Un libro atteso e necessario, divulgativo ma non semplicistico, che mira a uscire dal gioco delle rappresentazioni incrociate alla base della letteratura sullo “scontro di civiltà”.
Un’analisi dell’agire di ISIS in termini di flessibilità e resilienza nel tempo e nello spazio, tra pragmatismo e ideologia.
In Italia, sinora, l’analisi del fenomeno ISIS, così come di diversi altri temi che hanno a che fare con la politica e le società del mondo arabo e islamico, è stata quasi egemonizzata da una pubblicistica neo-orientalista che scrive, al di fuori di ogni prassi consolidata di ricerca scientifica, esclusivamente allo scopo di mettere a frutto un tema: quello dello “scontro tra civiltà”1 In senso più ampio, questa lettura essenzializzante e culturalista mira a evidenziare, al di là del barbarismo di ISIS, l’impossibilità di mettere a punto delle forme di convivenza civile basate sul dialogo interculturale, come la minaccia del terrorismo islamico in Europa starebbe a dimostrare. Questi lavori operano una de-umanizzazione di tutti i musulmani che, quando accusati di collaborazionismo tout-court, sono tacciati di acquiescenza alla logica della barbarie califfale, insidiose potenziali “quinte colonne” appartenenti a un’infida zona grigia, dalla quale, pare di capire, si potrebbe in ogni momento materializzare il terrorista suicida “della porta accanto”.
Considerando la natura puramente ideologica di questa letteratura, ritengo sia difficile non comprendere la gravità del fatto che l’opinione pubblica su temi cruciali per la coesione e l’armonia delle società in cui viviamo si formi pressoché esclusivamente attraverso questo tipo di narrazioni. Coloro che si dedicano con serietà e rigore allo studio di tali temi hanno un dovere impellente, quello di svolgere un ruolo forte all’interno del dibattito pubblico, cui possono contribuire saperi e approcci, in modo che la divulgazione diventi contemporaneamente un momento di informazione ed educazione alla complessità. Il valore di questo libro sta, prima di tutto, in questo: nel suo taglio divulgativo alto, di qualità, che permette al lettore non specialista di ampliare le proprie conoscenze ponendosi però allo stesso tempo in conversazione con una serie di dibattiti teorici ben enucleati, che si colgono con chiarezza e non sfuggiranno all’esperto.2
Per andare oltre l’approccio neo-orientalista, che accetta come assioma la natura “barbara”, anti-moderna, atavistica e irrazionale di ISIS, e cercare di spiegare invece l’evidente complessità di un’organizzazione che ha egemonizzato il jihadismo radicale transnazionale della fine del XX secolo volgendolo in un progetto di state e nation-building concreto e tangibile, è dunque necessario uscire dal «gioco incrociato degli specchi», come lo definisce Lorenzo Trombetta nel suo bel saggio, e analizzare l’agire di ISIS in termini di flessibilità e resilienza nello spazio e nel tempo, tra pragmatismo e ideologia. Per gioco incrociato degli specchi intendo la sorprendente, ma niente affatto inspiegabile, tendenza degli ideologi di ISIS e dei sostenitori del concetto di “scontro di civiltà” ad autorappresentarsi e a rappresentare l’avversario in maniera sostanzialmente univoca, ovvero come portatore di progetti egemoni, finalistici e autoreferenziali.
Da una parte, nel libro vediamo come, storicamente, sia avvenuto il processo di coagulazione dell’ISIS a partire dal jihadismo qaedista afghano prima e iraqeno poi, ripercorrendo la genesi dell’organizzazione attraverso la messa in atto di tattiche e strategie pragmatiche. Rientrano in questa sezione i contributi di Lorenzo Declich e Matthieu Rey. Declich delinea le fasi attraverso cui ISIS è emerso e si è configurato per la sua specificità di azione e autonomia progettuale rispetto ad al-Qa’eda nell’ Iraq post-2003. Rey invece colloca la nascita di ISIS nella storia politica iraqena e siriana, sia in termini di continuità che di discontinuità con le pratiche di potere del partito Ba‘ath. Vengono quindi delineati i contesti in cui si sono collocate le prassi di radicamento dell’associazione con le sue varie forme di cooptazione, a livello locale e globale. Al-Mulhem ricostruisce il sistema di alleanze tra ISIS e i gruppi tribali della provincia di Ninive, evidenziando l’importanza di un approccio micro per comprendere come ISIS sia riuscito a radicarsi in un preciso ecosistema di poteri.
