I nuovi luoghi della satira. Intervista a Stefano Andreoli, Spinoza.it

di Massimiliano Coviello e Maria Teresa Grillo

 

Spinoza.it ha bisogno di poche presentazioni. Curato da Stefano Andreoli e Alessandro Bonino, è il blog satirico più visitato, premiato (miglior blog dal 2009 e Premio Satira Forte dei Marmi 2010. Pare che Andreoli sia anche più bello di due punti rispetto alla media degli autori di satira. Vedremo) e più impudente del web. I curatori e la redazione oltre a scriverne di proprio pugno raccolgono, leggono, selezionano e infine pubblicano le migliori battute tra le centinaia che arrivano ogni giorno sul forum. E che da poche settimane sono state pubblicate nel libro Spinoza. Una risata vi disseppellirà (Aliberti editore, 12 euro), che segue a un anno di distanza Spinoza. Un libro serissimo, e si presenta già come “Il sequel più riuscito dai tempi di Giovanni Paolo”.

Oltre che sul web e in libreria potete incontrare Spinoza in giro per l’Italia a presentare il loro libro. Il 24 giugno lo faranno anche a Siena, in un incontro curato da “il lavoro culturale”, all’interno del Festival Voci di Fonte. In attesa di goderci il prurito che ci susciteranno e di vedere se sono veramente bravi come dicono, abbiamo fatto qualche domanda a Stefano Andreoli.

Massimiliano: Spinoza. Un blog serissimo. Aggiungerei: tra le satire più pungenti del web. Con la vostra community siete riusciti a documentare in tempo reale gli ultimi, roventi, anni di politica italiana e internazionale. Quello che vi contraddistingue è la forma breve, la scrittura acuta e acuminata che in poche battute riesce a colpire il bersaglio e, soprattutto, a migrare con estrema disinvoltura dal vostro blog ai social network, alla forma cartacea, sino al passaparola.
Quali sono i rapporti, le connessioni, tra i diversi formati (il blog, Twitter, il libro, eccetera…) e una forma di scrittura che solo apparentemente può essere giudicata come sbrigativa, superficiale e dalla vita breve?

Stefano: Differenti canali di pubblicazione implicano diverso pubblico e diverso tipo di fruizione: lo stile e la tecnica vanno sempre adeguati al contesto. Le battute del blog saranno lette a ridosso della notizia da cui traggono spunto, perciò potranno avere riferimenti precisi a dettagli e personaggi di minima importanza, dando per scontato che il lettore ne sia a conoscenza. Quelle pubblicate sui libri, al contrario, sono “fatte per durare” e dovranno essere comprensibili anche a distanza di mesi, per cui prediligiamo le freddure che spiegano la notizia a cui fanno riferimento, evitando allusioni a fatti ormai lontani. Per questo motivo, lavorando sui libri, la selezione di battute è ripartita praticamente da zero: la maggior parte delle battute delle due raccolte di Spinoza non è mai stata pubblicata sul blog, anche per rendere il libro appetibile ai lettori del sito.
Le battute pubblicate su Twitter rimbalzeranno più facilmente su Facebook, arrivando a un pubblico magari distratto o inconsapevole: meglio quindi evitare le “finezze” o trovate non immediatamente comprensibili, e cercare – per così dire – un umorismo più pop, anche se in certe occasioni siamo stati sorpresi dal gradimento ricevuto da battute non facilissime. La sintesi è quella di adeguare stile e contenuti al contesto, senza ovviamente snaturarci nella sostanza.

Maria Teresa: Spinoza ha in un certo senso scardinato il concetto di autorialità: tu e Alessandro Bonino ne siete i curatori, ma di fatto chiunque può scrivere una battuta sul vostro blog. A patto che meriti di essere pubblicata, chiaramente. Voi siete stati i primi a farlo, creando in un certo senso il “Napster” della satira: un’operazione rivoluzionaria, una satira aperta a tutti sia nella creazione che nella fruizione, che nello stesso tempo non ha inficiato le vendite dei vostri libri. È questa la chiave del vostro successo? E come si inserisce questo fenomeno in quello più generale che la creazione artistica e intellettuale sta attraversando in questi anni, influenzata dalla rete?

