La bambinata e altre crudeli favole del decoro (seconda parte)

Altre favole del decoro

IV

Senza una quarta gamba il «decoro» non si regge a lungo in piedi, e rimane roba da reazionari, bigotti e lettori di giornali conservatori1. E invece i suoi (dis)valori hanno avuto diffusione assai più ampia di questa. Ciò che ne determina il successo, ciò che lo rende il irresistibile, è la paura. Bisogna che il «degrado» faccia paura, per poter perseguire il «decoro» senza opposizioni.

La ricetta della paura è contenuta nella teoria delle finestre rotte, formulata da James Q. Wilson e George L. Kelling nel 1982. Wilson è consigliere del presidente Reagan, Kelling è consulente del NYPD: non sono certo due sprovveduti. La teoria delle finestre rotte è l’ennesima bambinata, e sono loro stessi a raccontarla (involontariamente) quasi come una favoletta. C’era una volta «un quartiere stabile di famiglie», che via via si trasforma «in una giungla terrificante e ostile». Una proprietà viene abbandonata, l’erba cresce e non viene tagliata; poi «una finestra viene infranta» e il climax può avere inizio:

«Gli adulti smettono di rimproverare i bambini turbolenti; questi si imbaldanziscono e diventano più maleducati. Le famiglie lasciano il quartiere, arrivano adulti privi di legami. Gli adolescenti fanno capannello davanti al negozio all’angolo. Il negoziante chiede loro di andarsene e quelli rifiutano. Ci sono risse. Il pattume si accumula. Qualcuno inizia a bere davanti alla drogheria; più tardi un ubriaco si lascia cadere sul marciapiede e gli viene consentito di restare lì a smaltire la sbornia. I passanti sono avvicinati da mendicanti. A questo punto non è inevitabile che prosperino i crimini gravi o ci siano aggressioni violente a passanti. Ma molti residenti penseranno che il crimine, specialmente quello violento, sia in crescita, e modificheranno conseguentemente il proprio comportamento.»

«Non è inevitabile che prosperino i crimini» ma molti residenti lo penseranno come inevitabile. Spero che sia chiaro che qui non stiamo affatto parlando di crimine, ma di percezione del crimine, o meglio: solo di paura. La paura della classe media,  che ha fondamenti sociali ed economici, viene così indirizzata neppure verso il microcrimine,  ma verso comportamenti non criminali: la movida del cornershop, l’ubriachezza, la richiesta di elemosina. L’articolo del 1982 – una violenta grandinata di luoghi comuni e di non sequitur – diventa il cardine dell’idea neoliberale di ordine pubblico. E diventa altresì, negli anni novanta, la base teorica della tolleranza zero newyorkese.

Nel 2016 il comune di Milano distribuisce un libretto ai ragazzi e alle ragazze delle scuole dell’obbligo che la sintetizza la Broken Windows Theory in questo modo:

«se in un edificio c’è una finestra rotta che nessuno ripara, essa genera un fenomeno di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. […] Così è anche per un graffito non ripulito in maniera efficace e tempestiva: col tempo, esso causerà la comparsa di altri graffiti e atti vandalici. […] In una situazione di questo tipo è probabile che ben presto siano compiuti altri atti vandalici, scatenando conseguenze di grado pari o superiore. Si propagherà poi una diffusa sensazione di anarchia, che condurrà il quartiere (o la città) in una spirale autodistruttiva.»

Decenni di studi hanno dimostrato che la teoria delle finestre rotte è falsa. Nel 2016, proprio mentre la giunta «progressista» milanese guidata da Giuliano Pisapia la conta ai ragazzini, a New York l’organo municipale di controllo sul dipartimento di polizia emette un documentatissimo report che la scredita definitivamente, dichiarando di non aver trovato prove empiriche del rapporto tra la repressione del «degrado» e l’andamento dei crimini gravi.

La favoletta è quindi falsa. Nondimeno continua a produrre effetti. E l’effetto principale è appunto quello di legare il «degrado», ovvero la mancanza di decoro, con il crimine, e quindi convincere la classe media impoverita che una persona che non paga il biglietto del bus, che dorme in strada, che beve una birra davanti all’alimentari, che occupa un appartamento sfitto eccetera, è una minaccia per la sicurezza.

Lo dice d’altronde anche la legge. Nel decreto Minniti (14/2017) è scritto che «per sicurezza urbana [si intende] il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città». Dunque sicurezza = decoro e, specularmente, decoro = sicurezza. E quindi, per rassicurare i cittadini, il decreto colpisce venditori di strada, parcheggiatori abusivi, occupanti di immobili, writers. Se infatti decoro e sicurezza sono una cosa sola, un muro pulito dà sicurezza, mentre una tag deve per forza far paura.

 

Dall’ideologia all’economia del decoro

Abbiamo visto come il decoro poggi sulle quattro zampe, e favole: la virtù morale, il rapporto con l’abitazione, la disciplina del corpo e la paura. Raggiunta questa solida posizione esso può diventare pienamente produttivo. E cosa produce il decoro? Produce ulteriore accumulazione originaria.