I contributi di Massimiliano Trentin e Fred Lawson ampliano la prospettiva di indagine. Trentin discute le opportunità che ISIS ha sfruttato per articolare il suo progetto politico: in primis la destrutturazione di forme di governance territoriale, la trasformazione di territori statuali in aree contese e l’utilizzo della retorica settaria, nella sua forma più violenta e intransigente, per demolire altre forme di solidarietà. Fred Lawson analizza come l’azione di ISIS abbia impattato sul sistema delle alleanze regionali dando origine a un’inedita situazione di fluidità e ridefinizione. In questo quadro, alcuni Paesi hanno superato vecchi antagonismi stringendo nuove forme di partnership (è il caso di Iran e Turchia) mentre vecchie contrapposizioni si sono ulteriormente radicalizzate (è il caso dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran).
A questa lettura pragmatica, che approfondisce la dimensione storica e quella strategica dell’autonomia politica di ISIS, fa da contrappunto quella ideologica, ovvero l’analisi del modo in cui la propaganda esercitata dal Califfato, sia nei contesti in cui agisce direttamente che a livello globale, ha reso ISIS un progetto attraente per diverse tipologie di soggetti delusi e frustrati, alla ricerca di riscatto e di protagonismo. Fanno parte di questa seconda sezione i contributi di Lorenzo Trombetta, Antoine Courban e Barbara De Poli. Attraverso la raccolta di testimonianze dirette e profili individuali di jihadisti dell’ISIS tra Libano, Turchia, Iraq e Giordania, Lorenzo Trombetta mette in evidenza come, dietro l’apparente unitarietà del discorso jihadista e la sua tendenza a “omogenizzare” la differenza tra reclute provenienti dall’ Occidente – seconde e terze generazioni di cittadini immigrati e convertiti – e reclute provenienti dai contesti locali, i jihadisti conservino dei tratti che mostrano il prevalere di fattori socio-economici o ideologici nel determinare la loro condotta. Mentre i jihadisti stranieri sembrano più spinti da motivazioni di riscatto individuale legato ai fenomeni di deculturazione e nevrosi delle società individualiste europee, i militanti locali sembrano mossi da molto più prosaiche motivazioni economiche. L’ideologia jihadista nelle sue componenti psicosociali viene ben indagata nel saggio di Courbain, che indica nel nichilismo il tratto saliente dell’ideologia dell’ISIS.
Barbara De Poli invece analizza il discorso di legittimazione politica dell’ISIS alla luce della sua interpretazione “raffazzonata” e “approssimativa” dei Testi. Scrive De Poli che la «dichiarazione del califfato da parte della leadership dell’ISIS sembra iscriversi nella pseudo-esegesi consolidata dai jihadisti, costituita da uno strumentale bricolage di elementi arbitrariamente estrapolati dai Testi, al servizio di un progetto politico, che se pretende di richiamarsi alla purezza delle origini, di fatto non esita ad alterarne la sostanza, riscrivendo una verità a proprio uso e consumo» (pag. 110). De Poli si riferisce qui all’eclettismo con cui l’istituzione califfale viene legittimata sulla base di dottrine «asharite che postulano la discendenza diretta del califfo dal clan qureisihita in contraddizione con l’approccio hanbalita cui ISIS sembrerebbe richiamarsi più evidentemente, mantenendo inoltre una evidente ambiguità sulla interpretazione del concetto di khilafah». Lungi dal costituire una debolezza dell’ISIS, tali “errori”, contraddizioni ed ambiguità non fanno che sottolineare il carattere postmoderno, quasi pop, di ISIS, con questa sua capacità di svuotare concetti, mescolarli e ricombinarli in maniera puramente idonea alla propria meta-narrazione.
