Gli asteroidi: il cinema fuoriesce dallo schermo

Un’analisi dell’impatto produttivo del film “Gli asteroidi” sul territorio in cui è stato realizzato.

Impact Producing: “Produrre “engagement” e esternalità positive

che consentono a un film di raggiungere e impattare sui propri pubblici”.

(Docsociety Definition)

Qual è la relazione che intercorre tra l’industria cinematografica e il territorio in cui opera? Si può parlare propriamente di impatto socio-economico sulle comunità coinvolte? Ogni film, che si tratti di un’opera documentaria o di finzione, presenta una connessione con l’istanza di realtà che ne costituisce l’origine. Per dirla con parole più semplici, prese in prestito dal celebre scritto Introduzione al documentario dello statunitense Bill Nichols, ogni film può essere considerato un documentario: per quanto la storia che racconta sia totalmente frutto dell’immaginazione di chi lo scrive, è sempre una testimonianza della realtà storica e sociale in cui viene prodotto e, come tale, non può esimersi dall’essere in una relazione di codipendenza con essa. Non è quindi illogico che una casa di produzione si impegni a sviluppare un concetto come quello dell’impact producing al di fuori dell’ambito documentaristico, in cui viene teorizzato, traducendolo praticamente nell’ambito di fiction.

Ma che cos’è l’impact producing? Cosa significa produrre un film pensando alle ricadute, all’impatto che la sua produzione può e deve avere sull’ambiente? Non si può esaurire il concetto tenendo in considerazione solo le conseguenze di tipo economico che una produzione comporta, per quanto l’industria cinematografica rappresenti da sempre una risorsa per l’economia territoriale. Basti in questo senso pensare ai tanti luoghi italiani divenuti famosi proprio perché utilizzati come location – tra i molti esempi possibili, citiamo l’isola di Salina, dove, all’attracco dell’aliscafo, è ancora presente una bicicletta con targa che rimanda alle celebri scene del Postino che vi sono state girate – così come al (forse) consequenziale sviluppo delle Film Commission regionali, i cui bandi per lo più impongono una spesa sul territorio, quindi un indotto economico, superiore al contributo erogato. Ma parlare di impact producing in ambito cinematografico significa andare oltre questa concezione, al fine di considerare (e progettare) il proprio lavoro produttivo come fonte, o ausilio, di una trasformazione sociale e culturale.

Questa è stata la filosofia che ha contraddistinto la produzione del film Gli Asteroidi (2017), opera prima del regista emiliano Germano Maccioni e primo lungometraggio prodotto da Articolture s.r.l e Ocean Production, con RAI Cinema. Parafrasando la definizione della Docsociety di Londra, Articolture ha avviato una riflessione teorica – oltre che pratica – sulla possibilità di sviluppare impatti non unicamente sul pubblico cinematografico, ma anche e soprattutto sui pubblici potenziali, ovvero quelle comunità territoriali e di interesse attivabili durante le fasi di produzione dell’opera filmica. Questo mette in luce un nuovo modo di pensare l’opera stessa, non intesa più soltanto come un prodotto finito da vendere a un determinato pubblico. Il film diviene un prodotto culturale completo, che non può esaurirsi nella sua forma di copia campione, ma si costituisce e si esplicita tramite tutte le strategie produttive che lo anticipano e seguono: la produzione si muove pari passo con la narrazione permettendo al film di uscire fuori dallo schermo e invadere l’ambiente circostante.

Ma in che modo? Vedendo Gli Asteroidi risulta subito evidente la forte connessione con i luoghi in cui nasce e si racconta: la fotografia mette in scena la bassa, piatta e desolata pianura che circonda Bologna e che caratterizza le varie location del film – Ozzano, Medicina, San Lazzaro di Savena, tutti piccoli comuni dell’hinterland bolognese. Questa ambientazione familiare diventa teatro delle incerte esistenze di Pietro, Ivan e Cosmic. Tre adolescenti come tanti, con i quali la vita non si è mostrata misericordiosa: Pietro, da poco orfano di padre, sta per perdere tutto e sarà a breve costretto a trasferirsi; Ivan, figlio di un sindacalista alcolizzato, tenta di sfuggire alla vita media che il padre vorrebbe per lui; Cosmic, sopravvissuto a un incidente traumatico, seguita a cercare una spiegazione nel cielo stellato e nell’asteroide “che sta per colpire la terra” e che diventa una metafora delle vite stesse dei ragazzi, persi per questo paesaggio lunare in un vagabondare senza meta, attratti dalle forze negative che incontrano – su cui spicca la presenza di Ugo, interpretato da Pippo Delbono, orco dell’intera vicenda.

