Bosch a Den Bosch

Riflessioni su un’estetica del simultaneo.

 Parlano dell’inferno, parlano della dan­nazione eterna, parlano di sant’Agostino, delle eresie, della riforma di Lutero. E i refoulements sessuali… i complessi aberran­ti… la componente sodomitica… l’esoterismo negro­mantico… Quanta fatica inutile! Ma se è così semplice; così limpido! Se non è mai esistito un pittore più realista e chiaro di lui!… Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia nera… La realtà nuda e cruda che gli stava davanti… Tutto qui il suo segreto: era uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva…
(Dino Buzzati, Il Maestro del Giudizio Universale)

Il Noordbrabants Museum di Den Bosch ospita la mostra Hieronymus Bosch – Visioni del Genio, in occasione del cinquecentenario della morte del maestro olandese. L’esposizione guida lo spettatore attraverso l’evoluzione del pittore verso una forma di realismo visionario fondata su un’ingegnosa estetica del simultaneo, ancora capace di parlare criticamente alla sensibilità contemporanea.

Il Noordbrabants Museum di Den Bosch ospita fino al 9 Maggio un evento di raro spessore. La mostra Hieronymus Bosch – Visioni del Genio, curata da Matthijs Ilsink in occasione del cinquecentenario della morte del maestro olandese, è la più grande retrospettiva su Bosch mai organizzata, ed a poche settimane dall’apertura colpisce già per la capacità unica di coinvolgere il grande pubblico in un percorso di altissima qualità all’interno della produzione visionaria dell’artista.

Tanto si è scritto, nell’ambito della critica boschiana, sul tema degli straordinari parallelismi con la pittura novecentesca. Il surrealismo, tra le altre, è la corrente artistica evocata più di frequente. Il libero squadernarsi su tavola del vivido immaginario del pittore, popolato di creature fantastiche e di oggetti impossibili, sembra in effetti realizzare appieno i canoni del bretoniano Manifesto del Surrealismo. Eppure, la straordinaria ricchezza figurativa della pittura di Bosch tiene insieme tali rigogliose rappresentazioni del fantastico, ben radicate nelle suggestioni dei bestiari medievali, con una forte carica di verosimiglianza. In questo senso, nonostante il tono talvolta onirico della pittura boschiana, si è quasi tentati di spingersi sino ad affermare, con il van Teller del racconto di Buzzati, che Bosch sia un pittore realista, capace di dipingere come nessun altro «la realtà nuda e cruda che gli stava davanti» (Dino Buzzati, Il Maestro del Giudizio Universale, Rizzoli, Milano 1966).

In effetti, una serie di dicotomie paradossali (verosimiglianza-immaginazione, terreno-ultraterreno) definisce lo statuto aperto e problematico della pittura di Bosch, che, come l’affluenza alla mostra testimonia, è ancora capace di affascinare l’osservatore contemporaneo. Come si realizza, dunque, questo miracolo cronologico? Come è possibile che una pittura fondata sull’immaginario di un’epoca ben definita, sia pure al suo crepuscolo, e ben radicata nell’iconografia religiosa del tempo, parli ancora alla nostra sensibilità? Si potrebbe affermare, d’emblée, che l’immaginario evocato dalla pittura di Bosch si imponga al nostro sguardo e lo turbi evocando archetipi chimerici universali, risvegliando timori ancestrali. Ma a ben vedere, c’è poco di innovativo in questo aspetto: le creature perturbanti tipiche dei quadri di Bosch hanno già precedenti nella pittura nordeuropea (si pensi all’Apocalisse di Dürer, o al Giudizio finale di van Eyck), oltre che comparire, come prassi, nei balli simbolico-edificanti organizzati dalle confraternite medievali ed impregnati di motivi demoniaci (Cfr. A. Carotenuto, Il fascino discreto dell’orrore: psicologia dell’arte e della letteratura fantastica, Bompiani, Milano 2012). Nulla di (troppo) nuovo, dunque, sul versante dei contenuti. La domanda, si ripropone: dove risiede lo scarto tra la pittura di Bosch e l’iconografia medievale classica, quello scarto che lo consegna alla contemporaneità come un autore aperto, problematico, ed ancora “fruibile”?

