Il computer non è la maestra

La mobilitazione e l’appello lanciato da un gruppo di genitori dell’Istituto Ricasoli di Torino

Ripartiamo dalle persone piccole, è questo l’appello lanciato da un gruppo di genitori dell’Istituto Comprensivo Ricasoli di Torino, preoccupati per la prolungata chiusura delle scuole, l’assoluta mancanza di certezze per il futuro e le ricadute che questa quarantena sta avendo su bambine e bambini.

“La lettera nasce da un confronto dal basso, tra alcune mamme di una seconda elementare che, nonostante il lockdown, non hanno mai smesso di scambiarsi emozioni, idee e domande su quanto stava accadendo” – racconta Giovanna Ribet, una delle autrici dell’appello inviato a Regione e Comune, dopo aver raccolto il consenso e l’adesione di più di 400 famiglie dell’istituto. 

Un testo scritto a più mani, che cerca di tenere insieme denuncia e proposta, nella consapevolezza che un tempo difficile richiede pensiero creativo e partecipato, radicato nell’esperienza vissuta.

Il gruppo di genitori parte da bisogni concreti, dalla condivisione di mesi complessi, nella gestione di un quotidiano in cui spazi di lavoro e spazi di vita sembrano non aver avuto più confini decifrabili, con figli e figlie a casa da curare e seguire nei loro percorsi didattici. 

La lettera è presto uscita dai confini dell’Istituto, tanto che centinaia di firme stanno arrivando da tutto il territorio piemontese, contribuendo ad aprire un dibattito sui giornali cittadini, e non solo, che hanno ripreso la notizia.

“Il ritmo veloce delle adesioni racconta di un sentire condiviso e diffuso, non solo da molti genitori, ma anche da insegnanti, educatori ed educatrici – continua Giovanna – un disagio che nasce dall’amara constatazione che le persone piccole sono fin da subito scomparse dai discorsi pubblici e dai provvedimenti del Governo”. 

La scuola è infatti ferma da più di due mesi e si è spostata nelle case, senza una riflessione sul metodo e sul merito di questa trasformazione. Al corpo docente, a studenti e genitori è stato chiesto di modificare il rapporto educativo in smart working, come se la mancanza di relazione tra pari e il rapporto diretto e vivo con le figure educative fossero elementi trascurabili e facilmente sostituibili da uno schermo e da una piattaforma. 

“La scuola non può essere pensata solo perché luogo in cui piazzare figli e figlie in modo che i genitori possano tornare a lavorare. La scuola è un diritto e non è solo didattica, tanto meno se effettuata a distanza. È esperienza e maturazione collettiva, spazio in cui coltivare autonomia, curiosità, relazioni e legami sociali, luogo di confronto e scontro tra pari, tempo per sè, lontano da genitori e mura domestiche”, scrivono le mamme nella lettera.

“Non è un caso che la mobilitazione parta da un gruppo di donne – aggiunge Manuela Naldini, altra protagonista della vicenda – Per esperienza vissuta sulla nostra pelle già in tempi ‘ordinari’, sappiamo che tenere insieme lavoro e famiglia è un’operazione non facile e ora in smart working, con figlie e figli a casa, il nostro carico di lavoro si sta facendo sempre più insostenibile”. 

In questi mesi di emergenza e di isolamento, a molti genitori è parso inverosimile e paradossale che a fronte della riapertura, anche progressiva, delle aziende e delle attività non ci si sia preoccupati minimamente di chi si sarebbe occupato delle persone piccole. 

Le autrici della lettera raccontano di come lavorino da casa,  improvvisando strumentazioni e facendo affidamento su connessioni domestiche non sempre adeguate. “Si ignora ancora una volta che questa situazione avrà un impatto soprattutto sulle donne, perché costrette a rimanere a casa o a chiedere una riduzione di lavoro – aggiunge Manuela – Ma c’è di più ed è inaccettabile come genitori: il governo e le istituzioni dimenticandosi dei più piccoli e dei loro diritti alla socialità, all’educazione, ad un’alimentazione sana e condizioni di vita accettabili, ci stanno rubando il futuro, perché i bambini e le bambine sono gli abitanti del nostro futuro.”

L’emergenza ha amplificato e messo a nudo le disuguaglianze tra famiglie ricche e povere, italiane e non, tra chi ha risorse economiche e culturali e chi si è ritrovato senza lavoro o con un reddito decurtato. Il leit motiv del “restiamo a casa” non ha evidentemente tenuto conto del fatto che non tutte le case fossero spazi adeguati e sicuri, tanto più in un momento di grande tensione sociale come quello che stiamo vivendo. 

Disagio che si riversa inevitabilmente anche su figli e figlie, esposte in questo modo non solo alla perdita di punti di riferimento importanti, ma in alcuni casi anche a vera e propria violenza domestica. 

Apatia, inappetenza, tristezza e nervosismo, piccole e grandi regressioni, deficit di attenzione e autonomia, sono solo alcune delle reazioni che madri e padri stanno registrando nelle loro case, anche e soprattutto a causa della chiusura delle scuole e della mancanza di relazioni tra pari, lontano dai genitori e dalle mura domestiche. 

