la «leggenda di Galileo», gli fece l’onore di non credere alla sua abiura, quando già da gran tempo derideva gli scienziati come tipi strambi, dalla limitata ed emasculata astrattezza.
(La stessa parola «dotto» ha in sé qualcosa di ridicolo, un che di passivo, quasi di «addestrato». Nel Bavarese la gente parlava dell’«imbuto di Norimberga», col quale nei cervelli delle persone di non troppo viva intelligenza venivano immesse più o meno a forza grandi quantità di nozioni, una specie di clistere intellettuale, che non le rendeva più intelligenti. Anche se uno aveva «trangugiato la scienza col cucchiaio», la cosa era considerata innaturale. I «colti» – e anche su tale parola grava questa fatale passività – parlavano di una vendetta degli «incolti», di un odio innato contro l’«intelletto»; e in effetti il disprezzo si mescolava spesso all’animosità; nei villaggi e nei sobborghi l’«intelletto» era considerato con sospetto, perfino con ostilità. Ma troviamo questo disprezzo anche nelle classi cosiddette elevate. Esisteva un mondo a parte, il «mondo dei dotti». Il «dotto» era una bizzarra figura, impotente ed esangue, «presuntuosa» e non troppo vitale).
Osservazione conclusiva sulla rappresentazione americana
Deve essere saputo che la nostra rappresentazione fu allestita nel periodo e nella nazione in cui era stata fabbricata e impiegata militarmente la bomba atomica, e dove la fisica atomica rimaneva avvolta nel più fitto segreto. Il giorno in cui la bomba venne sganciata non sarà facilmente dimenticato da chi si trovava negli Stati Uniti, ai quali la guerra col Giappone era costata effettivamente gravi sacrifici. I trasporti di truppe partivano dalla costa occidentale, e qui sbarcavano i feriti e le vittime delle malattie asiatiche. Quando i primi dispacci giornalistici arrivarono a Los Angeles, si comprese che era la fine della guerra temuta, il ritorno dei figli e dei fratelli.
Ma la grande città si diede a manifestazioni di stupefacente cordoglio. L’autore udì conducenti d’autobus e fruttivendole al mercato non esprimere altro che sgomento. Era la vittoria, ma con l’ignominia di una disfatta. Venne poi il segreto di cui i militari e i politici circondarono la gigantesca fonte di energia, e che suscitò l’indignazione degli intellettuali. La libertà della ricerca, lo scambio delle scoperte, la comunità internazionale degli scienziati, tutto era paralizzato da dirigenti su cui ora cadeva il più pesante sospetto. Grandi fisici si affrettarono ad abbandonare il servizio del loro bellicoso governo; uno dei più famosi accettò una cattedra dove era costretto a sciupare il suo tempo insegnando i principi più elementari, solo per non dover lavorare al servizio di questo governo. Scoprire qualcosa era diventato un’ignominia.