In questo libro, ISIS viene visto prima di tutto come un progetto politico, coerente e integrato. E in effetti, è in questa ottica che possiamo comprendere quel concetto di “amministrazione della barbarie” (Idarat at-Tawahhush) lanciato nel 2004 da al-Naji e diventato il riferimento della leadership di ISIS. Lo spettacolo di parossistica violenza che ISIS mette in scena attraverso la sua sezione media è frutto di una attenta pianificazione, finalizzata a vincere i cuori e le menti degli aspiranti jihadisti, fondamentali per costruire, attraverso varie modalità che vanno dal war-making alle alleanze, una forma di ordine alternativo allo status quo. Questo è stato reso possibile dalla coeva dislocazione di due specifici contesti in cui ISIS è stato pronto a infilarsi, guadagnando spazio e influenza, e cioè il crollo della governance in Iraq prima e la sollevazione popolare contro il regime di Bashar al-Assad poi.
Capitalizzando la rarefazione del potere statuale centrale, ISIS ha proceduto a elaborare un suo autonomo progetto di governo, accaparrandosi risorse e cooptando le élites burocratiche e militari del precedente regime ba’athista. Il reclutamento avviene con modalità specifiche, fa leva su bisogni peculiari dei soggetti che coinvolge e sfrutta a fine autocelebrativo una narrazione che è a tutti gli effetti un mito fondante della islamofobia contemporanea, cioè quello della natura totalmente artificiale degli Stati mediorientali per via degli accordi Sykes-Picot e della loro genesi coloniale. L’accettazione di questa narrazione, acritica e al di là delle corrispondenze empiriche, come discusso da una serie di interessanti contributi accademici,3 permette all’ ISIS di potersi proporre come vendicatore di questa sorta di vulnus imperialista, cosi come alle forze occidentali di “giustificare” il proprio intervento ordinatore al fine di intervenire sull’“endemica” conflittualità dell’area. Sembra spesso che ISIS e sostenitori della tesi dello scontro di civiltà abbiano da obbiettivi simili, che ci sia una curiosa comunanza di interessi e di agenda: definire un ordine basato sulla polarizzazione e il dualismo, in cui lo scontro diventa non solo lo strumento ma il vero e proprio fine.
Note
- Maurizio Molinari, Il Califfato del terrore, 2015 (si veda la recensione di Nicola Perugini); Magdi C. Allam, Isis, Non perdiamo la testa, il dovere di difenderci dalla violenza dell’Islam, 2014; Islam, siamo in guerra, 2015; Souad Sbai, Dietro il Palcoscenico dell’Orrore, 2015; Andrea Foffano, ISIS, Attacco all’Europa, 2016. Non è questa la sede per una rassegna sistematica della letteratura su ISIS in lingua italiana, ma è sufficiente dire che, accanto a quello sopra delineato, il secondo filone maggiormente rappresentativo è composto da opere che identificano semplicisticamente ISIS con un prodotto dell’Occidente e delle sue politiche egemoniche nell’area, finendo per liquidare l’agire autonomo di questo gruppo come epifenomeno delle politiche dell’Occidente. Tale approccio non è meno essenzialista ed eurocentrico di quello precedente.
- Altre felici e benvenute eccezioni al filone neo-orientalista di cui sopra, che possono essere accostate al lavoro che recensisco qui sono, Giuseppe Battiston, Arcipelago al-Qaeda, 2016 e Marina Calculli e Francesco Strazzari, Terrore Sovrano, 2017.
- Daniel Neep, “The Middle East, Hallucination, and the Cartographic Imagination” (ultimo accesso 19.06.2017); Reidar Visser, Dammit, it is not unravelling: an Historian’s Rebuke to Misrepresentations of Sykes-Picot” (ultimo accesso 19.06.2017); Sara Pursley, “Lines Drawn on an Empty Map”: Iraq’s Borders and the Legend of the Artificial State (2 parts), (ultimo accesso 19.06.2017).