L’ambiente, che diviene ambientazione, ha un ruolo importantissimo nella storia; come dichiara il regista Germano Maccioni «per me si trattava di fare i conti col passato, di raccontare un luogo apparentemente brutto e piatto, per renderlo intrigante. L’Emilia in cui ero cresciuto, coi campi, le zone industriali, le chiese e il partito».

Il lungometraggio nasce quindi dall’esigenza di raccontare un luogo fatto di fabbriche dismesse – come quella dove si ritrovano i protagonisti – o che sopravvivono alla crisi solo producendo le italianissime cialde di caffè. Un territorio industriale della piatta Pianura Padana, sana e sviluppata in passato ma ora colpita da un malessere diffuso, dove un tempo lampeggiavano le insegne del Pci e che ora, non a caso, creano un cortocircuito. L’Emilia delle balere, in cui troviamo l’Extraliscio insieme allo Stato sociale, ma anche l’Emilia delle chiese, dove nessuno va più a pregare e i ragazzi finiscono per rubare oggetti sacri, dissacrandone completamente il significato.

L’aspetto interessante del film – prima ancora della sua resa estetica, che comunque sta spaccando la critica cinematografica – è che per mettere in scena quell’ambientazione, la produzione ha attivato il “vero” dietro la finzione cinematografica. Ha elaborato alcune tattiche per sollecitare, appassionare e coinvolgere nel progetto il tessuto sociale e culturale da cui esso nasceva.

Durante l’anno precedente l’inizio delle riprese è stato avviato un percorso di formazione in recitazione e scrittura per il cinema che ha coinvolto oltre centoventicinque adolescenti di cinque scuole superiori della Città metropolitana di Bologna. L’idea produttiva alla base di quella che si è configurata come una vera e propria sotto-progettualità, era di mettere in relazione gli autori – Germano Maccioni e Giovanni Galavotti – con quell’adolescenza che volevano raccontare, ma anche favorire un processo di talent scouting e audience development su una comunità che normalmente non frequenta i cinema d’essai. Infatti gli under 25 sono un pubblico difficile, che semmai guarda i film in streaming comodamente da casa. Un pubblico che quando decide di andare al cinema sceglie l’ultimo spettacolare film americano, non certo un film indipendente italiano. Come affascinare questi ragazzi, come presentare loro un cinema diverso? Coinvolgendoli. Tanto che alcuni di loro vi hanno poi preso parte come attori, altri hanno scoperto, qualche mese più tardi, di essere stati ammessi a un corso di sceneggiatura alla Southern California University: «Ci piace pensare» scrive Chiara Galloni, una delle socie di Articolture «che senza il nostro workshop forse questi ragazzi non si sarebbero mai avvicinati alla scrittura per il cinema, non avrebbero mai trovato il modo di prendere un aereo e volare dall’altra parte del mondo. Per noi questo si chiama impatto». Tanto più se imprevisto, e forse imprevedibile.

Secondo lo stesso ragionamento, sono state coinvolte balere e circoli Arci, storici presidi culturali del territorio emiliano, la Curia per l’attivazione delle chiese di provincia, e un tessuto imprenditoriale locale che ha contribuito ora in termini finanziari, ora all’interno della narrazione – aprendo i capannoni, quelli vuoti, quelli ancora in attività, quelli completamente dismessi, che nel complesso risultano l’ammissione di un dato di fatto, la condivisione di una situazione economica e sociale che può essere risolta solo se affrontata collettivamente. «La prima volta che la produzione mi ha presentato il film, temevo che il nostro territorio ne sarebbe uscito male» ha dichiarato in conferenza stampa Luca Lelli, Sindaco di Ozzano dell’Emilia, «poi ho capito che non si può sfuggire alla realtà se vogliamo gestirla e migliorarla. E la nostra comunità ha reagito egregiamente, si è stretta attorno al film, e oggi lo difende».

Voler ragionare in termini di impact producing significa quindi essere consapevoli che la storia che si intende raccontare si riferisce sempre alla realtà, direttamente o indirettamente.  Vuol dire riflettere su come integrare, a un impianto produttivo di tipo canonico costituito da fondi pubblici, accordi di co-produzioni e di pre-vendite ai broadcaster, questa forza dirompente del reale che straborda dal e nel film; vuol dire adoperare l’impact producing non più come conseguenza casuale del proprio lavoro, ma come metodo e obiettivo che ne migliorino l’efficacia, per un nuovo modo di fare e pensare il cinema.

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