Con Frontiere della psicoanalisi nasce una nuova rivista di psicoanalisi e di cultura, che sarà presentata il prossimo 22 gennaio presso il C.R.P.G. di Catania.
In un mondo sempre più orientato verso il numero e la quantificazione, la medicalizzazione estrema della vita, gli algoritmi, le scale di valutazione e la cancellazione del pensiero critico, quale ruolo possono ancora avere la psicoanalisi e le scienze umane nella costruzione di un sapere capace di dire e di custodire l’enigma della singolarità? Avvertiamo un’urgenza: quella di contribuire a far vivere la psicoanalisi nel nuovo secolo, permettendole di essere una significativa interprete del suo tempo. Abbiamo una consapevolezza: l’esistenza della psicoanalisi e il suo avvenire dipenderanno dalla capacità di stare nel presente mantenendo le caratteristiche proprie che la qualificano come una pratica e una teoria rivolta alla dimensione singolare della vita umana. A nostro avviso, infatti, la psicoanalisi ha tutte le possibilità di esistere con la stessa forza delle sue origini in un mondo che ha modificato profondamente il suo assetto globale, i suoi paradigmi antropologici, i suoi miti e i suoi fantasmi.
Questa rivista vuole offrire il proprio contributo affinché la psicoanalisi resti un interlocutore importante per il dibattito culturale, clinico e politico del nostro tempo. Le sue lingue, più delle sue Scuole, sono ancora vitali ma necessitano di essere liberate da codici troppo rigidi. Sapranno generare un sapere sull’uomo che tenga conto dell’irriducibilità dell’esperienza dell’inconscio all’interno delle attuali trasformazioni storiche, sociali ed epistemologiche? La clinica psicoanalitica non abita il cielo astratto delle essenze ma si trova costantemente messa alla prova da queste trasformazioni. Per questa ragione è necessario provare a rimettere profondamente al lavoro l’eredità di Freud e della sua storia più recente, mediante la proposta di una riflessione complessa, interdisciplinare, plurale, che liberi le lingue della psicoanalisi dagli stereotipi di categorie scolastiche chiuse su se stesse per ritrovarne lo slancio generativo. L’eredità, infatti, come dichiarava Freud a conclusione della sua opera, attraverso Goethe, o è un’opera di riconquista attiva, un movimento sbilanciato in avanti, una ripresa creativa del passo compiuto dai nostri padri, oppure è solo spirito di conservazione, clonazione sterile del già stato.
Tenere la rotta ferma intorno al concetto di singolarità significa non sottrarsi ad intervenire nell’ambito della crisi del concetto tradizionale di umano che ha investito l’intero campo delle cosiddette discipline umanistiche. La sfida (e la scommessa) della nostra rivista è quella di non dare per scontata né la dissoluzione di questo concetto – come è accaduto nella stagione dello strutturalismo e continua ad accadere ancora oggi nei suoi esiti più recenti –, né la sua rappresentazione performativa di tipo scientista la cui matrice è cognitivo-comportamentale. In questo senso, la psicoanalisi è chiamata a svolgere – con il suo costante richiamo all’irriducibilità singolare dell’inconscio – un ruolo di primo piano nel mantenere aperta l’interrogazione sull’uomo evitando però gli estremi della sua negazione disantropica e della sua celebrazione retorica come mera macchina efficiente. Il postulato dell’inconscio preserva uno spazio insaturo: la psicoanalisi resta una teoria critica della società e una clinica della singolarità resistente ad ogni procedura teorica o pratica di omologazione ad un ideale normativo dell’umano. Tuttavia, essa non rinuncia alla categoria di soggetto, collocandola proprio al centro della sua pratica e della sua teoria. Si tratta, dunque, di impegnarsi in un lavoro di rifondazione del concetto etico di singolarità e del sapere ad esso più adeguato.
Il primo numero – da poco uscito per i tipi de il Mulino – ruota attorno al concetto di irruzione, definito attraverso tre lemmi: evento, trauma, storia. Sappiamo che lo scorrere naturale del tempo non comprende l’esperienza della storia. La storicizzazione del tempo implica sempre la sua soggettivazione nella ripresa retroattiva, e questo è innanzitutto uno dei grandi insegnamenti della psicoanalisi. Nondimeno, anche la storicizzazione del tempo naturale si deve piegare all’eventualità dell’irruzione di un impossibile da iscrivere. È il caso del trauma che fa necessariamente la sua comparsa nel tempo storico, incidendo in esso un reale ingovernabile che resiste alla sua metabolizzazione simbolica. Questa irruzione ha la natura dell’evento che, come nota Derrida, non è mai dell’ordine del possibile ma dell’impossibile. O, come ha osservato Koselleck: «Il “prima” e il “poi” di un evento mantengono la propria qualità temporale, qualità che non si lascia ridurre completamente alle sue condizioni di lungo periodo. Ogni evento produce qualcosa di più (e di meno) di quanto è contenuto nelle sue premesse: di qui la sua novità sorprendente». Lo illustra bene la lettura che Badiou compie della missione di San Paolo nella diffusione del messaggio di Cristo: per Paolo, l’evento attorno a cui si struttura la forza di questo messaggio è costituito dalla resurrezione, in quanto tale indimostrabile e improvata, ma capace di generare – nella sua qualità paradossale di evento incondizionato che fa appello alla sola credenza soggettiva –, una successione di eventi altrettanto impensabili come la religione cristiana o l’irruzione di un’altra temporalità sulla scena del mondo.
