Raccontare storie, riprendersi la storia. “Firenze in guerra 1940-1944”

Firenze in guerra 1940-1944 è una mostra storica promossa dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana in occasione del 70° della Resistenza e della Liberazione nel capoluogo toscano, nelle sedi di Palazzo Medici Riccardi e a Palazzo Pitti.

L’ideazione e il progetto d’allestimento è degli architetti Giacomo Pirazzoli e Francesco Collotti. Iniziata il 23 ottobre 2014, la mostra proseguirà fino al 6 gennaio 2015.

Il lavoro culturale ha raccolto le voci di Valeria Galimi, ricercatrice all’Università della Tuscia e curatrice della mostra per conto dell’Isrt con Francesca Cavarocchi, e di Filippo Macelloni regista e documentarista che – insieme a Lorenzo Garzella – fa parte dell’associazione Acquario della memoria. I due registi sono responsabili del progetto multimediale Firenze in guerra 1940-1944.

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il lavoro culturale La particolarità di questa mostra, ci pare, sta nella convergenza di più discipline che si sono accostate ai materiali della ricerca attraverso una fusione metodologica che mette insieme storia, sperimentazioni audiovisive e architettura. Perché avete scelto questa modalità?

Galimi  Il nostro obiettivo è stato quello di provare a raccontare in modo diverso gli avvenimenti relativi alla Resistenza e alla Liberazione di Firenze che, dopo settant’anni anni, hanno trovato una narrazione ormai consolidata. In questo anniversario volevamo allargare lo sguardo all’esperienza della guerra vissuta dalla città. Questo percorso – che è frutto di uno scambio continuo fra chi si è occupato della ricerca storica, i progettisti dell’allestimento e i responsabili del progetto multimediale – si è compiuto in una specie di mostra-laboratorio, un cantiere innanzitutto metodologico. Se talvolta nelle mostre più tradizionali chi fa la ricerca documentaria semplicemente la consegna agli allestitori, in questo caso il gruppo di lavoro ha costruito insieme una proposta condivisa. Ne sono esempio le scelte dell’allestimento del muro-patchwork, tappezzato di foto di Firenze collocate in ordine cronologico, in modo tale da costituire una sorta di “linea del tempo” in cui vedere le trasformazioni della città durante gli anni di guerra, così come le sagome di uomini e donne comuni – tratte da fotografie dell’epoca – scelte come supporti per i pannelli che riproducono i materiali documentari. E poi c’è il progetto MemorySharing

Macelloni – MemorySharing è un progetto portato avanti dall’associazione Acquario della memoria ed è costituito da tre fasi. La prima è quella della raccolta, quindi chiediamo ai cittadini di tirar fuori dai cassetti i ricordi familiari, personali, foto, scritti, documenti, racconti che riguardano un luogo e un periodo, in questo caso Firenze tra gli anni del fascismo e la fine della guerra. Questi materiali li raccogliamo direttamente alla mostra, dove c’è una postazione sempre attiva. La seconda fase è quella della condivisione, in cui questi materiali vengono messi a disposizione di tutti. E questo lo facciamo attraverso una serie di attività, tra cui la convergenza con la piattaforma Historypin che a livello globale consente di geolocalizzare immagini, documenti, racconti, filmati, su una mappa collegata a googleMaps, quindi una cosa veramente globale… La terza fase è quella di raccontare, trovare i modi con cui usare questi materiali raccolti per metterli insieme, renderli interessanti, fruibili da persone diverse.

il lavoro culturale  Come nasce il progetto della mostra e perché vi siete concentrati sulla dimensione urbana?

