Storia di una reliquia laica sulle sponde del Mediterraneo
I falsi e le copie possono essere occasionalmente interessanti come gli originali stessi. Per John Schlebecker, per esempio, una replica può talvolta sostituire efficacemente “the real thing”. In questa indagine mi concentrerò sugli occhiali da vista di Omar Al-Mukthar, con i quali egli veniva tipicamente ritratto. Oggi conservati insieme agli altri oggetti dell’ex Museo Coloniale nei depositi del Museo delle Civiltà di Roma, “appaiono” nei musei e nei negozi di antiquariato e vengono evocati in scenari diversi (cartacee, nei film, nella toponomastica). Si noterà come gli occhiali si sdoppino, si riproducano e si moltiplichino, come una vera e propria reliquia moderna che continua ad apparire in una grande varietà di contesti. Questo breve racconto contribuirà anche a mettere in luce fino a che punto i flussi di oggetti (falsi ed autentici) attraverso il Mediterraneo siano profondamente intrecciati con la costruzione di imperi, con le reazioni nazionaliste e le contestazioni postcoloniali.
L’imam Omar Al-Mukhtar (1858-1931) è oggi conosciuto nella Libia moderna, e ben oltre, come uno dei “martiri” che hanno sacrificato la propria vita per liberare il paese dal colonialismo italiano. Il percorso spirituale e politico di Al-Mukhtar inizia in giovane età, quando entra a far parte della confraternita musulmana della Senussia, studiando per diventare guida spirituale islamica e impegnandosi nella lotta per contrastare la colonizzazione francese in Ciad.
Il 3 ottobre 1911, quando gli italiani bombardarono Tripoli nel primo atto di quella che sarebbe passata alla storia come la guerra italo-turca, il comando militare ottomano decise di ritirarsi e lanciò la resistenza dall’entroterra. I libici, organizzati in piccole unità guidate da alcuni capi come Al-Mukhtar, inferiori per uomini e mezzi, si rivelarono incredibilmente abili nelle strategie e nelle tattiche della guerriglia nel difficile territorio tra montagna e deserto. Il controllo italiano su gran parte dell’interno del paese rimase infatti parziale e inefficace fino alla fine degli anni Venti, quando le forze italiane fasciste sotto il comando di Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani risposero alle azioni dei partigiani libici con livelli crescenti di brutalità, procedendo ad eliminare il sostegno della popolazione ai ribelli: come ha sottolineato lo storico Giorgio Rochat nel suo libro “Il colonialismo italiano” del 1973, l’esercito italiano fu impiegato in bombardamenti di civili e di bestiame, vennero avvelenati pozzi e sorgenti d’acqua, furono effettuate migliaia di impiccagioni pubbliche, fu avallato l’uso di gas tossici, la deportazione di civili e l’istituzione di vasti campi di concentramento (lo storico Angelo Del Boca nel 2005 ha paragonato il campo di Suluq ad Auschwitz).
La lotta di Al-Mukhtar terminò il 16 settembre 1931, quando fu impiccato davanti agli occhi dei suoi compatrioti nel campo di Suluq, all’età di 73 anni. I suoi effetti personali, in particolare il portafoglio in pelle e gli occhiali da vista, furono inviati al Museo Coloniale di Roma a testimonianza che, finalmente, era avvenuta la completa conquista e pacificazione della Libia. Gli occhiali e il portafoglio, oggetti di uso quotidiano piuttosto poveri e “banali” dell’uomo un tempo simbolo della resistenza libica, venivano così esibiti come “trofei” vicino alle armi sottratte al nemico ed animali feroci impagliati, trofei anch’essi di caccia grossa.
Il Museo Coloniale di Roma, istituito formalmente nel 1914, fu inaugurato solo nel 1923 come creazione eminentemente fascista: pensato per promuovere una rinnovata e aggressiva agenda coloniale, che culminerà nella brutale aggressione fascista all’Etiopia (1935-1937), continuò ad operare come strumento di propaganda sia in Italia che all’estero (attraverso la partecipazione a mostre e fiere) anche durante e ben oltre il crollo dell’impero e del regime fascista. Infatti, il Museo Coloniale e il suo personale, nel decennio successivo alla caduta del fascismo e perdita delle colonie, furono mobilitati nello sforzo politico attraverso il quale i primi governi italiani democratici cercarono di mantenere una qualche forma di amministrazione fiduciaria nei territori coloniali occupati prima del fascismo (Eritrea, Somalia e Libia).
