Pubblichiamo di seguito una parte dell’intervista a Franco Loi dell’8 gennaio 2013, a cura di INCONTROTESTO, in cui il poeta parla dello scrittore e amico Vittorio Sereni.
[Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita e i trenta dalla morte del poeta Vittorio Sereni. A lui sono dedicate due iniziative organizzate a Siena da INCONTROTESTO, in collaborazione con il Centro Fortini, il lavoro culturale e 404: file not found: una lettura di poesie, che si terrà sabato 9 febbraio alle ore 18.30 nella Sala degli Intronati a Siena, e un’esposizione di materiali sereniani dai fondi Fortini e Parronchi, dal 9 al 23 febbraio (primo piano della Facoltà di Lettere e Filosofia, via Fieravecchia); l’inaugurazione della mostra sarà sabato 9 febbraio alle ore 11.00. Inoltre il blog404: file not found dedica al poeta un focus per tutta la settimana.]
[In continuità con gli altri testi usciti nei mesi passati su il lavoro culturale pubblichiamo di seguito una parte dell’intervista a Franco Loi dell’8 gennaio 2013, a cura di INCONTROTESTO, in cui il poeta parla dello scrittore e amico Vittorio Sereni. Il resto dell’intervista, insieme a quelle fatte rispettivamente ad Aldo Nove, al collettivo Sparajurij, ad Alessandra Sarchi, a Giulio Mozzi, a Bobo Rondelli, e ad alcuni contributi su Vittorio Sereni, saranno pubblicati da Pacini, nei prossimi mesi, nel volume degli Atti della seconda edizione del progetto, sempre gratuiti e scaricabili in formato e-book e pdf.]
In quel momento lavoravo alle relazioni pubbliche della Rinascente. Un giorno che ero a pranzo con una mia amica, mi dice: «Senti Franco, ma tu cosa ci stai a fare qui in Rinascente?» e io le dico: «Che ci sto a fare? A differenza di te che non hai bisogno (era figlia dei setaioli di Como, famiglia ricchissima) io ho bisogno». E lei: «Ma lascia perdere che io sono ricca e tu no e che devi lavorare, ma non andresti a lavorare piuttosto in una casa editrice?». «Ma certo che ci andrei, ma non conosco nessuno, non mi è mai capitata l’occasione di entrare in una casa editrice». «Perché con la tua cultura, col tuo sapere… ti aiuto io. Proprio in questo momento c’è una signora che conosco che è il capo ufficio stampa della Mondadori, e quindi se vuoi parlo con lei, ti faccio dare un appuntamento, e entri in Mondadori».
E allora sono andato a parlare con questa signora, che mi ha detto: «Io la assumerei di sicuro, però il colloquio per l’assunzione lo deve fare con Vittorio Sereni, perché è lui che ha portato la rassegna della stampa in Mondadori, e quindi vuol sapere sempre quando si tocca questo argomento, chi deve leggere i giornali. Lei dovrebbe fare una specie di giornale interno, in ciclostile naturalmente, della Mondadori, dove si raccolgono tutte le notizie che riguardano la cultura in tutti i campi, anche quelle sui ministeri che legiferano sulle case editrici o sulla scuola, e tutte le recensioni».
Il giorno dopo sono andato in Mondadori e ho incontrato Vittorio Sereni. Una della prime domande che mi ha fatto è stata: «Ma lei si interessa di cultura?». E io: «Sì sì, certo, mi interesso di cultura». «Ma cosa legge?». «Be’ per esempio i russi, i romanzieri russi, e mi interesso anche di filosofia, per cui ho letto Spinoza, ho letto Kant…». E lui dice: «Ma, e poesia? Per caso scrive poesie?». «No, di poesia non mi son mai interessato». «Bene, meglio così. Per me va benissimo, lei è proprio adatto per l’ufficio stampa».
Poi ho capito perché m’ha detto così: perché chi entrava dentro alla mia età (io allora avevo trent’anni) magari gli rompeva l’anima per le sue poesie, per le sue cose, e poi forse pensava che se uno era un poeta era troppo distratto per poter far bene un lavoro come quello.