Più che nei soggetti, almeno in parte trasversali all’immaginario canonico della pittura medievale nordica, lo scarto sembra emergere da una rifunzionalizzazione di tale immaginario. È infatti l’evoluzione del linguaggio figurativo a trasformare il pittore in quel Bosch capace di confondere ed affascinare il pubblico contemporaneo. Da opere costruite secondo una struttura sequenziale, in cui la narrazione di eventi simbolici serve un esplicito intento didascalico, Bosch transita progressivamente verso nuove strategie di composizione. Il canone narrativo lineare lascia progressivamente posto a composizioni aperte e circolari, che sollecitano e mettono in questione i nostri paradigmi di senso.

Nel Bosch didascalico, sono talvolta elementi specifici della raffigurazione a garantire la leggibilità sequenziale dell’opera, come nel Trittico del carro di fieno, ove è la folla stessa a premere la narrazione verso l’Inferno rappresentato nel pannello destro. Altrove, è la ricorrente metafora del sentiero, particolarmente saliente nelle molteplici raffigurazioni del viandante. In altri casi, ancora, sono i richiami simmetrici tra forme, o enigmatici giochi di luce e sguardi a costruire la trama (o le trame) di lettura del quadro, come nella Morte dell’Avaro.

Tuttavia, se il côté pienamente medievale di Bosch, ancora presente nelle splendide Visioni dall’Aldilà, fa di una chiara direzionalità a scopo didattico la chiave di lettura della sua opera, le strategie raffigurative si evolvono progressivamente secondo una dissipazione entropica dell’ordine compositivo. La definitiva transizione di stile, che emerge in modo lampante, ad esempio, nel celeberrimo Giardino delle Delizie, si orienta sempre più verso una raffigurazione simultanea, ove nessuna direzione globale di lettura può essere rintracciata.

Qui eventi e personaggi sono presentati nel medesimo “istante narrativo”, costruito per geometrie circolari costellate da micronarrazioni. Ci si trova in presenza di una spettacolare raffigurazione senza racconto, un inno alla forza magnetica dell’immanente, che incastra l’osservatore in un inquietante tripudio di realtà e visione. Da una figurazione simbolico-didattica, che terrorizza ed ammonisce, Bosch giunge infine ad opere aperte al nostro sguardo, in cui la realtà del male è dipinta sulla tela. Dal regno dei valori, la pittura di Bosch transita progressivamente al dominio del reale: le sue figure, spogliatesi della funzione morale che rivestono, diventano personaggi di una raffigurazione verosimile, che ad un tempo ci incanta e sfida a trovare strategie di senso (im)possibili.

Come emerge progressivamente nel percorso espositivo, inoltre, la vertiginosa commistione tra forme si manifesta non solo negli aspetti strutturali delle opere, ma anche nell’ibridazione delle creature raffigurate da Bosch. Se nei primi quadri l’opposizione quasi manichea tra bene e male è resa grazie al contrasto tra la purezza di forme definite e distinte e la contaminazione evocata dalla pura materia, l’ibridazione formale si spoglia progressivamente del didascalismo medievale, ed assume sempre più il carattere di una coesistenza di opposti coessenziale alla creazione. Il trittico della virgo fortis, con la compresenza di attributi androgini nella figura della vergine in imitatio Christi, ne è un esempio paradigmatico.

Van Teller ha dunque ragione: è la concretezza, la verosimiglianza, la capacità di dipingere ciò che già c’è, di rendere la commistione inestricabile tra bene e male, l’ambiguità coessenziale al reale, a rendere Bosch un modernissimo pittore della complessità. L’immagine, in Bosch, è un pungolo critico. Essa restituisce il reale nelle spoglie dell’insolito, attraendo e confondendo il lettore. In questo, Bosch diventa, progressivamente, artista di un’anti-ideologia: si rivolge direttamente all’osservatore mettendolo davanti a un puro dato e sfidandolo a mobilitare strategie di comprensione dinamiche. Costringe il suo pubblico a spaziare continuamente dalla panoramica al dettaglio, a muoversi in un universo figurativo che, come il reale, non ha percorsi interpretativi pre-costituiti. Questa, probabilmente, la sensazione familiare all’osservatore contemporaneo, che nel magma di eventi e informazioni, ove tutto sussiste nel presente, si colloca perennemente sull’orlo della crisi, costretto senza sosta a elaborare e disfare trame dinamiche di senso.

Insomma, da ‘s Hertogenbosch segnali incoraggianti: la pittura può far breccia nella nostra sensibilità estetica, generare grandi eventi e parlare al grande pubblico. Bosch a Den Bosch confonde, diverte, stupisce.

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