Galimi  il progetto Firenze in guerra nasce diversi anni fa. Abbiamo raccolto una grande mole di materiale documentario in gran parte inesplorato su molti aspetti della vita quotidiana, sulle questioni relative agli approvvigionamenti, sulla fame, la censura di guerra, la mobilitazione della cultura e la protezione dei monumenti e delle opere d’arte, sugli anni dell’occupazione nazista, fino alla Liberazione, a partire da archivi pubblici e privati, fondi diaristici (come l’Archivio nazionale dei diari di Pieve Santo Stefano), archivi audiovisivi italiani e stranieri, e molti altri. Abbiamo dedicato ampio spazio alla fase 1940-1943, un periodo più trascurato rispetto a quello dopo l’8 settembre. Questa suddivisione cronologica è riflessa nella divisione degli spazi espositivi. Si entra in una ampia sala dedicata alla Firenze fascista, dove al centro c’è un grande tavolo in cui sono presenti materiali documentari, relativi agli anni Trenta, per mostrare quanto l’ideologia bellicista era connaturata nel fascismo di Mussolini: quaderni di scuola, giornali, materiale di propaganda. Si passa poi nelle tre sale, rispettivamente la città della guerra (periodo 1940-1943), la città dell’occupazione, e la città della liberazione, che si affiancano cronologicamente (1943-1944). Nelle sale trovano collocazione, oltre a un percorso sonoro, anche una serie di interviste a testimoni di quegli anni, da una parte per restituire l’ampia varietà di esperienze e vissuti sulla guerra, ma anche per raccogliere quelle che probabilmente sono le ultime testimonianze dei protagonisti dell’epoca. Al centro del percorso si trova la sala MemorySharing…

il lavoro culturale  Cosa avviene in questa sala concretamente?

Macelloni – È uno spazio laboratorio che si modifica continuamente attraverso l’attivazione di una serie di attività che coinvolgono le persone che la occupano. Anziani che portano la loro foto che avevano sul comodino, ragazzi che utilizzano Historypin per geolocalizzare delle foto che i loro nonni gli hanno dato, persone che casualmente visitano la mostra e che si incuriosiscono. È un luogo che cerca di coinvolgere i cittadini a partecipare a raccontare questo pezzo di storia della propria città. C’è anche una postazione che consente di visitare il sito, che è il “luogo” in costruzione dove trovano posto i contributi dei cittadini. Il sito della mostra offre uno strumento e una modalità di racconto che si integra con la mostra e che offre la possibilità di interagire. È uno spazio virtuale in continua mutazione. Per esempio oggi stesso [domenica 14 dicembre, ndr] abbiamo registrato tre interviste a persone che hanno deciso di portarci delle testimonianze. Un’altra cosa che facciamo è cercare delle modalità di racconto che siano nuove, coinvolgenti, che interessino anche delle generazioni a cui sempre più sembra non importare nulla della Seconda guerra mondiale, e della guerra a Firenze. Iniziare invece a incuriosirsi, ad appassionarsi, a voler sapere di più di quello che è successo.

il lavoro culturale  Rispetto al coinvolgimento delle storie individuali, in che modo – visto che memoria e storia sono legate da una forte relazione ma non sono la stessa cosa – avete cercato di conciliare la storia individuale con un tentativo che poi ha a che fare con la ricerca storica come metodo?

Galimi   Quello proposto con Firenze in guerra è un percorso di conoscenza storica e di riflessione sulla memoria che si snoda su più livelli. Dietro i pannelli, ovvero dietro le sagome, si trova condensata la ricerca condotta per tre anni in archivi pubblici e privati. Il fuoco è sulle le trasformazioni sociali, economiche, culturali, la mobilitazione della città al tempo della guerra. Questa storia collettiva si incrocia poi coi vissuti e le memorie individuali. Abbiamo messo in dialogo queste due dimensioni, cercando di restituire la complessità sottesa alla dimensione storica. La collaborazione con il progetto MemorySharing è stata per noi una sfida, perché si è trattato di utilizzare dei linguaggi che non sono quelli degli specialisti, che ci permettessero un maggiore coinvolgimento di persone, le quali hanno aperto i loro cassetti e ci hanno voluto raccontare le loro storie, il tutto senza rinunciare da parte nostra alle regole del mestiere dello storico nel trattare poi questi documenti.

il lavoro culturale  Parliamo dell’altra sede della mostra del Rondò di Bacco a Palazzo Pitti. Anche in questo caso la scelta espositiva, il modo per confrontarsi con il pubblico mi pare molto precisa rispetto al come diffondere la cultura storica e la memoria.  

