Il protagonista del quinto appuntamento di Incontrotesto, è stato Nanni Balestrini, presentato e introdotto da Marianna Marrucci.
Balestrini è un artista che è difficile inquadrare in maniera univoca: la sua produzione spazia dalla poesia, alla prosa, passando per le arti visive; ha collaborato – e tuttora collabora – con compositori, registi, sceneggiatori, oltre ad essere stato impegnato in campo editoriale presso la casa editrice Feltrinelli ed essersi occupato di riviste cartacee ( il “Verri” e “Alfabeta”) e sul web ( “Zoooom” e “Azeta”). A Balestrini, che ama definirsi poeta prima che romanziere, abbiamo sottoposto una serie di questioni, alcune relative al rapporto tra letteratura e modernità, (l’influenza del web in campo editoriale, il ruolo che l’intellettuale ricopre oggi), e altre che ci hanno permesso di entrare nel vivo nella sua opera. Caso fortunato, tra l’altro, ha voluto che da pochi giorni sia uscito il suo ultimo romanzo Liberamilano (Deriveapprodi) seguito da Una mattina ci siam svegliati (già pubblicato nel 1995). Quest’ultimo racconta la grande manifestazione a Milano della sinistra italiana il 25 aprile del 1994, all’indomani della vittoria di Berlusconi alle elezioni; Liberamilano è invece il resoconto della vittoria di Pisapia a Milano seguita dalla folla oceanica che, in Piazza Duomo, brindava alla sconfitta dell’amministrazione – quasi ventennale – del governo di destra. Milano teatro di due diverse e partecipate vittorie che, significativamente accostate nei due romanzi, tracciano la parabola politica che ha caratterizzato la nostra epoca, dal suo “glorioso” inizio fino alla sua anelata fine. Ma non è la politica che interessa a Balestrini (sebbene, come ha dichiarato, sia solito scrivere delle cose che più gli stanno a cuore): entrambi i romanzi, infatti, pongono l’accento non tanto sulle conseguenze storico-politiche di questi avvenimenti, ma sulla loro coralità, sulla condivisione dei sentimenti provati dall’enorme fiumana del popolo. Avvenimenti che non si vedevano più da davvero troppo tempo, al punto che, prima di questi fatti, gli unici momenti di collettivizzazione delle emozioni che Balestrini aveva intravisto erano stati quelli delle tifoserie negli stadi (di questo tratta un altro suo romanzo, I furiosi del 2004). Nella gran parte dei suoi romanzi, dai quali ha letto alcuni passi, la coralità è sapientemente espressa grazie alla tecnica stilistica del collage, ossia il montaggio da una parte del “materiale verbale” tratto da conversazioni, trasmissioni radiofoniche o commenti casuali, dall’altra, attraverso la rielaborazione di fonti scritte (giornali, interviste). Balestrini ha per questo sempre definito la sua produzione artistica come strenua “operazione sul linguaggio”; lo scrittore non vuole insegnare nulla e, di fatto, non inventa niente di nuovo: è soltanto un copista, un semplice operatore del linguaggio che assembla parole senza costruire significati. Cade così l’illusione – e forse la pretesa – dell’arte di cambiare il mondo, di incidere volutamente sulla società. Ripeto: volutamente. Perché consapevolmente o meno, le opere di Balestrini di contenuti profondi e importanti ne veicolano eccome. Lette e tradotte anche oltreoceano sono diventate il simbolo della lotta per la libertà, baluardo dell’inviolabilità dei diritti, slogan di piazza. Certamente molto più di quanto Balestrini, oggettivo traspositore della realtà, si sarebbe augurato.
[Articolo di Chiara Licata]