Pubblichiamo una riflessione uscita originariamente su Middle East Eye a proposito della relazione tra produzione hollywoodiana, filmati dello Stato Islamico e rapporto tra immagini e moralità.
Anche se non guardiamo i filmati-esecuzione dello Stato Islamico, continuiamo a pensare alle vittime impaurite e ai freddi aguzzini, agli spietati coreografi che girano ed editano i video, e alle famiglie tormentate delle persone che sono state brutalmente uccise.
L’IS, come sappiamo, produce i suoi clip-esecuzione e li distribuisce su YouTube e sui social media al fine di terrorizzare alcune popolazioni e reclutarne altre. Le uccisioni, coreografate grottescamente, trasformano le esecuzioni in uno spettacolo e la loro disseminazione diventa un’arma politica.
Questo congegno di propaganda richiede un’autoriflessione. Perché rimaniamo meravigliati dalla “barbarie degli incivili” mentre la “barbarie dei civilizzati” non sembra toccarci? In altre parole, come diamo forma alle nostre concezioni di barbarie e quali sono le implicazioni politiche di questo processo?
Prendiamo il nuovo film di Clint Eastwood, American Sniper, che ha incassato milioni di euro nei botteghini di tutto il mondo. Mentre si dispiega la trama del film, ci viene mostrato come Chris Kyle, un membro della marina americana, sviluppa una dipendenza omicida durante la guerra in Iraq. Kyle si sposa, ha dei bambini, ma come un tossico ritorna ripetutamente nel Paese occupato dagli Stati Uniti, e anche quando torna fisicamente a casa pensa ai luoghi in cui ha ucciso. «Non sei davvero qua con me» gli dice sua moglie.
Dopo essere tornato definitivamente negli Stati Uniti, Kyle ha ucciso centinaia di persone — bambini, donne e anziani, tra i tanti. È un esecutore americano, ma poche persone in Occidente lo vedono in questi termini. Infatti, addirittura in alcuni cinema americani le persone applaudono dopo la fine del film, ed esprimo compassione per l’esecutore. Per molti Kyle è un eroe da celebrare.
American Sniper e molti film simili mettono in luce come diverse forme di filmato-esecuzione circolano pubblicamente nei nostri contesti, alcuni su YouTube, altri nei cinema, altri ancora alla televisione. In Israele, per esempio, l’esercito distribuisce regolarmente filmati aerei di droni e jet militari che uccidono miliziani palestinesi (e spesso civili).
Tutti questi filmati rendono le esecuzioni visibili e accessibili. Ma tra loro vi è una differenza, poiché i media occidentali trattano le esecuzioni messe in atto dai “civilizzati” in maniera diversa dalle esecuzioni dell’IS. Le esecuzioni dei “civilizzati” sono, in altre parole, addolcite. Non ci sono corpi smembrati, non c’è sangue, non c’è volto umano, come se i missili Hellfire sganciati dai droni Predator in Pakistan venissero in un certo senso sterilizzati.
Ecco perché i filmati in cui compare la “barbarie del civilizzato” diventano visualmente e moralmente tollerabili, a tal punto che, come nel caso del cecchino di Eastwood, le persone pagano per vederli, mentre i filmati in cui si mostra la “barbarie dell’incivile” vengono censurati e disprezzati attraverso manifestazioni pubbliche di orrore.
Senza dubbio la questione di cosa renda alcune esecuzioni gradevoli e altre oscene è una questione centrale. Ma dobbiamo chiederci anche se le due forme di violenza di questi diversi filmati-esecuzione siano davvero disconnessi o se invece non siano legate in un nodo storico politico. Per dirla senza giri di parole, ci potrebbe essere un film-esecuzione dell’IS senza American Sniper? È davvero difficile immaginare un’esecuzione dell’IS che evoca Guantanamo senza Guantanamo.
La discussione sulla visibilità delle esecuzioni tende a negare qualsiasi relazione tra il coreografo dell’IS e il regista di Hollywood. Tuttavia questi differenti filmati-esecuzione sono chiaramente parte di un continuum storico, politico ed estetico.
[Di Nicola Perugini e Neve Gordon è in uscita per Oxford University Press The Human Right to Dominate (2015)]