Il museo ospitava numerose tipologie di oggetti: campioni di materie prime per convincere gli imprenditori italiani a investire nelle colonie, reperti archeologici a testimoniare la continuità del “lavoro di civilizzazione” fascista rispetto a quello dell’Antica Roma, cimeli appartenenti ai celebri esploratori italiani in Africa, definiti “pionieri”, diorami di animali selvaggi e feroci, calchi realistici in gesso e maschere facciali dei nativi.
Dopo la sua morte Omar Al-Mukhtar divenne un’icona transnazionale nel mondo musulmano: una vera e propria bandiera panislamica, non solo in Palestina, Iraq ed Egitto, ma anche in Indonesia, dove il governo coloniale olandese era ben consapevole della sensibilità della questione, e proibì ai giornali anche solo di menzionare la storia del partigiano libico. La morte di Al-Mukhtar dette impulso a un movimento anti-italiano nel mondo arabo e musulmano, e i prodotti italiani furono boicottati in molti paesi.
Quando Gheddafi e il Consiglio del Comando Rivoluzionario (RCC) salirono al potere nel 1969 e rivendicarono la sua eredità, il nome e l’immagine di Omar al-Mukhtar divennero improvvisamente onnipresenti in Libia. Molte strade presero il suo nome, la sua immagine apparve sulla valuta libica (dal 1971 la sua faccia è presente sulla banconota da dieci dinari libici) e il governo finanziò un film del 1981, Il leone del deserto, con Anthony Quinn nel ruolo di un anziano Al -Mukhtar. Il film, proiettato regolarmente alla televisione di stato libica, è stato a lungo vietato in Italia fino alla sua prima trasmissione alla TV italiana nel 2009.
Al-Mukhtar dunque continua ad apparire, evocato attraverso gli oggetti a lui appartenuti, invocato in aule di tribunale, ritratto su film e banconote a decenni di distanza dalla sua morte. Il leader della resistenza è stato citato (abbastanza a sproposito) anche da A’ishah Gheddafi, membro della squadra di avvocati che difendevano Saddam Hussein e figlia del colonnello Gheddafi, che lo ha paragonato all’ex presidente iracheno durante il processo del 2004 dicendo: “quello che sta accadendo oggi ci ricorda lo sceicco di Moudjahidine, Omar al-Mukhtar, davanti alla corte fascista”. Nell’estate 2009 Muammar Gheddafi ha incontrato a Roma il presidente Silvio Berlusconi con una foto del leader della resistenza anticoloniale Omar Al-Mukhtar in cattività italiana appuntata al petto e ha portato con sé l’anziano figlio durante la visita.
Omar Al-Mukhtar è stato anche conteso da differenti forze politiche, allo scopo di auto-legittimarsi: con l’inizio della guerra civile libica il 17 febbraio 2011, l’immagine di Al-Mukhtar è stata raffigurata su varie bandiere e manifesti del movimento Free Libya e le forze ribelli hanno chiamato una delle loro formazioni “brigata Omar Al-Mukhtar”, inoltre, il combattente libico è stato spesso ricordato con grandi onori anche da Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM).
Sia Gheddafi che i gruppi che lo hanno rovesciato nel 2011 avevano e hanno adottato Omar Al-Mukhtar come un eroe: il 6 settembre 2019 infatti la Libia ha commemorato l’88° anniversario di quello che è noto come “il martirio di Omar al-Mukhtar”; secondo la legge numero 5 dell’ex Consiglio nazionale di transizione dell’8 gennaio 2012, è una festa nazionale ufficiale, ed essa è stata riconosciuta sia dal governo di accordo nazionale di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj che dal suo rivale, il governo ad interim di al-Beida guidato di Abdullah al-Thani. Se l’imam libico è indubbiamente diventato un’icona, in patria e all’estero, un personaggio “pop” ritratto su adesivi e magliette, impiegato per servire i bisogni politici di molteplici fazioni, cosa è successo nel frattempo agli effetti personali di Al-Mukhtar?
Nel 1955 il Museo Coloniale di Roma ricevette dal governo libico una richiesta formale per la restituzione degli effetti personali di Al-Mukhtar, richiesta che apparentemente fu ignorata. Ancora oggi, infatti, gli occhiali del condottiero senussita sono in possesso del Museo delle Civiltà di Roma (MuCiv) presso il quartiere EUR, nel cui magazzino è conservato attualmente l’ex Museo Coloniale, la cui riorganizzazione dovrebbe avvenire a breve, con il 2021 indicato come anno del riallestimento con il (controverso) nome di Museo Italo-Africano Ilaria Alpi.
