Joy con finale a sorpresa

di Giulia Romanin Jacur

Quando si decide di fare uno spettacolo ai margini del grottesco, utilizzando l’esagerazione, il gesto portato alla sua esasperazione comica, può capitare che se succede realmente un imprevisto, quest’ultimo venga fagocitato dallo spettacolo, accolto dal pubblico come una finzione, può capitare dunque che entri in qualche modo a far parte della performance.

È proprio quello che è successo la sera del 24 giugno alle Fonti di Pescaia durante lo spettacolo Joy di Teatro Inverso: l’attore Davide D’Antonio pochi minuti prima della fine dello spettacolo, mentre il suo personaggio attentava per la terza volta alla vita del compagno di avventure (Roberto Capaldo), si è trovato a far fronte ad un “problema tecnico”: ha avuto un incidente ad una spalla, e lo spettacolo si è dovuto interrompere. Ma il bello è stato che in quel momento e per i minuti seguenti buona parte del pubblico presente, compresi gli operatori, è rimasto sospeso in quella zona grigia che si trova tra realtà e finzione: non era possibile capire se l’incidente facesse o meno parte dello spettacolo.

Un finale a sorpresa per tutti dunque, anche per gli attori. Il fatto che ci siano stati quei minuti di indecisione tra il pubblico fa pensare che lo spettacolo sia realmente riuscito, quell’esagerazione era tanto credibile da aprire la storia a diverse soluzioni. Chissà che direzione avrebbe preso o prenderà in una prossima replica questo spettacolo, in conseguenza a questo imprevisto, materia succulenta per chi lavora con l’improvvisazione, e in particolare per uno spettacolo come questo, che è stato pensato come work in progress, che subisce una metamorfosi di volta in volta a seconda dell’interazione col pubblico e dello spazio in cui viene performato.

Uno spettacolo che di per sé è un gioco grottesco, gioca infatti con le reazioni del pubblico, indaga il limite tra la vita e la morte, porta all’esagerazione e all’assurdo il tema di quello che è necessario e vitale per un individuo e quello che non lo è. Joy appare una performance dove il concetto dell’attaccamento alle cose viene preso e portato all’assurdità. Parla appunto della nostra ossessione per il possesso degli oggetti, che potrebbe portarci ad attaccarli col nastro adesivo al nostro stesso corpo, proprio come fa provocatoriamente uno degli attori in scena. Questo attaccamento si può manifestare come volontà di distruzione delle cose o volontà di accumulo, due declinazioni della stessa ossessione, rappresentata dai due personaggi in lotta sulla scena: il primo personaggio è quello che vuole qualsiasi tipo di cose e minaccia il pubblico con una pistola, il secondo è quello che le distrugge, martello alla mano. Il primo si presenta in scena e sussurra all’orecchio delle persone tra il pubblico parole che inizialmente appaiono senza significato: -Scusi, Lei, ce l’avrebbe un piccolo oggettino da darmi?-, in cambio di un oggetto personale concede una sedia di plastica o uno sgabello; questa cortese richiesta nel corso dello spettacolo si declina in una minaccia con tanto di pistola a cui chiaramente l’ostaggio scelto tra il pubblico non si può sottrarre, quest’ultimo deve rispondere anche all’interrogatorio sul perché della scelta di quell’oggetto e sul legame affettivo che lo lega ad esso. Cellulari, sciarpe, borse, chiavi della macchina, pezzi di pizza, birre, si vanno a sommare al mucchio di cose che i due compagni già possiedono e contribuiscono a creare una scenografia alquanto caotica e disordinata. L’altro personaggio invece ha l’obiettivo di distruggere le cose che il compagno ha collezionato, farle a pezzi, e per questo viene sottoposto a violenze da parte dell’altro. Lo spettacolo è costituito da un crescendo di violenza tra i due personaggi, che va di pari passo con un aumento dell’energia sulla scena, e proprio nel momento in cui ha raggiunto il suo massimo di energia e di aspettativa nel pubblico, si interrompe. Rimane senz’altro il desiderio di sapere come termina lo spettacolo, anche se lasciarsi suggestionare dalla performance e dal suo finale può saziare comunque lo spettatore.

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