Gaza, l’impotenza, la ripetitività

Sabato ho letto “lode all’impotenza” di Christian Raimo, a proposito dei massacri israeliani a Gaza. Raimo, riprendendo Kurt Vonnegut, spiega che “non c’è nulla di intelligente da dire sugli ultimi bombardamenti a Gaza”.

Non una provocazione, ma un articolo scritto attentamente e in maniera molto articolata. Una presa di posizione che annuncia pubblicamente la difficoltà di fronte alle urla e agli strilli ripetitivi che accompagnano la questione palestinese, che Raimo (impropriamente) chiama “il conflitto”.

Raimo (che durante i periodi meno spettacolari di violenza non pubblica inviti al silenzio) si accoda a Ida Dominijanni che il giorno prima, in un rumoroso silenzio, aveva postato sul suo profilo facebook la sua incapacità di reggere “la ripetitività del conflitto israelo-palestinese e dei relativi dibattiti”.

Raimo si accoda a Dominijanni, e Michele Serra, dall’amaca di La Repubblica, si accoda a Raimo e Dominijanni, spiegando che il silenzio invocato dai colleghi non è indifferenza. Di fronte alla ferocia e alla ripetitività degli eventi la sospensione della parola è meglio di uno sproloquio.

Certo, viene da dire, meglio muti che inutilmente ripetitivi. Ma porre la questione come se appunto di fronte all’ennesimo massacro l’alternativa sia unicamente tra ripetitività e silenzio intelligente rischia di impoverire enormemente il dibattito e cancellare questioni nodali, tra cui la comprensione del significato della ripetitività.

Mi chiedo: di fronte al massacro della ThyssenKrupp (anch’esso ripetizione di un’esperienza storica) dovremmo ridurci a invitare allo stesso silenzio impotente-intelligente? Di fronte a una strage fascista (anch’essa ripetizione di altre stragi) sarebbe stato meglio un silenzio? Di fronte ai ripetitivissimi crimini commessi dal regime di apartheid sudafricano avremmo potuto permetterci di scrivere lodi all’impotenza e alla sospensione della parola? Di fronte alla violenza ripetitiva del neoliberismo sarebbe meglio mettere le nostre voci in stand-by? Di fronte ad altre questioni nodali di ingiustizia dovremmo concederci lo stesso chiassoso invito pubblico al silenzio?

Scrivere che parlare non ha senso, che il senso si è smarrito. Beh, mentre per il sessantaseiesimo anno consecutivo i palestinesi ripetono la loro esperienza di pulizia etnica, espulsione dalle proprie case e aggressione militare, forse la ripetitività di questa condizione umana a cui sono costretti i palestinesi meriterebbe ancora di essere spiegata e contrastata. A meno che non si voglia accusarli di e condannarli alla ripetitività.

La questione non è la vigliaccheria intellettuale (di cui molti accusano chi invita all’impotenza e al silenzio). E la mia non è una critica alla vigliaccheria intellettuale. La questione è che le lodi all’impotenza rischiano di non aiutare la comprensione della ripetitività della questione. Sì perché la ripetitività non va schivata, ma va compresa, nella sua pesantezza, nella sua potenza, e nel suo significato.

La ripetitività è un elemento fondante di qualsiasi forma di potere e di dominio. Come ha sottolineato recentemente Nimer Sultany[1] (per caso avete visto qualche contributo di qualche voce palestinese sui quotidiani e media italiani? Avranno chiesto anche loro un periodo di sospensione della parola?), la ripetitività può generare un falso senso di simmetria tra colonizzatore e colonizzato. Oppure può rendere futili i massacri (“ancora una volta”), e aiutare a decontestualizzarli, o a produrre un senso di decontestualizzazione. Il rischio (quando la scelta non è deliberata, come sembra essere il caso di molti media e organi di informazione italiani) è di cancellare le responsabilità del massacro, e le responsabilità di fronte al massacro.

Le brutalità non verranno spazzate via da sterili inviti al silenzio e all’impotenza. Solo un’estrema lucidità e un concreto contributo alla produzione di un discorso e di una pratica di liberazione, senza fare della Palestina un’eccezione di fronte alla quale sospendere la parola, romperanno la ripetitività e il senso di impotenza che la ripetitività induce.

Note

[1] Sul blog 404:file not found la traduzione dell’articolo di Nimer Sultany.

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