La vicenda degli occhiali di Al-Mukhtar potrebbe quindi terminare qui, se non fosse che un paio di occhiali, esibiti come gli occhiali autentici del leader libico, sono oggi esposti a Tripoli presso l’Assaraya Alhamra Museum. Il museo, chiamato anche come Museo del Castello Rosso, situato nell’edificio storico noto come il Red Castle sulla baia di Tripoli, ha il suo ingresso sulla celebre Piazza dei Martiri (ex Piazza Italia), ed ha anch’esso un legame profondo con il colonialismo italiano. Il Museo è stato infatti fondato nel 1919 dagli italiani, che hanno convertito l’antico castello, originariamente utilizzato come magazzino di munizioni, nel primo grande museo della Libia, con lo scopo di ospitarne alcuni degli innumerevoli reperti archeologici. Dopo il colpo di stato di Gheddafi nel 1969, venne aggiunta una nuova ala, chiamata “The People’s Era Wing”, per documentare la lotta per l’indipendenza libica. La nuova sezione commemora infatti alcune tra le figure principali della resistenza libica, esponendo effetti personali, foto e scritti, tra gli altri, di Suleiman Al-Barouni e Omar Al-Mukhtar. Proprio qui sono esposti un paio di vecchi occhiali rotondi, molto simili a quelli indossati dal condottiero dei Senussi, nelle fotografie che lo ritraggono.
Gli occhiali sono presenti anche nel già citato film del 1981 “Il leone del deserto”, diretto da Mustafa Akkad. Nel finale del film, un bambino, che secondo la critica rappresenta il giovane Gheddafi, raccoglie gli occhiali dell’imam dal patibolo: un anacronismo, perché Gheddafi naque soltanto dieci anni dopo l’esecuzione di Al-Mukhtar. Tuttavia, Gheddafi ha affermato in più occasioni che l’imam era il suo eroe d’infanzia e che suo padre, Abu Minyar, aveva combattuto proprio sotto il comando di Al-Mukhtar contro gli italiani (sebbene quest’ultima affermazione sia stata contestata, può però essere avvalorata dal fatto che, come il leader senussita, Gheddafi era a sua volta membro di una tribù murabtin). Per tutta la sua vita dunque, Gheddafi ha continuato a rappresentarsi come l’erede politico di Omar Al-Mukhtar.
Nel 2015, a sorpresa, un paio di occhiali presentati come appartenuti ad Al-Mukhtar sono apparsi sul mercato dell’antiquariato di Aleppo, in Siria. Secondo Abu Omar, il proprietario, essi sono stati raccolti a Suluq, dove il leader della resistenza libica è stato giustiziato, da un giovane studente poi rifugiatosi in Siria per sfuggire alla repressione italiana in Libia.
Durante il diciottesimo secolo l’esposizione di “oggetti biografici” divenne parte fondamentale di molte esibizioni popolari: Madame Tussaud, per esempio, fece pratica comune dell’esporre oggetti appartenuti a personaggi famosi, che riteneva utili per “autenticare le cere” e dar loro credibilità. Come risultato diretto del “culte des grands hommes” sviluppatosi nel diciottesimo oggetti, resti corporei, capelli e ceneri appartenuti a “grandi uomini” apparvero nei primi musei pubblici di Parigi durante la Rivoluzione.
I (tanti) occhiali da vista di Al-Mukhtar assumono un valore diverso – sentimentale, economico, politico – a seconda di dove e come vengono esposti. Nel Museo Coloniale di Roma gli oggetti di Al-Mukhtar erano esposti come trofei, insieme a teste di animali, premi stessi delle grandi battute di caccia alla selvaggina africana. Le stesse immagini della prigionia del condottiero libico, inoltre, suggeriscono questo tipo di riflessione: è ritratto in catene, in mezzo a ufficiali italiani che posano con lui, come si fa abitualmente con le prede di caccia. Al contrario, il Red Castle Museum è un santuario della storia libica, dove l’esposizione di “reliquie” incoraggia la devozione e la venerazione “religiosa” verso la storia libica.
Proprio come le reliquie sacre, le reliquie secolari dei giorni nostri non vengono dunque esposte per ciò che sono realmente: la loro autenticità non è poi così importante, ed esse compaiono in contesti diversi, assumendo significati diversi; dopo tutto, la costruzione sociale del valore delle reliquie contempla il loro commercio, il loro movimento e politicizzazione: se le sacre reliquie della Vera Croce di Gesù sono possedute e rivendicate come autentiche da molte chiese in tutto il mondo, anche gli occhiali di Al-Mukhtar si materializzano sulle sponde del Mediterraneo, assumendo ogni volta significati diversi.
La presente ricerca si è sviluppata nell’ambito della COST Action PIMo: People in Motion: Entangled Histories of Displacement across the Mediterranean (1492-1923). Questo articolo è una traduzione e adattamento del testo in inglese uscito per il blog del progetto.