Che io scrivevo poesie l’ha saputo che eravamo già nel ’70. Io ero entrato nel ’60, avevo lasciato la Rinascente e proprio il primo gennaio del ’60 ero entrato alla Mondadori. Allora il mondo editoriale era tutta un’altra cosa, pensi solo a Sereni direttore editoriale di una casa editrice… Sereni era una grande persona, una persona colta, intelligente, una persona molto riservata. Prima alla Pirelli aveva fatto lo stesso lavoro che facevo io: ufficio stampa, e quando è entrato in Mondadori è stato lui che ha proposto di fare la rassegna della stampa. Era stato molto contento che io non scrivessi poesie perché (conoscendo l’ambiente letterario, poi) pensava che uno che scriveva poesie non sarebbe stato l’uomo adatto. Quando ormai eravamo nel ’70 lui è stato invitato ad andare su uno yacht di un grande industriale del luogo, che tra l’altro aveva una specie di castello, una di queste ville grandi sulla Bocca di Magra, sulla collina, ed era una persona molto legata a Sereni, tanto che gli permetteva di andar su quando aveva voglia di cambiare aria, e gli aveva fatto una stanza per scrivere, con una gran biblioteca. Quel giorno lì per combinazione c’era un mio amico pittore che era stato invitato a fare questo stesso giro, e andava a trovare suo figlio che era anche lui a Bocca di Magra. Allora si son conosciuti, sullo yacht, Sereni e questo mio amico, Piero Neddi. Parlando lui gli ha detto: «Io conosco uno che lavora con lei». «Sì? Chi?». Ed è venuto fuori il mio nome, hanno parlato di me, e a un certo punto lui gli ha detto: «Poi sa che scrive anche poesie». E lui: «Come scrive poesie?». «Sì, scrive poesie».
Quando è tornato a Milano è venuto in ufficio (era venerdì, mi ricordo ancora) e mi ha fatto chiamare dalla segretaria. Io credevo che fosse per farmi un’osservazione sul lavoro, e invece lui mi dice: «Si accomodi». E poi mi fa: «Vengo adesso da Bocca di Magra. E mi scusi, ma ho incontrato un suo amico pittore, che mi ha parlato di lei, e io l’ho fatta chiamare per una ragione: lei non mi ha mai detto che scrive poesie, ma è vero?». «Be’ sì, scrivo anche poesie». Scrivevo anche romanzi, anche racconti, scrivevo in generale. E lui mi ha detto: «Ma come, lei è dieci anni che lavora con me e non mi ha mai detto che scrive poesie?». «Ma io non vado mica in giro a dire a tutti che scrivo poesie!». «Be’ ho capito, ma a me poteva anche dirlo…». «È vero, ma le dirò una cosa: lei non ha mai tempo, è sempre preso, o le riunioni in Mondadori, o i festival di poesia, o i rapporti con gli altri editori, o i rapporti col presidente, e non verrei a rompere le scatole a lei con le mie poesie, perché lei prima di tutto le farebbe leggere ai suoi collaboratori, e dei suoi collaboratori io non ne stimo neanche uno». «Ma allora lei non vuole farmi leggere le sue poesie?». E allora io: «Ma non son mica scemo! Se lei me lo chiede, certo che gliele faccio leggere!». «E allora se me le porta oggi, perché io devo andare a Roma, e quindi in viaggio per Roma, sa, leggerò in treno». «Va bene». E gliele ho portate.
Al lunedì, sono andato per portare il lavoro in ufficio alle undici, e lui si vede poverino che oltre tutto era venuto diverse volte a vedere se io c’ero, perché era lì: quando sono andato era davanti alla porta del mio ufficio, anzi di preciso veniva su dalle scale per venire dove c’era l’ufficio (perché noi avevamo il lato del Saggiatore, fuori dalla Mondadori). Allora lui mi è corso incontro, mi ha abbracciato, e si è messo a piangere. E mi ha detto: «Guardi, le sue poesie mi son piaciute tantissimo. Anzi, alcune delle sue poesie avrei voluto scriverle io, su Milano». E io gli ho detto: «La ringrazio». E ho pianto un po’ anch’io.
