“Gli ultimi giorni dell’umanità” è il film girato da Enrico Ghezzi nel corso di una vita. Un archivio di centinaia di ore su cui è al lavoro la redazione eccedance, che ce lo racconta con questo post e con questa clip. Le foto sono di Luca Anzani.
Come si apre un dialogo?
Probabilmente vi sono alla base delle necessità. Mettiamole in ordine, le diciamo. Ecco (ecce) vogliamo compiere l’impresa smisurata di realizzare un film.
E perché risulta smisurata?.
Si potrebbe chiedere.
Dello stupore infinito – che potrebbe mutare in disperazione – possiamo fare il luogo di una decisione di riconoscenza e di condivisione… riconoscere i poteri della finitudine e con questa chiave entrare in una nuova terra.
Si potrebbe rispondere.
f.to
la redazione eccedance*
Quello che sappiamo è che abbiamo compiuto qualche passo. Quello che appare adesso è che la prossima mossa è un salto, un vorticare, quel moto opposto alla vertigine. Occorre tenere sempre presente l’insidia della procedura. Quando si mette mano al desiderio di un film si spendono spesso numerose ore, che si fanno giorni, a interrogarsi sui soldi, sulle scadenze, sui formati, sulla sua presupposta integerrima natura e delle volte, negli ambienti meno allegri, non si lesinano iperbolici antagonismi bibliotecari per relazionare il proprio desiderio ad altri film, ad altre storie.
Nel giugno del 2019, a Roma, abbiamo verificato un presupposto semplice: è possibile fare un film senza parlarlo durante, senza infarcirlo di lordure manichee, senza creare distanze, anzi: Finalmente nulla da comunicarci. Esserlo senza poterlo né doverlo dire (amore?).1 È già questa una piccola conquista che potrebbe anche far adagiare l’impresa su quel Si può anche non fare2 che ormai regola, a controcanto immediato e divertito, ogni acceso proposito tra noi. Ma, a guardar bene, questo non ha ruolo di sentinella, mette ad esempio in guardia dal(la) fine, capace di sormontare ogni delicatezza, inibire gli slanci, farsi macigno, per pura e semplice smania di arrivo, di bandierina puntata. Così diventa presto un non che segna dell’irrinunciabile. Ma cosa c’è di irrinunciabile in un percorso che ha cammino solo perché cammina?
Quando ci avvicinammo agli archivi abbiamo detto che cercavamo la sorpresa della scoperta nell’immagine altrui per ricerca di stupore che collega stupore ad altro stupore. Per esigenza di imprevisto, di libero associare. Quando abbiamo iniziato a maneggiarli venne subito chiaro che occorreva cura, che bisogna combattere la bestia che piega quell’immagine altrui nel costrutto proprio, che la fa diventare sottofondo estetico al preteso prodigioso amor della propria idea. Iniziammo a vederle come sintagmi, porzioni estese o brevissime. Tentare di farle dire, di scriverle, per come sono, nell’incedere del discorso di una nuova canzone, è da allora tutto lo sforzo.
Questo programma ha però sempre avuto la composizione di una tavola magnetica sulla quale sono presenti un numero elevato ma finito di elementi che si dispongono, attraggono, fuggono, ora in una direzione ora in un’altra a seconda della carica che li attraversa. Così, costruire le condizioni affinché potesse aver luogo un gesto rivolto a una presenza in cui presentazione e rappresentazione depongono il loro necessario lavoro di menzogna, 3 costituisce da tempo non un’auspicabile evenienza ma l’evenienza stessa della costruzione dell’intero campo da gioco.
È lungo questo solco che la pratica dell’eccedere, nell’ambivalente generare esubero e scarto, ha trovato occasione di suggerire una danza, una nuova urgenza di immediato e di rischio, di errore e tenuta, di abilità e coraggio, di fuori e intimità.
*eccedance è il nome con il quale un manipolo di ventura si è autoproclamato redazione per condurre a forma(e) il film Gli ultimi giorni dell’umanità. Un film fatto d’archivio, archivio raro e prezioso, sedimentato in oltre trent’anni di sguardi e registrazioni a opra del signor Ghezzi Enrico.
ecce.dance è quel virtuale di questua ed esposizione dove il possibile si fa di gesti e attenzioni.