Lettera aperta a François Hollande – #Parigi

Pubblichiamo una lettera di Eric Fassin a François Hollande scritta in occasione delle manifestazioni sul clima tenutesi a Parigi a fine novembre nonostante i divieti legati allo stato di emergenza dichiarato dal Presidente della Repubblica.[*]

Il contributo che segue rientra in una sequenza aperta di riflessioni dedicate alle questioni che emergono attraverso la lettura di ciò che è accaduto nella notte del 13 novembre, avviata sul nostro sito a partire da sabato 28 novembre. 

Signor Presidente,

Le scrivo in uno stato d’urgenza. Tra un’ora, proverò a recarmi in Place de la République, a Parigi. So che la manifestazione sul clima è vietata, ma conto di protestare contro il divieto di manifestare.

Certamente, gli attentati obbligano a misure di precauzione. Tuttavia, il 13 novembre, furono lo Stade de France ed il Bataclan ad essere obiettivo dei terroristi, così come alcuni locali. Ma le partite di calcio non sono vietate, nemmeno i concerti; siamo anche invitati a celebrare i nostri valori davanti ad un drink, ai tavolini dei caffè. Chi può credere che sia per ragioni di sicurezza che si autorizzano i mercatini di Natale, mentre si vietano le manifestazioni politiche?

Non c’è dubbio che siamo tenuti a rispettare la legge. Ma mi preme ricordarle che la democrazia non si riduce al voto parlamentare. Si può parlare ancora di lotta al terrorismo, di fronte agli arresti domiciliari di semplici oppositori politici? Lo stato di diritto viene così rispettato? Lo stesso Primo Ministro l’ha riconosciuto di fronte ai senatori: «ci sono delle misure che sono state votate dall’Assemblea Nazionale che hanno una fragilità costituzionale»; senza prendere in considerazione la posizione del Consiglio costituzionale, che avrebbe potuto «annullare 786 perquisizioni e 150 condanne agli arresti domiciliari già eseguite».

Inoltre, la Francia ha avvertito il Consiglio Europeo: in nome della sicurezza, essa autorizza se stessa a «derogare alla Convenzione europea dei diritti umani»… Per quanto mi riguarda, in nome della libertà, io mi appresto a derogare ad una legge eccezionale. Perché non sono le manifestazioni che minacciano oggi la Repubblica; è il loro divieto. È lo stato d’urgenza, dal momento che esso può essere prolungato senza fine. È la quasi-unanimità dei deputati che votano ciecamente una legge liberticida. È un governo la cui Ministra della Giustizia si fa da parte davanti al Ministro dell’Interno. Ed è lo stesso Presidente della Repubblica, se smette di essere il garante della Costituzione.

Ci ha spiegato che approfitterà solo moderatamente dei poteri che le conferisce lo stato d’urgenza; io non ne sono che moderatamente rassicurato. Al posto di essere «normale», la sua presidenza rischia soprattutto di servire a normalizzare l’anormale. Ma la banalizzazione dell’eccezione è ancora più inquietante dal momento che la destra, o l’estrema destra, vi succederanno al potere, domani o dopodomani.

Avete già preso il loro linguaggio. Il Primo Ministro approfitta della paura degli attentati per dichiarare ai Tedeschi: «l’Europa deve dire che non può più accogliere così tanti migranti, non è possibile». Quanto a lei, Signor Presidente, agitando la minaccia di revoca della nazionalità, che evidentemente non aiuterà per nulla a lottare contro gli attentati-suicidi, assimila così immigrazione e terrorismo, sul modello del suo predecessore. Ciò significa legittimare i discorsi razzisti e xenofobi.

A loro volta, i suoi successori riprenderanno i suoi strumenti. Una volta al potere, la destra e l’estrema destra non faranno altro che utilizzare il quadro giuridico e politico che lei gli lascerà in eredità. Estendere la definizione di legittima difesa alle forze dell’ordine non è un modo per dare maggior forza ai disordini del futuro? E dopo, quando lo stato d’urgenza sarà perpetuato, quando lo stato d’eccezione diventerà la regola, come ci mobiliteremo se non lo facciamo fin da ora? La storia giudicherà il suo ruolo nell’avvento di un regime autoritario, che la destra con l’estrema destra instaurerà un domani.

Coloro tra noi che mettono in guardia dal pericolo dello stato d’eccezione sono accusati di fare il gioco del Front National, o perfino di Daesh. Per aver firmato l’appello a sfidare lo stato d’urgenza, immagino che sarò schedato – sempre che non lo fossi già. Tanto peggio. Personalmente, mi assumo la responsabilità di rifiutare gli arresti domiciliari – siano essi motivati dal terrorismo o dalla lotta contro il terrorismo. L’urgenza non è lo «stato d’assedio», lapsus rivelatore del Ministero degli Interni. L’urgenza è oggi quella di manifestare per difendere le nostre libertà. Signor Presidente, noi non abbiamo le stesse urgenze

 

[*] La traduzione del testo originale, pubblicato sul sito Mediapart, è a cura di Enrico Bertelli

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