Il Covid-19 e l’eccezionalismo di specie

Una lettura del libro Il virus e la specie di Massimo Filippi.

La pandemia di Covid-19 ha generato a sua volta una pandemia di commenti, interpretazioni e teorie che sostengono, per lo più a grida, tutto e il contrario di tutto. Tra i più contagiati, accanto ai politici, ai virologi e ai soliti tuttologi televisivi, ci sono i filosofi (da televisione e non), che nelle ultime settimane hanno intensificato, se possibile, la loro litigiosa cattura del reale nelle maglie delle più svariate teorie. È per questo che, come ci dice nel suo ultimo libro, Il virus e la specie. Diffrazioni della vita informe, appena edito da Mimesis, Massimo Filippi ha esitato prima di prendere la parola, e se ha infine deciso di prenderla non è stato per aggiungere la sua voce al dissonante e rissoso coro degli “esperti”, ma per provare a mostrare come la crisi da Covid-19 si inserisca in, e, a un tempo, illumini una più fondamentale crisi: quella dell’eccezionalismo di specie che fonda l’intero pensiero occidentale.

Il virus e la specie nasce quindi dall’emergenza degli ultimi mesi ma si inserisce in una ben più ampia riflessione sul concetto/problema di “specie” (in quanto specie umana) che ha occupato Filippi per almeno un decennio, e i cui frutti più recenti sono i volumi L’invenzione della specie. Sovvertire la norma, divenire mostri (ombre corte 2016) e Questioni di specie (Elèuthera 2017). L’attuale crisi sanitaria produce per Filippi (tra le altre drammatiche conseguenze, ovviamente) il ritorno di un “rimosso” che l’architettura del pensiero occidentale deve escludere da sé per poter funzionare come pensiero dell’eccezionalità umana. È questo “ritorno del rimosso” che costituisce il filo conduttore del volume, dove il rimosso ritorna sotto forma di tre fantasmi: quello dell’esclusione/sacrificio dell’animalità che definisce l’“invenzione” della specie umana; quello della negazione della vulnerabilità umana che quest’invenzione comporta e sistematizza; e quello della violenza materiale e simbolica su cui essa si fonda. La crisi epocale provocata dal virus SARS-CoV-2 porta alla luce (anche) la “valenza pandemica della categoria di specie”, e cioè il significato al contempo globale e letale della categoria fondante della nostra cultura.

Quello che Filippi propone non è però una tradizionale teoria composta da “riflessioni”, che sono il frutto della divisione tra il soggetto (umano) – neutro, impersonale, imperturbabile – che, da un immaginario punto archimedeo, vede e osserva (questo è il significato etimologico di “teoria”), e un oggetto (non umano e/o disumanizzato) visto e osservato (e in questo modo reificato). Come recita il sottotitolo, si tratta piuttosto di una serie di “diffrazioni”, e cioè di deviazioni dalla traiettoria rettilinea del pensiero tradizionale che, letteralmente, si propagano in modo ondulatorio, ripartendosi e aggirando gli ostacoli e riuscendo così a pervenire anche nei punti “in ombra” del nostro pensiero. Stilisticamente, quindi, Il virus e la specie procede in modo appunto ondulatorio e quasi rizomatico, nutrendosi di diverse e molteplici suggestioni filosofiche, letterarie, cinematografiche e combinandole sapientemente e poeticamente in diverse costruzioni di scrittura (capitoli, appunti, “soglie”, supplementi, “code” …). La fondamentale unità del volume (e del pensiero di Filippi) è la sua essenziale intenzione politica, la convinzione che la questione animale e la questione della specie non siano meri problemi etici da analizzare in aule universitarie secondo modelli astratti, ma che si collochino, originariamente, alla base del nostro stesso “vivere insieme” e, oggi, al centro anche dell’attuale crisi sanitaria.

Il che significa anche che politica è l’unica possibile via d’uscita dalla pandemia del virus e da quella della specie. Il mantra del “ritorno alla normalità” che ispira quasi ogni reazione politica e culturale alla pandemia cerca, con una nuova, ennesima rimozione, di nascondere sotto il tappeto ideologico della normalizzazione la causa stessa del problema, che quindi, come ogni rimosso, ritornerà in forme più potenti e più letali, in nuove crisi sanitarie, ecologiche, alimentari, migratorie, ecc. Un’autentica risposta politica dovrebbe invece riuscire ad andare alla radice della pandemia, che non è meramente sanitaria ma è culturale e filosofica. Filippi suddivide questa radice, che in sé è sostanzialmente unitaria, in tre aspetti fondamentali, che vanno sotto il nome di “capitalismo”, “antropizzazione” e “globalizzazione”: è lo stesso sistema economico, e non solo nella fattispecie della “filiera alimentare”, a creare, con l’estrazione indiscriminata di valore da corpi animali(zzati), le condizioni patogeniche che portano e porteranno inesorabilmente al sorgere di nuove patologie; è l’antropizzazione senza limiti del pianeta che riduce o elimina gli spazi che separano umani e non umani e porta al contagio interspecifico di sempre nuove patologie; è la globalizzazione che ne permette la diffusione sempre più veloce è sempre più globale. È a queste cause che un’autentica risposta politica si deve indirizzare.

Se la radice filosofica e culturale è allora l’eccezionalismo di specie, l’attuale pandemia, sostiene Filippi, ha allo stesso tempo rafforzato e depotenziato la categoria di specie in quella che lui chiama un’“oscillazione antinomica”: l’ha rafforzata perché la diffusione globale del virus le fornisce un substrato materiale universale (homo sapiens in quanto tale è esposto al contagio: “siamo tutti sulla stessa barca”), ma l’ha anche depotenziata perché le zoonosi e i “salti di specie” rivelano in definitiva il sostanziale disinteresse del sistema egemonico attuale per la categoria di specie (purché produttivo, qualsiasi corpo può essere messo a profitto, non importa se umano o non umano). La sola risposta filosofica e politica a questa antinomia non può essere che un passo che ci porti “oltre la specie”, e Filippi lo riassume (da tempo e non solo in questo libro) nella categoria di “mostro”, su cui si centra in particolare il terzo e ultimo capitolo. Se la specie stabilisce, disciplina, vigila e pattuglia limiti e confini, il mostro è ciò che li trasgredisce, infrange, fluidifica, e ci chiama oggi a rispondere in modo concreto ed efficace alla pandemia del virus e della specie. È solo diventando noi stessi mostri, e cioè superando la specie e le sue mortifere pandemie, che potremo inventare una nuova politica del vivente.

La grandezza “ondulatoria” che in questo volume si diffrange è quella che Filippi chiama “vita informe”, una grandezza che sta a monte delle divisioni e specificazioni culturali e dalle cui alterazioni derivano anche il virus e la specie. È da essa, e più specificamente dalla “resistenza dell’informe”, che per Filippi può e deve partire la resistenza a quel sistema filosofico, culturale, sociale, economico che ci ha condotto all’attuale pandemia e ci minaccia con altre nuove e più letali.

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