#GeziPark Coordinate di una rivolta

Pubblichiamo l’introduzione di “#GeziPark Coordinate di una rivolta” (Alegre, 2013), con saggi di Moira Bernardoni, Fazıla Mat, Piero Maestri, Lea Nocera, Fabio Salomoni, FabioRuggiero.

La rivolta scoppiata in Turchia nel giugno 2013 ha travolto il paese e sorpreso molti anche fuori dai confini turchi. Ciò che è iniziato al parco Gezi ha segnato un momento importante per la Turchia, tanto da essere oramai considerato un nuovo spartiacque per la storia del paese. Con questo libro proponiamo un’analisi degli eventi nel tentativo di descrivere la rivolta di Gezi a partire da angolazioni differenti che permettano di comprendere alcune delle complessità spesso trascurate se non del tutto ignorate.

Situarsi nella rivolta, sottraendosi a banalità e semplificazioni, in uno sforzo di capire i processi oltre che seguire le suggestioni di istantanee ed emozioni, è il moto che ci ha accompagnato nella realizzazione di questo volume. E ci siamo arrivati dopo aver respirato gas, corso per le strade, aver partecipato ad assemblee e trascorso notti insonni, per la stanchezza, gli incubi, le emozioni; dopo aver parlato tra di noi e con tanti altri, letto articoli, guardato mille foto e video; esserci indignati, ribellati, entusiasmati. Tanto più che a Istanbul c’eravamo già e la conosciamo da anni.

Non siamo un collettivo ma abbiamo messo in comune le nostre esperienze, conoscenze e suggestioni, sottoponendoci a un confronto continuo e non sempre facile o pacifico. Questo è il nostro contributo personale e collettivo alla rivolta di Gezi e al suo futuro.

Il libro si apre con una descrizione della rivolta a partire dagli eventi che lo hanno immediatamente preceduto per poi raccontare come si sono sviluppati. Fazıla Mat cerca innanzitutto di darne una descrizione cronologia fornendo una lettura delle motivazioni che sono state alla base di Gezi, a partire dal rapporto tra lo sviluppo economico turco dell’ultimo decennio e il fenomeno delle trasformazioni urbane. La percezione della limitazione delle libertà espressa dai manifestanti, legata all’atteggiamento delle autorità nei loro confronti, porta con sé anche un rischio: quello di fomentare una nuova polarizzazione nella società, dove si vorrebbero laici e religiosi su due fronti opposti. Ma la messa in pratica di un’idea di convivenza che riunisce assieme realtà sociali apparentemente lontanissime, così come è stato sperimentato a Gezi, ha il potere di scongiurare e capovolgere un tale pericolo. Il testo ripercorre le varie metamorfosi di questo esperimento, intervallate da momenti di dura repressione da parte delle forze dell’ordine. All’interno del capitolo una sezione a parte è dedicata alla situazione della stampa in Turchia, in rapporto alle posizioni poco lusinghiere dimostrate durante gli eventi dell’estate 2013. Di tutt’altro spessore l’importanza che durante le manifestazioni hanno invece avuto i social media, grazie al loro carattere immediato e incensurato. Anche le reazioni politiche a Gezi sono state molteplici, ciascuna a indicare possibili scenari futuri per il paese. Ma se il movimento nato per la preservazione di un parco sarà in grado di evolversi in una forma che possa incidere sul sistema dominante, così come è già riuscito a scuoterlo alle sue radici, lo si vedrà con l’avanzare dei lavori, che sono ancora in corso.

