Tutti gli epiloghi andrebbero scritti all’inizio

Una recensione e un’intervista attorno a “Anna. Storia di un palindromo” di Francesco D’Isa (Effequ 2013).

“Anna” è un palindromo, una parola che si può leggere in entrambi i sensi senza che ne cambi il suono o il significato. In questo senso la storia di un palindromo dovrebbe essere quella di Anna. Ma in realtà è il libro di Francesco D’Isa  a essere un palindromo, una storia che procede dall’inizio alla fine ma anche in senso contrario, in un gioco geometrico e onirico.

Anna è una giovane donna che subisce un intervento al cervello volto ad asportarle un angioma. A operarla è Ezio, neurologo e neurochirurgo, che ha scelto questa specializzazione ritenendola «una forma di ricerca più simile all’arte che alla scienza». Ma durante l’intervento qualcosa va storto, un minuscolo errore provocato dal medico determinerà nella paziente alcune strane confusioni tra sogno e realtà: Anna non riesce più a ricordare il suo passato se non tramite immagini oniriche. Ezio cerca di indagare su quell’anomalia incomprensibile, ma cercare di capire la mente di Anna e innamorarsene paiono essere uno la conseguenza dell’altro, e i due finiscono per stare insieme, in quella che però è una Zweisamkeit: non una solitudine né una coppia ma una duitudine, una solitudine in due.

La scansione temporale del romanzo è interrotta dalle immagini attraverso le quali Anna rievoca il proprio passato sotto forma di sogno, e dalle lettere che Ezio le scriverà da Berlino, dove verrà trasferito e attenderà che lei lo raggiunga. Queste irrompono nella narrazione fin da subito, calandoci nell’atmosfera dei ritorni. In tutto il libro l’autore dipana un gioco tra salute e malattia, sogno e realtà, amato e amante che si confondono fino a lasciare un’impressione ovattata e spiraliforme nello stesso lettore, acuita dalla disposizione delle lettere stesse (la prima, infatti, è molto simile all’ultima e le due potrebbero essere invertite) che danno l’idea che la storia di Anna ed Ezio, come la medicina secondo quest’ultimo, sia un sistema chiuso con i due estremi a coincidere. In fondo quello che è successo ad Anna e quello che succederà a Ezio sono i due capi di una stessa linea, due rette parallele che procedono in direzioni opposte e si sfiorano. Anzi, a dire il vero lo straniamento consiste nel fatto che Anna, la malata, colei alla quale l’intervento curativo ha provocato un danno forse permanente al cervello, appare molto più sana di Ezio, e in generale di tutti i personaggi che, con le loro piccolezze e manie, compaiono collateralmente nel romanzo. Forse lo è perché è riuscita a distaccarsi da se stessa («In lei si era fatta spazio l’idea che persino la salute fosse fatta di abitudine, o meglio di addestramento»).

E le lettere costituiscono le pagine meglio riuscite del romanzo, poiché in esse lo spaesamento e la vertigine nella quale il protagonista tenta di aggrapparsi alla sua razionalità compongono il senso di una perfetta disperazione: «Mi consolo nel pensare che gli equilibri basati su forze che tirano in direzioni opposte sono pur sempre equilibri, certo fragili».

Francesco D’Isa è un artista fiorentino (l’illustrazione della bellissima copertina è opera sua) nato nel 1980 e laureato in filosofia. Ha fondato il collettivo internazionale di artisti e porno star Pornsaints «un approccio artistico al porno, un approccio pornografico all’arte, un approccio porno artistico alla religione», collabora con Il Post e ha collaborato con l’inserto Orwell di «Pubblico». Ha pubblicato nel 2011 il romanzo illustrato I. (Nottetempo), nel 2013 alcuni racconti raccolti in Selezione naturale (Effequ) e Toscani maledetti (Piano B), e il fumetto Liebe macht nicht frei, baby (Retina Comics). Ho avuto modo di scambiare qualche mail con lui in merito ad Anna, ecco quello che ne è venuto fuori:

M.T.G. Partiamo dall’inizio: mi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla genesi del romanzo. Quando hai cominciato a pensarlo, come lo hai scritto, com’è nato. Fino ad arrivare al percorso editoriale che, lo sappiamo, è un percorso sempre impervio.