Stefano: La chiave del successo di Spinoza è un mix, forse irripetibile, di una serie di congiunture favorevoli, prima fra tutte una sostanziale assenza di satira sui media tradizionali. Tre anni fa, come oggi, in tv non c’era traccia di quei fortunati programmi satirici che negli anni Novanta trovavano stabile collocazione nei palinsesti, lanciando molti grandi comici (allora era frequente imbattersi, per esempio, in Paolo Rossi, Luttazzi, i Guzzanti): una grossa contraddizione, se pensiamo che forse questo è il periodo storico e politico più ricco di spunti per la satira. Questo ha creato una certa domanda di satira – cosa prevedibile – ma anche e soprattutto un’offerta: molti, leggendo Spinoza, si sono scoperti battutisti o aspiranti tali, e il sito ha avuto il merito di aggregarli e dare loro, nel contempo, un buon palcoscenico. Non è stata una svolta prevista, semplicemente abbiamo constatato che le battute inviate dai lettori erano tante e, in buona parte, valide, per cui sarebbe stato sciocco ignorare un simile flusso. La scelta di aprirsi al collettivo è stata felice e inevitabile.

Massimiliano: Una tendenza del linguaggio politico italiano – in particolare dell’attuale presidente del Consiglio – è quella di utilizzare la comicità, la battuta anche volgare per strappare l’applauso dei propri sostenitori. Nelle dichiarazioni alla stampa, durante le occasioni istituzionali o nelle feste ad Arcore, il corpo del capo digerisce le accuse dell’avversario, gonfia il petto e sputa fuori le sue barzellette, mentre al pubblico non resta che applaudire.
Cosa distingue la satira, la battuta di Spinoza, dalla battuta del politico? Quali sono le strategie da adottare per restituire alla satira la sua efficacia sociale e politica, la sua capacità di sovvertire l’ordine del discorso “ufficiale”, coglierne i tic, gli stereotipi, le impasse?

Stefano: (Tralasciando il fatto che il Berlusconi barzellettiere ricorda un moderno Nerone che suona la lira…) Le barzellette, anche quelle a tema politico, sfruttano per lo più luoghi comuni, sono caricaturali e inoffensive. Nel momento in cui, per esempio, prendi in giro Berlusconi per l’altezza, o per i tacchi, il trucco e il riporto, fai un po’ il suo gioco. Cerchiamo di evitare come la peste la banalità, l’idea scontata. Veicolare un messaggio, facendo a nostro modo informazione: queste sono le caratteristiche della miglior satira, e quando ti accorgi di aver centrato l’obiettivo – non capita spesso – la soddisfazione è grande. Ovvio che su Spinoza ci sono anche battute leggere, senza grosse pretese: cerchiamo sempre, a ogni uscita, di dare un equilibrio in maniera da bilanciare la componente umoristica e quella prettamente satirica.

Maria Teresa: Il 24 giugno chiuderete il Festival Voci di Fonte con le vostre battute. Il Festival quest’anno è dedicato al tema del lavoro: il lavoro di chi, quotidianamente e a vario titolo, impegna la propria professionalità nel campo della comunicazione e della cultura, di chi prova a ritagliare con gli strumenti più adatti una porzione del mondo contemporaneo da problematizzare, di chi ogni volta modifica la sua distanza osservativa nei confronti del presente.
Qual è il posto della satira nel lavoro culturale? Come tradurre le “responsabilità dell’intellettuale” all’interno di un linguaggio che sbeffeggia anche quell’atteggiamento e, nello stesso tempo, fornire delle chiavi di lettura per il nostro presente?

Stefano: Noi di Spinoza esistiamo soprattutto per far ridere, divertendoci a nostra volta. Quando ci riusciamo, è già tantissimo. Svegliare le coscienze, rivoluzionare l’informazione, essere riconosciuti come forma culturale non sono i nostri obiettivi: guai se lo fossero, il pensiero di compiti così gravosi e importanti non ci farebbe dormire la notte. Questo non vuol dire che non succeda, ovviamente, ma se cominci a sentirti investito da un dovere sociale finisci per trascurare la parte divertente, e allora tutto riesce peggio. Fare di Spinoza un lavoro – cosa che stiamo evitando il più possibile – ne inquinerebbe un po’ la genuinità, oltre a mettere a rischio la sopravvivenza di una community fatta essenzialmente da volontari.
La parola “intellettuale” è già polverosa, parlare di responsabilità dell’intellettuale è un modo per scaricare sugli altri la colpa di un’inedia del pensiero, quell’apatia diffusa che affligge la maggior parte delle persone, impegnate in altre e più urgenti lotte. Purtroppo in certi luoghi molto in alto si grida con forza che la cultura non paga né dà da mangiare, per cui l’espressione “lavoro culturale” risuona ancora come un ossimoro in molte orecchie. Qua in Italia dobbiamo lavorare proprio su questo, scardinare questa convinzione. La satira, vista come strumento di contaminazione delle arti (penso alla satira musicale, satira grafica e pittorica, satira teatrale e cinematografica), può tornare a veicolare efficacemente questo messaggio, a patto di trovare spazi e palcoscenici validi. Ci vorranno migliaia di anni, ma io sono fiducioso.

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