Il contributo di Fabio Salomoni offre una panoramica accurata sui molteplici soggetti che hanno preso parte alla rivolta. Ne esce fuori un’immagine polifonica e articolata, una cartografia, o meglio una tassonomia dei partiti, delle associazioni e dei gruppi che hanno partecipato alle giornate di Gezi Park. Il capitolo descrive, dati alla mano, quali sono i soggetti sociali che si sono mobilitati per poi soffermarsi in particolare sulle due “piattaforme” che hanno rappresentato il riferimento mediatico e di orientamento della rivolta: la Taksim Platformu, un coordinamento di professionisti storicamente impegnati sul fronte urbano e la Taksim Dayanışma, un vero e proprio coordinamento che ha raccolto ben oltre cento diversi gruppi e associazioni. L’analisi si struttura intorno alle figure dei loro portavoce, attraverso qualche cenno ai loro profili biografici e una ricostruzione storica del loro coinvolgimento. Inoltre vengono passati in rassegna due partiti politici rappresentati in Parlamento, il Bdp, filocurdo e il Chp, il partito kemalista; gli ordini professionali, da sempre impegnati in prima fila nell’opposizione ai grandi progetti del governo, come il Tmmob, l’ordine degli architetti, ingegneri e urbanisti; i partiti e i gruppi politici appartenenti alla classica sinistra turca; i movimenti di lotta urbana, come Imece e Kent Hareketleri; i movimenti Lgbt e quelli per la difesa dei diritti delle minoranze etniche, come gli armeni di Nor. Questo capitolo permette di attraversare l’ampiezza e l’eterogeneità di quella che è stata una mobilitazione complessa e variegata, dalle molteplici sfaccettature, il più delle volte invisibili agli osservatori stranieri.

Le proteste di Gezi nascono a Istanbul per poi diffondersi a macchia d’olio in molte altre città della Turchia: Ankara, Izmir, Antakya. In ogni città si declina l’insofferenza per una politica e una condizione sociale ed esistenziale opprimente, spesso con caratteristiche specifiche legate alla storia dei luoghi. Per quanto con il termine Gezi si intenda oramai in Turchia l’insieme delle proteste che hanno travolto tutte le regioni, il nostro libro si sofferma per lo più su Istanbul. Città di dimensioni enormi, disumane, che da sempre rappresenta una sfida e una vetrina per lo sviluppo del paese, Istanbul, ex capitale imperiale, oggi la più grande città sul Mediterraneo con i suoi 15 milioni di abitanti, è uno dei terreni più importanti sul quale si misurano e si dipanano le politiche del governo di Recep Tayyip Erdoğan e del suo partito, l’Akp. Uno sguardo di più lunga durata sullo sviluppo urbano della città permette di cogliere le trasformazioni sociali, economiche e politiche del paese. In particolare, l’attenzione verso i cambiamenti radicali intervenuti nel paesaggio urbano della megalopoli turca porta a focalizzare sul progetto politico che vi sottende, lasciano immaginare scenari inquietanti, contro i quali mobilitazioni e rivolte appaiono conseguenze necessarie e imprescindibili. Il capitolo “Taksim tra progetti e visioni” di Lea Nocera cerca di indagare questi processi da una prospettiva storica,dove piazza Taksim, luogo centrale nelle rivolte che, da sempre spazio conteso e negoziato, diventa anche un luogo simbolico da cui far partire (o meglio arrivare) diverse traiettorie di analisi per capire l’attuale situazione della Turchia. L’uso della città, delle trasformazioni dello spazio urbano, per progetti politici più ampi che servono a costruire, veicolare, affermare un’immagine stessa della Turchia all’estero e, allo stesso tempo, a legittimare una visione della società turca, e vale la pena dire in questo caso anche della nazione stessa.

Le mobilitazioni di Gezi, in tutta la loro complessità, hanno però dato un’altra visione della società turca. Per questo il piano della comunicazione è stato uno dei terreni di scontro più aspri, ma per altri versi uno spazio creativo e innovativo. Se da un lato a Gezi è emerso con chiarezza il controllo istituzionale sui media e il grave peso della censura, d’altra parte attraverso il ricorso ai social network, a fughe diffuse verso strumenti collettivi e condivisi ha rivelato la capacità e la forza di produrre spazi autonomi e validi di comunicazione fuori dai canali mainstream. È, inoltre, nella comunicazione che ci si è riappropriati degli spazi, muovendosi su un margine sempre in movimento, ironico, derisorio del potere e dissacrante. È anche così che si è sperimentata una pratica di libertà diffusa, finalmente svincolatasi dai meccanismi di repressione e soggezione. Moira Bernardoni ci racconta questi aspetti a partire dai muri della città, dai graffiti che vi sono comparsi, per essere cancellati, corretti, cambiati, rifatti. Un duello condotto a colpi di grigio, quello della normalizzazione imposta e di bombolette colorate adatte a sbeffeggiare il potere e a comunicare immediatamente alla città.