F.D. – Il romanzo lo iniziai nel 2012 a Berlino, dove ho vissuto circa un anno. Aver completato un quadro molto impegnativo mi aveva realizzato e svuotato visivamente, ma avevo qualcosa in testa, dunque ho provato a scriverlo. La scrittura è stata veloce, meno di sei mesi mi pare. La riscrittura più lenta, ma in meno di un anno avevo completato il romanzo. Per la pubblicazione ho dovuto attendere molto di più, per via dei lunghi tempi editoriali. L’attesa è stata così lunga (e ansiogena) che nel frattempo, non riuscendo a stare senza far nulla di creativo, ho scritto un altro romanzo.

Anna è un libro nel quale si avverte una formazione filosofica, eppure non è un libro filosofico in senso stretto. Leggendolo mi è sembrato per certi aspetti un omaggio alla filosofia, all’umano filosofare, e insieme una resa all’incomprensibile, sicuramente in amore, forse anche in medicina. La razionalità porta Ezio alla follia, mentre Anna, che dovrebbe essere il personaggio “debole” – vittima di uno stupro, dell’angioma, dell’errore medico durante l’operazione per asportarlo – assume su di sé la malattia come «un’imperfezione che vestiva con naturalezza, anzi, di più: le donava» e in questo modo risulta essere l’unica sana. In ogni caso dentro il libro ci sono filosofi, scienziati, psicologi citati, e altri non citati – a volte, te lo confesso, ho avuto la sensazione che tu abbia un tantino calcato la mano nel volerci mettere dentro troppe riflessioni incastonate qua e là. Tra i contributi teorici la cui influenza è presente nel romanzo, Wittgenstein non lo citi direttamente ma c’è. C’è anche qualche tema nietzschiano, e mi è venuto in mente anche Berkeley. Che ne pensi?

Sì, la mia formazione universitaria è filosofica, e sono convinto che tutti i “mezzi di conoscenza” sebbene parlino lingue diverse e talvolta propongano mondi diversi abbiano lo stesso movente. Wittgenstein c’è di sicuro, è uno dei miei preferiti. Pure Nietzsche mi ha influenzato tanto, sebbene lo abbia letto ormai quindici anni fa e lo ricordo come si ricorda un sogno delirante. E lo stesso Berkeley… tutti i filosofi più o meno consapevolmente intrisi di logica e misticismo hanno la mia simpatia. E hai ragione, tendo talvolta a calcare la mano, ma in fondo il mio autore preferito è Musil, che quanto a riflessioni è molto peggio di me…

Mi interessa molto questo intreccio tra una concezione logico-filosofica dei rapporti e la creazione dei personaggi del romanzo. Come nascono Ezio e Anna, con il loro carattere, il loro passato, e come nasce l’idea della loro storia, l’architettura del romanzo?

Anna ed Ezio nascono come parti del mio carattere, esaltate, estremizzate e interscambiate. Credo davvero, come ho detto in questa intervista, che «tutti siamo chiunque», sebbene in diverse dosi. Se alcuni personaggi più estremi e simbolici (come il dott. prof. Savelli) sono estremizzazioni quasi allegoriche di singoli o pochi aspetti, Ezio e Anna sono più “vicini” e complessi, in quanto hanno varie caratteristiche che interagiscono tra loro. In un certo senso dopo averli creati ne perdi il controllo, perché il modo in cui interagiscono i loro tratti è imprevedibile anche per chi li crea: la metafora dei “figli” è facile ma pertinente. Anche per questo si impara da ciò che si scrive, immagino. Questi personaggi, così come le persone “reali”, si muovono in un universo attraverso le proprie meccaniche. Incontrandosi e scontrandosi mutano tali meccaniche, le ibridano e danno luogo a nuovi modi di vivere il mondo. Proprio l’utilizzo di più voci rende Kierkegaard uno dei miei filosofi preferiti: ha trovato un bel modo per potersi contraddire creando comunque una filosofia coerente. Il mondo narrativo ovviamente non è separato dagli ingranaggi che ci si scaglia dentro, e muta con loro e attraverso di loro.