“La Scuola è un presidio fondamentale nei nostri quartieri, un bene comune capace di generare legami sociali a supporto delle famiglie, soprattutto per le più fragili – racconta Marcella Iannuzzi, altra mamma del gruppo – In questo momento bambine e bambini così come le e gli adolescenti, hanno perso l’ancoraggio alla comunità di riferimento che attraverso la costruzione di legami e competenze sociali (ancor prima che didattiche) permetteva loro di pensarsi all’interno di un processo di crescita.” 

Il pericolo dell’abbandono e della dispersione scolastica, per lo meno tra le fasce più fragili, è elevatissimo. La didattica a distanza ha ampliato differenze e disuguaglianze, eliminato bisogni e necessità specifiche, rendendo un’impresa quasi impossibile il sostegno nei confronti delle persone disabili, di chi soffre di disturbi dell’apprendimento o degli studenti di recente immigrazione. 

Gli insegnanti sono stati costretti ad improvvisarsi educatori a distanza senza alcuna preparazione e formazione e spesso sono stati accusati di non essere in grado di adattarsi e piegarsi alle nuove direttive. Le famiglie responsabilizzate e colpevolizzate, laddove non avessero spazi adeguati, connessioni efficaci, strumenti culturali idonei a seguire figlie e figli nei compiti. 

“A livello istituzionale si discute su come e quando riaprire le scuole, su come regolare il distanziamento sociale tre le persone piccole, su come risolvere i problemi in termini emergenziali, senza di fatto immaginare un cambiamento radicale e strutturale dell’istituzione scolastica” – ci spiega Silvia Venturini, quarta mamma del gruppo. “La riapertura non deve essere ripensata come una sfida puramente tecnica, come invece sembra essere trattata in questi mesi tra dad e misure di distanziamento, ma anche come una ricucitura emotiva, educativa, sociale”, sottolinea Marcella Iannuzzi.

Il gruppo di genitori, non rintracciando questi intenti nelle soluzioni che si stanno discutendo, chiedono di aprire un tavolo di confronto anche con i genitori in un’ottica di co-progettazione dei centri estivi e della scuola che verrà. “Il ripensamento dell’educazione dei nostri figli  non può avvenire senza un vero investimento pubblico e sociale serio – aggiunge Manuela Naldini – Pensiamo che l’educazione dei nostri bambini e bambine non debba essere considerata una questione privata, una questione cioè che riguarda solo i singoli genitori, le famiglie, o le insegnanti, che in questo periodo si sono trovate a fronteggiare in totale ‘isolamento’ i bisogni dei bambini, ma ci sia bisogno di un ripensamento pubblico e collettivo della cura.”

Lo spirito che anima questa lettera sembra essere quello di pensare a questa situazione non solo come ad un problema da risolvere, ma come un’opportunità per immaginare una scuola di spazi e tempi nuovi, aldilà e oltre l’urgenza, aprendo un orizzonte più ampio di investimento economico e di pensiero nei confronti della formazione e della didattica. 

“Rafforzare numericamente il personale che lavora a scuola, dal corpo insegnante al personale Ata, potrebbe dare concretezza a progetti maggiormente inclusivi? – si chiede Giovanna Ribet – Stanziare nuovi fondi per l’edilizia scolastica potrebbe evitare di avere classi-pollaio già difficili da gestire in tempi normali? Vogliamo una scuola che non lasci indietro nessuno. “

Per questo nella lettera i genitori chiedono alle istituzioni del territorio che si pensino da subito, prima dell’estate, soluzioni per tutti i bambini e le bambine, in primo luogo per le famiglie che vivono situazioni di vulnerabilità e di svantaggio o i cui genitori sono rientrati al lavoro. “Perchè ai diversi tavoli di discussione sulla ripartenza della scuola, nelle varie task force si sono invitati esperti, architetti, ingegneri, ma non i genitori? – si chiede Manuela Naldini, a cui fanno eco i dubbi di Silvia Venturini “Nei centri estivi e nella riapertura delle scuole, saranno coinvolte figure educative e professionali competenti, capaci di creare un rapporto sinergico tra pubblico e terzo settore o dobbiamo aspettarci una delega totale al privato sociale? E ancora, saranno presenti in tali sedi soggetti capaci di accogliere e rielaborare i già profondi scompensi del lockdown o anche in questo caso si tratterà di parcheggi per bambine e bambini?”

Avere cura di bambine e bambini e metterli al centro dell’agenda politica dovrebbe diventare una preoccupazione pubblica e collettiva. Le persone piccole sono gli abitanti del nostro domani. Da dove ripartire se non da loro?

La raccolta di firme e adesioni continua attraverso la mail

ripartiamodallepersonepiccole@gmail.com

Sulla pagina facebook Ripartiamo dalle persone piccole è possibile leggere la lettera nella sua versione integrale.

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