Intersezioni mediterranee

Una recensione a Le trasgressioni della carne. Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX, a cura di Umberto Grassi e Giuseppe Marcocci (Viella, 2015)


Le trasgressioni della carne
, a cura di Umberto Grassi e Giuseppe Marcocci, rappresenta un intervento importante e ben riuscito nel panorama italiano della storiografia critica, degli studi culturali e postcoloniali sul mediterraneo e, non da ultimi, degli studi queer sulla sessualità. Il volume esplora le vicissitudini del desiderio omoerotico nel mondo islamico e cristiano dal medioevo alla modernità; ma anche, e allo stesso tempo, il ruolo giocato dal governo della sessualità – e in particolare dell’omoerotismo maschile – nella produzione di linee di frontiera religiose, razziali e territoriali che continuano a definire, ancora oggi, lo spazio mediterraneo e le relazioni di potere che lo attraversano. Così facendo, nonostante la sua collocazione entro i confini metodologici della ricerca storiografica, il volume si presta anche a letture capaci di eccedere quello spazio disciplinare, rivelandosi, come del resto la miglior storiografia critica sa fare, uno strumento utile per pensare il presente.

Il volume è diviso in due parti. Il lettore meno familiare con la letteratura storiografica – come il sottoscritto – troverà certamente più arduo districarsi tra la quantità enorme di fonti che compongono le trame dei primi saggi; ma, rispecchiando trasformazioni metodologiche che caratterizzano oggi il campo disciplinare, lo stile si fa via via più asciutto, facilitando l’accesso ai non addetti ai lavori. Tuttavia, ciò che distingue più chiaramente la prima parte del volume dalla seconda è il modo in cui il mondo cristiano e quello musulmano vengono posti in relazione tra loro. La prima parte, intitolata “Descrizione e proibizione”, assume nel suo complesso un approccio comparativo, affrontando ancora i due mondi separatamente. Everett K. Rowson discute la diffusione di pratiche omoerotiche all’interno dell’élite mamelucca in Egitto e in Siria nel tardo medioevo, chiedendosi se sia possibile stabilire una vera e propria relazione tra la differenza etnica e di status dei mamelucchi e la loro apparente propensione eccezionale all’omoerotismo. Giacomo Todeschini ricostruisce l’emergere della sodomia intesa come crimine nel tardo medioevo cristiano, concentrandosi sulle sue intersezioni con il discorso sull’usura: entrambe pratiche socialmente improduttive. Selim S. Kuru, proponendo una riflessione interdisciplinare che fa uso della letteratura come fonte storiografica ma allo stesso tempo presta attenzione alle specificità dei diversi generi letterari, esplora l’evoluzione del tema dell’omoerotismo nella letteratura turco-ottomana fra tardo Quattrocento e primo Cinquecento. Sta al lettore, grazie anche alla preziosa introduzione dei due curatori, individuare continuità e discontinuità tra i tempi e i luoghi presi in esame da questi primi saggi.

Il capitolo di Vincenzo Lavenia, mettendo a fuoco il ruolo giocato dall’omoerotismo nell’incontro tra cristiani e musulmani, chiude questa prima parte ma apre già all’approccio sviluppato nella seconda, intitolata “Interazioni e immaginari”. Lavenia ricostruisce come l’attribuzione di sodomia fu mobilitata per costruire l’“altro” musulmano nella Spagna moderna e mostra, più precisamente, come l’associazione tra sodomia e Islam assunse un ruolo centrale nell’apparato discorsivo che accompagnò la cacciata dei musulmani dalla penisola iberica (la cosiddetta reconquista). A partire da qui, e per tutta la seconda parte del volume, la storia dell’omoerotismo viene ricostruita nelle sue molteplici intersezioni con la mappatura geopolitica del mediterraneo e delle sue differenze religiose e razziali. Questo approccio culmina nel saggio conclusivo, in cui Jean-Raphaël Bourge discute ciò che Joseph Boone ha definito, in un suo libro recente, “l’omoerotica dell’orientalismo” (The Homoerotics of Orientalism, 2015): tutto quell’immaginario specificamente omoerotico che si sviluppò intorno all’impresa coloniale condividendone le premesse epistemiche, tra cui l’idea orientalista di una maggior predisposizione alle perversioni sessuali – sodomia e poligamia innanzitutto – riscontrabile tra i popoli colonizzati.

È chiaro, dunque, che il volume nel suo insieme non avanza l’ipotesi secondo cui la sessualità e il desiderio omoerotico profilano un campo dell’esperienza che trascende, o perfino sovverte, relazioni di potere articolate lungo altri vettori, in particolare quelli della differenza religiosa e razziale. A dir la verità, Grassi e Marcocci sembrerebbero suggerire proprio questo in certi passaggi della loro introduzione: «è possibile – si chiedono ad esempio i due curatori – che la pratica dell’omoerotismo abbia definito uno specifico terreno di scambio e interazione tra musulmani e cristiani, rivelando proprio in una dimensione clandestina e non priva di pericoli della vita sociale la capacità di superare le molte barriere elevate dalle rispettive religioni?» (p. 9). Ma la risposta che emerge attraverso la lettura dei sette saggi che seguono è tendenzialmente negativa. La pratica dell’omoerotismo appare piuttosto immersa nella rete di conflitti e di rapporti di forza che ha caratterizzato storicamente le relazioni tra cristiani e musulmani all’interno dello spazio mediterraneo.