E da allora non mi ha detto più niente, ma un anno dopo mi ha fatto pubblicare su «Nuovi argomenti», la rivista che allora dirigeva Pasolini, e poi due anni dopo mi ha fatto pubblicare sull’«Almanacco dello Specchio». Poi non mi ha più detto niente, finché nel 1974 altri due miei amici, Ferruccio Parazzoli e Raffaele Crovi, direttore editoriale della Mondadori, sono andati a pranzo insieme al direttore della collana di poesia di Einaudi, che ha detto: «Uno che pubblicherei è quello che avete pubblicato voi nell’«Almanacco dello Specchio», però sarà vostro». E loro hanno detto: «No, a noi non risulta che sia nostro». «Allora se mi date il suo numero gli telefono». Così gli hanno dato il numero, e io ho ricevuto una telefonata da Davico Bonino che mi dice: «Senta, io sono Davico Bonino, ma lei non vorrebbe pubblicare con noi, con Einaudi?». E io gli ho detto: «Sa cosa mi chiede lei al telefono? Lei mi chiede una cosa che più piacere non mi potrebbe fare, perché quando ero responsabile della sezione giovanile del PCI vendevamo la stampa comunista più i libri dell’Einaudi!». «Bene, son contento di questo. Se vuole venire a Torino». E sono andato a Torino, però gli ho detto: «Prima di firmare voglio parlarne con Vittorio Sereni, perché lui è stato il primo che mi ha fatto pubblicare, e contemporaneamente è direttore letterario della Mondadori, e poi adesso siamo diventati amici» perché lui dopo un po’ mi aveva chiesto di darci del tu, di parlare, e io facevo fatica all’inizio, ma poi ci siamo dati sempre del tu. E lui: «Va bene».
E ho aspettato un mese. Andavo a chiedere di Sereni e o non c’era, o era in viaggio, o era in riunione. Per un mese non sono riuscito a trovarlo, e allora ho deciso: mi sono consultato con mia moglie e ho firmato. Dopo tre mesi finalmente mi incontro con Sereni, nel corridoio dove ero andato a portare come sempre il lavoro, e allora: «Ciao, ciao…», abbracci, e io: «Senti, devo dirti una cosa, ti ho cercato tanto che non hai idea, per un mese intero ti ho cercato». «Ma sai, sono sempre in giro…». «Però io ho firmato un contratto che prima, ecco… con Einaudi» e lì c’era una sedia: e lui si è seduto sulla sedia e ha detto: «Cosa mi hai fatto?». E io: «Ma senti Vittorio, non ti capisco sai, io sono arcicontento che mi pubblichi Einaudi. E se fossi in te sarei anche più contento, perché uno che ho riconosciuto io l’ha riconosciuto anche un altro. Perché se fossi stato solo tu qualcuno avrebbe potuto dire: ‘Be’, sai, Sereni c’ha queste simpatie…’ invece no, quindi se fossi in te sarei ancora più contento». «Ma tu non conosci l’ambiente letterario, adesso tutti diranno che mi son lasciato portar via un autore, e in più diranno che non ne ho capito il valore», e io gli ho detto: «Ma scusa, per me tu sarai sempre quello che mi ha abbracciato nel corridoio, e che non dimenticherò mai». E allora lui si è alzato, mi ha abbracciato, e ha detto: «Hai ragione, hai ragione tu, ecco». «Tanto sai come vanno queste cose, un giorno pubblicherò anche per Mondadori». E infatti quando mi han chiesto poi di pubblicare con Mondadori (me l’ha chiesto Maurizio Cucchi), gli ho dato le Voci d’osteria e lì gli ho scritto: «Grazie, perché finalmente sono venuto incontro al volere di Vittorio Sereni».