Anche all’interno di un sistema compiutamente capitalistico come il nostro esistono margini, attività, strati sociali che non sono ancora pienamente e integralmente sottoposti al regime del massimo profitto. Essi ricomprendono alcune funzioni e beni pubblici, di pertinenza dello stato, commerci che si sviluppano negli interstizi dei circuiti economici ufficiali, margini di autodeterminazione dove la legge dello stato capitalista non penetra, piccole economie informali eccetera. La cugina che fa la babysitter in nero, il parrucchiere a domicilio, le case popolari,  il welfare che ancora non è stato messo pienamente privatizzato eccetera. Ebbene: appropriarsi di queste economie e forme di vita è il modo in cui il capitale ripete oggi e domani e sempre la propria accumulazione originaria. Spesso il gesto di appropriazione coincide con il sopprimere queste economie e poi risuscitarle a nuova vita capitalistica: il parrucchiere a domicilio viene «pescato» dalla guardia di finanza e multato, perde così ogni controllo sul suo lavoro e ogni autonomia, e per pagare il suo debito diventa apprendista presso un salone in franchising in un centro commerciale. Il cui titolare è a sua volta stretto tra l’affitto da pagare e le rate del prestito contratto per acquisire brand e attrezzature. E sulle loro vite, quando nelle rapide pause fumano una sigaretta affacciati sul parcheggio rovente, «svetta la gigantesca scritta Coop». Così la funzione ideologica del decoro diventa funzione economica del decoro; la sovrastruttura si ripiega su sé stessa, si inspessisce e produce struttura. E dunque profitto (sempre più concentrato).

 

le favole del decoro
Foto di Christian Ostrosky da Flickr: https://www.flickr.com/photos/ostrosky/3022398101/in/photolist-5B5zCe-5B5zE6-6DwMsD-6D4nw5-2vzxE3-5B9Qgw

Gli esempi sono infiniti. Il sindaco di Ischia, nel 2018, fa divieto di «sciorinare i panni per l’asciugatura da balconi prospicienti sulla pubblica via» perché questa pratica «risulta in contrasto con il decoro dei centri storici di un Comune a vocazione turistica.» Qui agisce una semplice cancellazione dei modi di vita popolari, perché quella vita deve farsi sfondo a quella peculiare accumulazione originaria che è la turistificazione. Questo è il processo principale e macroscopico, ma a ben pensarci, nel suo piccolo, già la cancellazione in sé è produttiva: una volta impedito che i panni asciughino gratuitamente al sole che generosamente irradia l’isola, si apre il mercato per le asciugatrici domestiche o a gettone, che a loro volta sono prodotte sia nella parte meccanica che in quella elettronica grazie a estrattivismo e sfruttamento.

Fenomeno diverso, ma convergente, quello che vede la messa a reddito della vita spontanea di un quartiere, e persino della creatività anticapitalistica e punk dei suoi abitanti. Qui l’esempio che ho più caro – cioè che più mi fa sanguinare il cuore – è quello della Bolognina, quartiere proletario, meticcio e negli anni passati denso di spazi autogestiti estranei alle logiche di profitto. Quel fermento controculturale diventa oggi il brand dell’assalto della finanza al quartiere. The Student Hotel, catena di studentati per benestanti, si presenta così:

«Portiamo il nostro stile fuori dagli schemi [nella Bolognina], un quartiere che ben rispecchia la nostra community: multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente. Questa è una zona di Bologna che storicamente ospita una scena underground, tutta graffiti, musica punk rock e anticonformismo artistico applicato in ogni forma d’avanguardia. Chissà perché ci sentiamo come a casa…».

le favole del decoro
La controcultura messa a valore nella pagina Facebook di Fini

Cosa c’entra qui il decoro? Beh, è molto semplice: in nome del decoro si è criminalizzata la vita spontanea del quartiere, si sono mandate le camionette coi militari («operazione strade sicure»), si sono sgomberati gli spazi occupati e a quel punto si procede a sostituirli con asciugatrici, ovvero con birrerie artigianali, studentati per ricchi, laboratori «creativi»… che recano sulle insegne nomi che si riallacciano ipocritamente al sempre più remoto antagonismo. Scrive Ascari, costringendomi ad alzare lo sguardo dalle miserie di quartiere:

«Dal saccheggio materiale delle terre e delle colonie la logica estrattiva si estende […] a tutte le forme di cooperazione e di socialità che possono rappresentare una nuova frontiera del capitale, le attraversa, creando e ricreando continuamente il confine in movimento del valore esterno da confiscare.»

E nei rari e commoventi momenti in cui questa confisca viene alla luce, magari per un moto di solidarietà, o di amarezza, verso l’ennesimo sfratto o sgombero, subito «la città punitiva del decoro» rilancia con nuovi allarmi la sua promessa «di protezione». «[P]er procurare al capitale», una volta repressi e tacitati i solidali e gli amareggiati, «ancora un quarto di santità», e ancora un morso di accumulazione in più.

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Note

  1. Questo testo è la rielaborazione di un intervento al Corso di Perfezionamento in Teoria Critica dell’Università di Firenze, tenuto il 23 maggio 2020.
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