Infatti, anche gli autori che, a differenza di Lavenia e Bourge, si concentrano meno sul disciplinamento della sessualità e sul governo dei territori e spostano invece l’attenzione sulle esperienze e le pratiche omoerotiche che videro cristiani e musulmani interagire tra loro, non mancano di riconoscere che quelle pratiche, in quanto tali, non trascendevano – né sovvertivano sostanzialmente – le relazioni di potere caratterizzanti il più ampio contesto sociale all’interno del quale prendevano forma. Il capitolo di Tomás A. Montecón Movellán, che ricostruisce il fiorire di vere e proprie “sottoculture omosessuali” nella Spagna cattolica subito dopo la cacciata dei musulmani, pone un accento particolare sul fatto che musulmani e moriscos (convertiti di origine musulmana) divennero peculiari oggetti del desiderio all’interno di tali circoli clandestini. Luiz Mott, affrontando questioni simili ma nel contesto portoghese, afferma invece il contrario. Secondo la ricostruzione di Mott, i mouriscos in Portogallo «corteggiavano e avevano rapporti sessuali con i loro conterranei e, in misura minore, con i portoghesi. Erano spinti a praticare compulsivamente una specie di endogamia omoerotica, che dipendeva dalla separatezza sociale cui erano costretti e forse dal loro aspetto generalmente disprezzato nel mercato del piacere europeo, in cui la bellezza era generalmente legata al colore bianco della pelle» (p. 170). Ma che Montecón Movellán, a differenza di Mott, sembri individuare nella sessualizzazione specifica dei musulmani e dei moriscos spagnoli per lo più un’occasione d’incontro e di scambio, non significa affatto, come invece l’autore sembra suggerire a tratti, che il desiderio omoerotico trascendesse le differenze razziali. Al contrario, come insistono giustamente i due curatori nell’introduzione, è importante registrare i processi di razzializzazione operativi all’interno di questa vera e propria economia del desiderio nella Spagna del Siglo de Oro: «Esponenti dei ceti più elevati compravano schiavi soppesandone gli attributi sessuali, mentre uomini di colore svolgevano il ruolo di intermediari e ruffiani tra i giovani della nobiltà, spesso visibilmente effemminati, e uomini delle classi popolari» (p. 15).

Portando alla luce questi scenari, il volume ha il merito di offrire uno sguardo genealogico – e situato nello spazio mediterraneo – su alcuni dibattiti emersi di recente nel campo delle teorie queer e riguardanti le intersezioni contemporanee tra le politiche della sessualità e il cosiddetto “scontro di civiltà” tra Occidente e mondo islamico. Sono proprio i due curatori a suggerire una certa continuità tra passato e presente. «Basti pensare – scrivono Grassi e Marcocci – quanto l’ombra dell’omosessualità fu presente nell’elaborazione dello stereotipo del nemico musulmano nella retorica cristiana tra medioevo ed età moderna, come lo è oggi nell’immaginario sull’Occidente decadente e infedele che agita i fantasmi dell’islam più conservatore» (p. 10). Tuttavia, questo parallelismo non esaurisce la questione. Jasbir K. Puar ha osservato, in Terrorist Assemblages (2007), che il prisma della perversione attraverso cui l’Occidente ha guardato storicamente al mondo islamico non è venuto meno a seguito dei progressi occidentali nel campo delle libertà sessuali, ma ha subito invece una trasformazione. L’associazione tra perversione e islam, costruita storicamente intorno alla figura del musulmano sodomita quando nell’Europea cristiana la sodomia era considerata sia peccato che reato, non sarebbe stata semplicemente dismessa nell’Europa di oggi presumibilmente secolarizzata, ma piuttosto riconfigurata attraverso una dicotomia altrettanto orientalista tra occidentali “liberi” da una parte (etero e omosessuali in egual misura) e, dall’altra, musulmani virili ma morbosi, omofobi perché repressi, puritani e perversi. È sulla scorta di queste riflessioni che Puar ha coniato il termine “omonazionalismo”: un tentativo di nominare lo sdoganamento della sodomia e il progressivo accesso di gay e lesbiche occidentali al repertorio dei diritti civili liberali alle spese di una loro parziale collusione con i discorsi e le politiche dello “scontro di civiltà”, i quali non fanno altro che recuperare e ritoccare immaginari di più lunga data.

Se tuttavia Puar elabora la sua critica adoperando una “temporalità corta” che predilige l’11 settembre 2001 come momento inaugurale, Le trasgressioni della carne contribuisce a tessere una conversazione genealogica intorno a questi scenari contemporanei. Inoltre, situato nello spazio mediterraneo, il volume è in grado di interrogare il dibattito anglosassone sull’omonazionalismo non solo ampliandone la prospettiva temporale, ma anche attraverso un dislocamento spaziale: cosa può dirci la storia del mediterraneo sulla sessualizzazione dei rapporti di forza tra cristiani e musulmani? Il volume a cura di Grassi e Marcocci, pur senza tematizzare esplicitamente le relazioni tra passato e presente se non nell’introduzione dei due curatori, costituisce un primo passo prezioso in questa direzione.

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