Il futuro sarà cyborg?

Novacene e cambiamento climatico.

futuro cyborg

Ormai è chiaro, il disastro che sta arrivando cambierà per sempre il nostro modo di vivere su questo pianeta. Per la prima volta nella storia dell’umanità siamo coscienti del fatto che il punto di vista umano escludente e dominante e le sue conoscenze fortemente androcentriche e antropocentriche non solo non saranno in grado di salvare il pianeta, ma sono la causa diretta dello sfruttamento e della completa colonizzazione e oppressione del mondo non umano, a cui siamo irrevocabilmente legati e da cui dipendiamo. Il soggetto umano, da intendersi come soggetto opprimente e quindi maschile, occidentale, benestante ed eteronormativo, non solo non è in grado di resistere da solo a una devastazione tanto grande, ma si trova a non essere più il fulcro del pianeta. Non è più lui il principio esplicativo del mondo e non è nelle condizioni di rendersi conto di quello che lo aspetta. Questa impossibilità di comprensione può essere riassunta egregiamente col termine iperoggetto: come spiega il filosofo Timothy Morton nel testo Iperoggetti, il cambiamento climatico è un evento di un’entità tale da non poter essere percepito dall’essere umano. L’unica conoscenza possibile deriva dagli effetti singoli che esercita su altri oggetti o soggettività. Siamo in grado di dire cosa succede ai ghiacciai, alle foreste o a una specie in via d’estinzione, ma non cosa sia realmente il “cambiamento climatico”. Al più possiamo fare delle previsioni, certo preoccupanti, ma sempre inesatte.

Questa mancanza cognitiva può essere colmata dalle intelligenze artificiali. Secondo  James Lovelock, autore di Novacene, siamo all’alba di una nuova era, in cui i cyborg prenderanno il posto dell’essere umano come specie dominante sul pianeta. Lo scienziato, già famoso per la teoria di Gaia, secondo la quale la biosfera altro non sarebbe che un enorme organismo intento a preservare l’omeostasi, afferma che una delle caratteristiche principali del nostro universo è l’informazione. Essendo l’essere umano, con buone probabilità, l’unica intelligenza ad aver raggiunto una parziale conoscenza dell’universo e quindi anche una forma di autocoscienza di quest’ultimo, facendone parte, la sua estinzione sarebbe una grave perdita che Gaia non può permettersi.

Per questo motivo gli esseri umani, facenti parte di questo grande organismo simbiotico, avrebbero gettato le basi di una nuova forma di intelligenza: i cyborg. Questi altro non sarebbero che una forma più evoluta delle attuali intelligenze artificiali.

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Secondo l’autore, i cyborg saranno macchine in grado di progettarsi da sole e ripararsi da sole, con una velocità di calcolo e comprensione di dati migliaia di volte più veloci delle nostre. Nei fatti, la ricerca è già a buon punto, dal momento che sono già state create delle intelligenze in grado di imparare dai propri errori e rielaborarli, per esempio per imparare a giocare a scacchi a livelli molto superiori rispetto a quelli umani, invece di usare un database a loro fornito e potenzialmente illimitato, ma pur sempre stabile.

Queste nuove intelligenze al silicio, figlie sane dell’Antropocene, potranno comprendere più velocemente e accuratamente di noi come raffreddare il pianeta e, secondo lo scienziato, dopo aver processato migliaia se non milioni di scenari futuri possibili sceglieranno di collaborare con gli esseri umani, loro creatori ma da cui saranno indipendenti per poter realizzare davvero il loro potenziale. Certamente l’autore afferma che esiste la possibilità che questi esseri cibernetici scelgano di disfarsi della vita biologica per reagire da soli al cambiamento climatico, ma è poco probabile che venga presa come una reale possibilità almeno sul breve periodo.

