il lavoro culturale aderisce all’appello per la liberazione di Gabriele Del Grande rivolto al Governo Italiano.
Gabriele è ora in sciopero della fame, detenuto in isolamento in Turchia dal 10 aprile senza aver commesso nessun reato, mentre stava lavorando al suo ultimo progetto, un racconto collettivo sulla guerra in Siria e la nascita dell’ISIS/Daesh. Sosteniamo il rilascio di Gabriele (e degli oltre 150 giornalisti attualmente detenuti in Turchia), ripubblicando alcuni articoli in cui le nostre strade si sono incrociate.
Uno sguardo dentro e fuori le sale della 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A cura di Silvia Jop. Da una conversazione con Gabriele del Grande, appunti su “Io sto con la sposa”, di Antonio Augugliaro, Gabriele del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry.
Te lo giuro, è cominciata così, senza grandi ragionamenti. Hai presente quando ti ritrovi ogni tanto la sera con gli amici a bere e chiacchierare? È andata così anche quella sera. E a forza di chiacchierare, bere e ridere assieme, è nata l’idea. Ti lascio immaginare a quante altre cose avevamo pensato, lo sai come sono quei momenti in cui si è tra amici e si immagina ogni cosa e il suo contrario. Ma tra le mille cose dette e abbozzate, quando ci è venuta in mente l’idea della sposa e del suo viaggio oltre confine, ce ne siamo innamorati all’istante. È stata in qualche modo una visione: un corteo nuziale che attraversa l’Europa per superare i confini, per beffarli, per riprendersi quel diritto all’abitare a prescindere dalla cittadinanza che spetterebbe a chiunque.
Gabriele parla con gli occhi densi, sorridenti e ancora pieni d’amore verso quell’idea che, oltre ad essersi trasformata in realtà, è diventata anche un film. Un’idea nata in tre e cresciuta in ventitré, a cavallo dell’Europa, e che ha innamorato in pochissimo tempo 2717 persone che hanno aderito alla campagna di finanziamento dal basso attraverso la quale sono stati raccolti quasi centomila euro in soli due mesi. «Assieme all’emozione incontenibile che è andata sempre crescendo mentre l’idea diventava velocemente realtà» continua Gabriele,
ci siamo resi conto della responsabilità di cui ci stavamo facendo carico, non solo nei confronti di noi stessi – per il rischio di accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina – ma soprattutto nei confronti di Abdalla, Manar, Abu Manar, Mona e Abu Nawar. E una volta in viaggio, questa consapevolezza è diventata determinante. Solamente che, anziché renderci più deboli, ci ha rafforzati, e l’ha fatto unendoci: noi e loro, eravamo assieme, rischiavamo assieme e la fiducia che siamo riusciti a nutrire gli uni verso gli altri probabilmente è diventato il punto di forza di tutta l’esperienza.
Io sto con la sposa[1] è un documentario di 89 minuti che, raccontandoci la vicenda rocambolesca di un matrimonio inscenato ad hoc per rendere possibile, nonostante i confini, l’approdo in Svezia di cinque siriani e palestinesi sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra e intenzionati a chiedere asilo politico, ci racconta anche di un’altra Italia e di un’altra Europa. Non tanto di “come potrebbero essere”, bensì di come, nonostante tutto, sono. Perché se da un lato viviamo in un Paese che ha storicamente affidato la gestione del diritto d’asilo in prevalenza ai pacchetti sicurezza e alle direttive europee – dando vita a un sistema di accoglienza incline alla contenzione e al respingimento – questo stesso paese, e così il resto d’Europa, sono in parte abitati da persone capaci di accogliere, ospitare, sostenere, condividere; persone capaci di praticare un mondo diverso a partire da sé e dalla relazione con l’altro/a. Molto di questo film sta anche in quello che non si vede “sulla scena” ed è costituito dal modo in cui è il progetto è stato realizzato, passo dopo passo, fino ad approdare alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
L’oltre confine in “Io sto con la sposa” si realizza nell’istante in cui viene pensato e non smette mai di ripetersi: come una sorta di motore che, una volta acceso, non può più spegnersi. In poco, pochissimo tempo (due settimane) la folle idea di questa sposa in viaggio tra Milano e Stoccolma, contagia amiche, amici e colleghi. L’equipe di passeggeri si realizza mettendo a valore intenzioni, impegno, fiducia e competenze fino a costituire, attraverso il passaparola, un gruppo di ventitré persone tra registi, antropologhe, sociologhe, fotografi e viaggiatori collaudati, pronti a partire[2].