Le strutture che presiedono ad un evento (ad esempio i modi di sovranità, la categoria amico-nemico, le forze produttive e i rapporti di produzione, le dinamiche inconsce ecc.) sono evidentemente altre dall’evento stesso. Tuttavia, come ha sostenuto Sahlins, la distinzione fra evento e struttura appare sempre problematica «se non altro per il motivo relativamente insignificante che ogni struttura o sistema è, sul piano fenomenico, événementiel. In quanto insieme di relazioni significanti tra categorie, l’ordine culturale è meramente virtuale. Esso esiste solo in potentia. Il significato di una qualsiasi forma culturale è dunque dato da tutti i suoi possibili usi nella comunità… ma l’evento non è che la forma empirica del sistema… Un evento non è semplicemente qualcosa che accade nel mondo; è la relazione tra un determinato avvenimento e un dato sistema simbolico». In questo senso ogni evento attualizza e modifica la struttura soggiacente, sottoponendo gli esseri umani all’incertezza dell’azione e della processualità interpretativa, ridefinendo al medesimo tempo la relazione fra l’impossibilità di ciò che accade e la ripetizione intesa come attualizzazione di una struttura. Si apre pertanto una dialettica complessa fra l’apparizione del nuovo, capace di flettere e modificare la struttura, e la struttura che si dispiega nell’evento, mostrando l’interconnessione di ripetizione e creazione, determinazione anticipatoria e rimodulazione soggettiva, fissità e trasformazione. Se, come ha osservato De Certeau, alla domanda se l’evento osservato sia una irruzione o una ripetizione del passato, lo storico non sa mai dare una risposta precisa, questo implica, da una parte, una correlazione stringente fra evento e struttura e, dall’altra, la necessità di cogliere in questa indecidibilità la possibilità di ospitare l’estraneo che scorre nel discorso corrente, lacerando la rassicurante convinzione di abitare il solo tempo presente.
Questo cambio prospettico fra evento e struttura, fra (im)possibile dell’evento e ripetizione, che ne interseca ma non ne annulla i piani, è al centro dell’esperienza dell’analisi. Interrelazione casuale di soggetti che nel loro incontro intrecciano una nuova storia per risignificare quelle precedenti; trama psichica soggiacente a processualità e funzionamenti che sovrastano l’evento medesimo della cura analitica, ma che da essa saranno riprese per poterne rintracciare la portata, ridurne il peso e la forza, mutarne la traiettoria.
La storicizzazione del soggetto, per aprirsi al suo possibile, deve necessariamente dispiegarsi sul terreno della ripetizione, permettendo a ciò che è rimasto in giacenza, a ciò che ha tracciato o interrotto il corso delle costruzioni soggettive, di riapparire e di essere riattraversato nella ripresa simbolizzante della cura, nelle trasformazioni creatrici che si produrranno in quell’«increabile» (Green) generativo di nuove iscrizioni, nuove traiettorie, nuove origini che definiscono il processo stesso della soggettivazione analitica. Sarà nella cura, nel suo incontro con processi che predispongono o che tentano di prescrivere i modi dell’accadere e i flussi delle trasformazioni, dunque aprendosi alla possibilità della ripetizione, ma paradossalmente piegandola lungo nuove modalità di simbolizzazione, che la storia può davvero ricominciare. È questo il motivo per cui non bisognerebbe parlare di un tempo unico della vicenda analitica, ridotto spesso unicamente al tempo presente della seduta, nell’illusione di essere i soli attori di una scena hic et nunc, ma piuttosto di onde anacroniche, di fasci temporali che si intersecano, producendo differenti categorie di eventi, a seconda dello scontro o del punto di ricezione delle medesime. Questo ci permetterà di parlare del tempo della cura come articolabile intorno ad una dinamica epiciclica, di strutture esistenziali e di avvenimenti – fra di essi il trauma occupa certamente un ruolo preponderante – che istituiscono dei punti attrattivi, dei significanti-chiave, dei nodi di agglutinazione simbolica, affettiva, sensoriale, linguistica o pre-verbale, che flettono le orbite trasformative e le loro reiscrizioni. Ripetizioni immemori del già accaduto che tratteggiano le possibili diramazioni di senso, piegandole alla ripresa del già stato e però, mediante questa medesima operazione, disponendole all’accoglimento del nuovo.
Questa rappresentazione processuale si frattura però in modo peculiare nel momento in cui il reale del trauma fa apparizione sulla scena del soggetto. In termini freudiani nessuna organizzazione difensiva può evidentemente anticipare l’evento inatteso del trauma. Perciò esso si accompagna sempre al terrore, all’angoscia lacerante, alla possibile perdita di rappresentazione e di significazione. Ma non è forse in questa terra di frontiera del simbolico, scavata dal reale del trauma, che dobbiamo iscrivere la posta in gioco più alta della pratica analitica e, più in generale, di ogni pratica sublimatoria? Operazione sempre complessa che domanda un tempo di elaborazione, un lavoro psichico per potersi dire, una comunità, un’alterità per giungere ad una ritrascrizione e al suo trattamento nella sfera del pensiero.
Confrontarsi con l’irruzione ripetitiva del trauma nella storia ma fuori dalla storia, nel tempo ma fuori dal tempo, al fine di dare a questa forza una forma, a questa energia senza argini una rappresentazione, sarà il compito ineludibile a cui dobbiamo rispondere. Per questo l’evento per essere tale implica sempre il riferimento alla mediazione simbolica di un soggetto. Non c’è, infatti, evento in sé, ma solo per un soggetto singolare che lo significa come tale nel tempo della retroazione.
Abbiamo convocato per tale motivo studiose e studiosi di psicoanalisi, storia, letteratura, teoria dell’arte, per scandagliare questo enigma: come ospitare l’irruzione dell’impossibile nel tempo storico capovolgendo la sua potenza devastatrice in una ripetizione creativa?