Macelloni  Firenze in guerra è stata pensata come una mostra “diffusa”, che ha un suo ideale punto di partenza a Palazzo Medici, che attraverso il web, Historypin, i percorsi per le strade si espande nella città e che ha un altro “polo” a Palazzo Pitti. Il grande edificio storico è il teatro di una vicenda straordinaria, perché durante l’estate del 1944 una residenza medicea prestigiosissima diventa rifugio di migliaia di persone sfollate che devono lasciare le loro case dopo l’ordinanza dei tedeschi del 29 luglio. Abbiamo usato una testimonianza molto bella, quella di Nello Baroni, architetto e professore all’Università (tra le altre cose fa parte del gruppo di Michelucci che costruisce la stazione di Santa Maria Novella) il quale con la sua famiglia è costretto a lasciare la propria casa e viene ospitato a Palazzo Pitti. Baroni scrive giorno per giorno in un diario quello che succede a palazzo Pitti e scatta delle foto. Questa doppia testimonianza si riflette anche nella scelta espositiva. Nel foyer del teatro si può vedere la serie completa delle foto, circa un centinaio, ordinate cronologicamente. Nel teatro, il Rondò di Bacco, raccontiamo quell’evento attraverso i suoni, proponendo un “documentario sonoro”, in cui il pubblico al buio viene immerso per 25 minuti nelle vicende di quei giorni grazie alle parole del diario di Baroni e i suoni e i rumori della guerra.

il lavoro culturale  Colpisce il modo in cui vengono trattate le fonti tradizionali all’interno della mostra: il diari, come quello di Nello Baroni su cui è stato costruito il film sonoro che è proposto al Rondò di Bacco o i rapporti di polizia e dei confidenti sull’opinione dei cittadini di Firenze durante la guerra, molto usati in storiografia, sono qui messi a disposizione del pubblico che può accostarsi a tali documenti direttamente

Galimi  Si è trattato di mettere insieme due documenti di grande valore, la serie completa di fotografie e il diario di Nello Baroni, privilegiando la dimensione sonora per ricostruire l’esperienza della guerra, che muove l’emotività e il coinvolgimento degli spettatori, un elemento che è sempre più utilizzato anche da musei e mostre a livello internazionale al fine di far restituire e ricreare delle ambientazioni che possano portare a una migliore comprensione di questi eventi. Le parole di Baroni e di altri testimoni degli eventi sono accompagnate da suoni di sirene, bombardamenti, passi di soldati, montati con spezzoni di documenti sonori dell’epoca.

Anche nell’esposizione di Palazzo Medici Riccardi si può trovare un percorso sui suoni e sulle voci della guerra; su questo aspetto il dialogo fra noi storiche e i responsabili del progetto multimediale ha portato a trovare una soluzione positiva per delle fonti certamente non facili da trattare, ovvero le fonti cosiddette sullo “spirito pubblico”, le note di fiduciari del regime che riportavano gli umori della popolazione al tempo di guerra. La scelta che abbiamo fatto è stata quella di aver fatto “parlare” questi documenti attraverso degli attori e di averle rese “voci” sulla guerra, che compongono un ritratto sfaccettato della società fiorentina negli anni di guerra. L’altra preoccupazione – oltre a quella di rendere l’intreccio fra storia collettiva e storie individuali – è stata quella di rendere la dimensione universale delle emozioni provocate dalla guerra: anche qui abbiamo selezionato diari, lettere e testimonianze, e abbiamo proposto un percorso sonoro attraverso la lettura di brani intorno a quattro emozioni primarie: rabbia, paura, tristezza e speranza; si tratta di una scelta che aiuta lo spettatore a identificarsi con le vicende che raccontiamo.

il lavoro culturale  Il percorso della mostra, la sua forma laboratorio sembrano anticipare una prosecuzione; in che modo si intende far vivere questa esperienza di costruzione e condivisione di memoria? 

Macelloni  Sabato 20 dicembre faremo al Rondò di Bacco un primo bilancio di MemorySharing a Firenze. Presenteremo alcuni dei materiali raccolti, in particolare nuove testimonianze sulle vicende di Palazzo Pitti nei giorni dell’emergenza che si intrecciano con il racconto che abbiamo messo insieme nelle installazioni. Il nostro obiettivo è di non esaurire l’attività di MemorySharing sulla guerra a Firenze con la mostra, ma di costruire un punto di riferimento per la città. Continueremo a proporre laboratori con le scuole, o i percorsi in città, per finire con la cinebicicletta, con cui mettiamo insieme la nostra passione e professione del cinema con quello del lavoro sulla memoria: un film itinerante proiettato appunto da una bicicletta sui muri della città, con tappe nei luoghi stessi che settant’anni fa sono stati teatro degli eventi che raccontiamo.                                                        (a cura di Antonio Iannello)       

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