Al soggetto, scritto dai tre registi, si aggiunge il canovaccio di una serie di scene da girare e si definisce il percorso di massima da effettuare, tentando di evitare quanto più possibile blocchi e controlli. Una volta confermato il sostegno di compagne e compagni oltralpe, si parte. È il 14 novembre e, in fondo alla strada si intravvedono, come in un’insieme di cartoline sovrapposte le une alle altre: Marsiglia, Bochum, Copenaghen e Stoccolma. Un mucchio di cartoline che si sparpagliano e raccolgono con emozione nel corso di quattro giorni, trascorsi dentro e fuori dalle macchine sempre in contatto le une con le altre via telefonino. La geografia si fa marmellata nelle conversazioni: «Voi siete già in Germania? E com’è la frontiera? Tutto libero? Noi ancora in Lussemburgo ma tra poco vi raggiungiamo!». La gola di chi segue il viaggio seduto al cinema anziché in macchina con loro, si stringe di continuo: una volta per la paura che ad un confine o a un altro spunti fuori qualche controllo, oppure per la commozione, come quando, arrivati in Germania, i viaggiatori trovano ristoro in una cascina affittata da un gruppo di ricercatori e attivisti che hanno sostenuto il progetto. Una casa nel bosco in cui, nel cuore della notte, si raccolgono per l’occasione poeti siriani e migranti iraniani per accogliere il corteo della sposa. E in questi stringi/stringi della gola in se stessa per l’emozione diventa chiaro che guardando Io sto con la sposa si compie un’esperienza diversa da quella che siamo soliti fare quando parliamo o sentiamo parlare di migranti oggi. Ed è Gabriele ad esplicitarlo:
Ormai il dibattito in Italia si è arenato sul piano Frontex/Mare Nostrum. E le situazioni più frequenti in cui si parla di asilo politico e di migranti sono quelle in cui ci si trova sempre di fronte a una persona segnata dal trauma della partenza, dallo svilimento del viaggio, dall’inadeguatezza del sistema di accoglienza. Siamo ancora profondamente ancorati ad una visione vittimizzante del migrante che, molto spesso, finisce per essere compromettente per il migrante stesso. Con questo film invece abbiamo cercato di spostare la prospettiva su un piano alternativo grazie al quale lo sguardo di chi segue la storia, si trova naturalmente aderente a una visione per cui la libera circolazione delle persone, al di là dei confini, diventa un dato scontato che non avrebbe senso mettere in discussione. Insomma, ti trovi ad essere spettatore di una storia che racconta il viaggio straordinario di un gruppo di persone che, per ingannare i posti di blocco e le frontiere che si susseguono tra l’Italia e la Svezia, mettono in scena un matrimonio.
Il potere seduttivo che esercita sugli spettatori la storia di questo irresistibile e maldestro matrimonio tutto spalmato sui paesaggi, prevalentemente notturni, che si susseguono nel corso del viaggio, è tale da portare al di là del confine anche chi, dovesse esprimersi per principi, sosterrebbe che alla frontiera chi non ha i documenti corretti non può passare.
Intanto noi restiamo con una domanda, rimasta incastrata tra le ciglia, che abbiamo sentito ripetere nel corso del film più di una volta da uno dei viaggiatori:«Dove sono questi 17 Stati europei che dichiarano di essere disposti ad accogliere i richiedenti asilo?».
Note
[1] Presentato al Festival nella sezione Orizzonti – fuori concorso, nel giorno della chiusura del Festival, al film sono stati assegnati tre premi collaterali: il Premio FEDIC, il premio HRNs – Human Rights Nights Award per il Cinema dei Diritti Umani e il Premio di critica sociale Sorriso diverso Venezia 2014.
[2] Vi suggeriamo la lettura del bellissimo speciale curato da Valeria Verdolini su Doppiozero all’interno del quale potete seguire i passaggi del viaggio con gli occhi di chi quel viaggio l’ha seguito dall’inizio alla fine.
[Articolo originariamente pubblicato il 9 settembre 2014]