Una delle mie domande era: come possono convivere gli opposti nel mondo? E soprattutto, che effetto ci fa? Da qui il palindromo, una storia che può essere unione come di separazione, tragedia o lieto fine, eccetera. Come tutti i paradossi anche questo palindromo ha un punto cieco: nel caso di Anna è il finale, che delude alcuni e soddisfa altri. Il motivo è che (non spoilerare qua è dura) non potevo né volevo dare la tranquillizzante conclusione di ogni narratore, ovvero una fine decisa da me. Doveva deciderla il lettore. Anche se un suggerimento c’è, quando Ezio vede e confonde Anna in tutte le persone, e anche le persone perdono identità… lì si incontrano le rette parallele. Ho scelto una struttura complessa e ambiziosa, lo so, ma ci ho provato.

C’è una linea di continuità tra questo lavoro e quelli precedenti e successivi? Non mi riferisco a una continuità di trama, naturalmente, ma a un filo che stai seguendo, a un interesse comune, un punto sul quale torni a indagare.

La continuità c’è (non con i racconti, quelli sono scritti abbastanza a caso), perché parlo quasi sempre di quattro temi: amore, desiderio, identità e dio/morte. Sono le mie fisse, ogni mio lavoro parla un po’ di tutte e quattro le cose, ma principalmente di una. Anna parla d’amore. I. di identità. Il fumetto su Hitler [Liebe macht nicht frei, baby, nda] di amore. Il romanzo che ho scritto dopo Anna parla di desiderio (e un po’ di dio), quello illustrato che ho abbozzato, di dio. I miei disegni pure: hanno sempre questi temi.

Nel libro c’è un tema notevole: lo stupro di Anna. Perché hai fatto questa scelta? Intendo dire che lo stupro è il trauma infantile per eccellenza, quindi può suonare un po’ scontato ricorrervi. Ma forse lo hai fatto proprio per questo…

Come hai detto, lo stupro infantile è il trauma per eccellenza. Non volevo fosse lì la soluzione del “mistero”, per questo mi serviva un trauma così palese da essere quasi un dato oggettivo, che spiega alcune cose (quelle meccaniche), ma, come dice il Savelli, non tutte. Il pezzo “chiave” forse è questo:

«Il trauma che ha subito in giovane età non è un mistero per lei» continuò con indosso il nuovo volto «ma non credo che sia il motivo per cui abbia deciso di tagliare ogni contatto col passato. La mia ipotesi è un’altra. Suo padre è stato l’inizio di qualcosa attorno al quale lei ha costruito e distrutto la propria identità».

Dal concetto delle rette parallele alla “duitudine”, passando per il discorso di Ezio alla conferenza (quello in cui dice che il problema sono “gli altri”: «Quelli che ci stanno di fronte, che ci ascoltano, che ci amano. Sono loro a puntarci, a interpretarci come indovinelli. È nelle loro mani che un pensiero diventa un enigma e una parola un segreto da decifrare»), mi pare che la pista principale – non l’unica – del libro sia quella dell’incomunicabilità, dell’impossibilità delle relazioni autentiche: se ci si dà ci si perde. È così? Cos’è che fa salvare Anna e perdere Ezio? 

Sull’incomunicabilità e i luoghi dove l’hai rintracciata è tutto vero. In realtà più che “se ci si dà ci si perde” direi che non ci si può dare completamente. La completezza che si ricerca è comunque illusoria: è il luogo dove punta l’amore, ma non ne costituisce l’essenza. Ezio non lo capisce mentre Anna sì. Direi che Anna si salverà amando, Ezio morendo.

 

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