Questa visione, che secondo Lovelock dovrebbe essere per noi un conforto negli anni che ci aspettano, non può che essere problematica. Solo con un forte background antropocentrico si può dare un giudizio positivo dell’Antropocene (o meglio Capitalocene) e dei suoi prodotti, e solo con una visione occidentale del mondo si può accettare la possibilità dell’estinzione della vita biologica per preservare una qualche supposta “autocoscienza” dell’universo, scegliendo noi per tutte le soggettività non umane e non maschili e occidentali.

Quando cerchiamo delle nuove strategie per capire come adattare i nostri stili di vita al futuro incerto che ci viene incontro, non possiamo più permetterci di escludere i soggetti che sono stati esclusi da qualsiasi contesto scientifico ed epistemologico in quanto non tecnico-scientifici. Parlando in concreto, teorizzare la venuta di cyborg futuristici che salveranno il pianeta mantenendolo abitabile a costo di sacrificare, sul lungo periodo, la vita basata sul carbonio per sostituirla con quella al silicio non tiene conto delle diverse forme di conoscenza e coesistenza di popolazioni e soggettività che non basano il proprio sviluppo sulla devastazione del proprio ambiente. In un breve testo uscito recentemente, il Manifesto antifuturista indigeno, autori e autrici non occidentali affermano di non voler salvare questo mondo così com’è, in quanto si tratta di un mondo bianco, violento e colonizzatore. Se immaginiamo le nuove tecnologie come un metodo per salvare a tutti i costi l’organizzazione sociale ed economica capitalista e patriarcale, a costo di sostituire i soggetti dominanti con altri non umani e più che umani, otterremmo solamente una diversa forma di dominio e cannibalizzazione dell’esistente, forse meno deleteria sul breve periodo, ma certamente non meno problematica e violenta.

Dobbiamo quindi abbandonare l’idea dei cyborg? Ebbene no. Secondo Donna Haraway, già famosa per aver teorizzato la sua definizione di cyborg nell’ormai celebre manifesto, la natura altro non sarebbe che un luogo comune di incontro e progettazione tra soggettività diverse, come spiegato nel testo Le promesse dei mostri. Gli esseri umani altro non sarebbero che uno dei vari attori che si impegnano nella trasformazione degli ambienti ed ecosistemi. I cyborg potrebbero entrare in tutti i sensi all’interno di questo gioco inter e intra specie come attori e costruttori di nuovi possibili racconti, linguaggi e ambienti senza subentrare nella catena di violenza e dominio al soggetto umano, ma al contrario potrebbero contribuire a un suo ridimensionamento, necessario per garantire la sopravvivenza a una parte consistente della biosfera.

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In un certo senso il Novacene è già iniziato, le intelligenze artificiali sono in grado di produrre, elaborare e comprendere una quantità di dati strabiliante, e sono destinate ad aumentare ulteriormente il loro numero di funzioni tecniche e intellettuali. Sicuramente produrranno discorsi sulla natura e progetti che non potremo ignorare. Come dice Loyd Blankenship in Manifesto hacker, è impossibile tornare a un rapporto con il mondo non umano antecedente ai progressi tecnologici; al contrario è necessario lottare contro la visione contemporanea capitalista per arrivare a un nuovo modo di relazionarci con il pianeta in cui viviamo creandolo a partire dal contesto attuale.

Se vogliamo che questo nuovo mondo sia libero dal dominio e dall’antropocentrismo che hanno portato allo stato di devastazione attuale, allora dobbiamo fare in modo che sia costruito attraverso il contributo e i progetti di tutte le soggettività che sono state scartate e oppresse dal soggetto umano, dalle donne ai migranti, dalle soggettività che non rientrano negli schemi del binarismo di genere e dell’eteronormatività ai popoli non occidentali, dalle soggettività animali a quelle vegetali e fungine, arrivando infine anche alle intelligenze cyborg.

La sfida fondamentale consisterà nel rendere questo nuovo tipo di intelligenza e programmazione uno fra i molteplici che collaborano per con-vivere e con-morire negli ambienti in cui viviamo e non l’unico dominatore del pianeta e delle altre soggettività, replicando gli errori del Capitalocene.

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