Senza pregiudizi estetici o morali il capitolo “I graffiti della resistenza di Gezi: riappropriazione, comunicazione e ironia” cerca di indagare i limiti della normatività dello spazio di proprietà pubblica e privata, richiamando a una riflessione più profonda sulla natura etica e politica, oltre che estetica, dei graffiti. Un discorso che porta a considerare una pratica che, trasgredendo e violando confini di natura legale, rende ancora più labile la soglia che separa i territori legittimi da quelli legali.

Segue una riflessione su un’esperienza di partecipazione politica specifica, all’interno del collettivo istanbuliota Müştereklerimiz. In “Come rivendicare beni e lotte comuni: l’esempio dei Müştereklerimiz” Moira Bernardoni invita i lettori a interrogarsi se

una certa idea di comune ha parzialmente contribuito a generare la rivolta di Gezi [e se], questa, a sua volta, ha confermato una possibilità reale, ovvero storica, di sovvertire poteri autoritari, spalancando opportunità per sperimentare una relazione sociale alternativa all’individualismo (neo)liberale.

Un’analisi sul collettivo, sulle sue azioni prima di Gezi e poi nel parco stesso, dove è impegnato in prima linea, e inevitabilmente al contempo, tanto sul piano logistico che politico, spingono a ragionare verso orizzonti più ampi che superano anche gli eventi di Gezi. Con questo contributo si invita, infatti, a ragionare sulla necessità di una ricerca continua di pratiche politiche e di paradigmi che possano incidere anche oltre e al di là di Gezi, con l’obiettivo di «dare impulso a un movimento di resistenza al contempo destituente e costituente».

In fine il capitolo “Rivolte della rivolta globale” propone un’analisi di Gezi Park nel contesto più ampio delle rivolte che dal 2011 stanno infiammando il globo. Si cerca qui di capire se esistano elementi di fondo che rendano simili tra loro le rivoluzioni dei paesi arabi, il movimento Occupy, quello degli indignados del 15M e le rivolte in Turchia e Brasile, indagandone gli obiettivi, i soggetti, le rivendicazioni e i luoghi stessi. Il tentativo è delineare, senza semplificazioni, «una direzione di ricerca, un avanzamento nella conoscenza e comprensione dei movimenti sociali contemporanei che ci guidi verso un maggiore scambio reciproco».

Come si urlava e cantava a Gezi: “Questo è solo inizio, la lotta continua!”.

Istanbul, novembre 2013

Gli autori

Moira Bernardoni è dottoranda all’Università tecnica del Medio Oriente ad Ankara. Ha partecipato al progetto Marie Curie Englobe (Enlightenment & Global History). Filosofa di formazione, svolge una ricerca interdisciplinare sul valore politico dei graffiti di Istanbul, dove attualmente vive, e si occupa di spazio urbano e resistenza sociale.

Fazıla Mat, nata a Istanbul ha vissuto a lungo tra Roma e Milano. Ha studiato all’Università Statale di Milano e dal 2008 è corrispondente per la Turchia della testata giornalistica online Osservatorio Balcani e Caucaso. Collabora come freelance con quotidiani e radioemittenti italiani e stranieri.

Piero Maestri, attivista internazionalista, è redattore della rivista Guerre&Pace e dei giornali online communianet.org e il megafonoquotidiano.

Lea Nocera è ricercatrice presso l’Università di Napoli “L’Orientale”. Si occupa di Turchia contemporanea negli aspetti sociali, culturali e di genere. In Italia ha anche collaborato con diverse testate giornalistiche e realizzato documentari radiofonici. È autrice di La Turchia contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo dell’Akp (Carocci, 2011) e di Cercasi mani piccole e abili. La migrazione turca in Germania occidentale (Isis Press, 2012).

Fabio Salomoni, Lettore alla Koç University. Si occupa di migrazioni internazionali, memoria collettiva e rapporti religione/società ın Turchia e nel Caucaso. È tradutore dal turco e auotre di audio-video documentari.

Fabio Ruggiero, attivista del network Communia e di Attac Italia, è laureato in Filosofia ed è insegnante di italiano ad Istanbul.

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