La moltiplicazione della visione e l’esperienza corporea in FanFootage. Linkin Park come caso di studio

A proposito di FanFootage, una start-up di crowd sourcing per video di eventi, che ha come fine ultimo il riunire la “troupe di videoamatori più grande del mondo”.

1. Stereofonie della carne

Assistere a un concerto è un’esperienza che F.W. Nietzsche definirebbe dionisiaca non solo per la dominanza della musica, ma anche per «la stereofonia della carne» (Barthes 1975, p. 127) intesa come corpi situati spazialmente che comunicano a trecentosessanta gradi in sincretismo sensoriale, seguendo uno stesso, voluttuoso, ritmo. Si tratta di un pieno coinvolgimento sensuale e intellettuale (cfr. Montani 2004) che viene trasposto in una forma peculiare nei video delle performance live degli artisti caricati dagli utenti su FanFootage, una start-up di crowd sourcing per video di eventi, che ha come fine ultimo il riunire la “troupe di videoamatori più grande del mondo”. FanFootage, nata Dublino nel 2011, in poco tempo ha coinvolto 259 artisti e 25 nazioni, proponendosi come strumento atto a “rendere preziosi” i video caricati, grazie alla sincronizzazione con audio registrato professionalmente, e promettendo la possibilità di apparire nei crediti dei videoclip degli artisti. La stereofonia della carne si rafforza ulteriormente perché il punto di vista dei fan assurge a quello di regista dato che dai contributi caricati su FanFootage vengono prodotti due video dell’evento che raccolgono le varie angolazioni visuali: uno è soggetto a post-produzione, montato a partire dalla temporalità dell’evento in un procedimento sintattico che unisce le varie inquadrature in scene e, quindi, in sequenze, mentre l’altro, definito come versione interattiva, è la summa delle varie angolazioni caricate dagli utenti tra cui lo spettatore finale può scegliere. Il primo tipo di video viene pubblicato direttamente dal cantante o gruppo musicale tramite i suoi canali di comunicazione con il pubblico, mentre il secondo è disponibile solo sul sito di FanFootage, prevede la possibilità di consultare il profilo utente-autore e la condivisione dell’angolazione preferita su Twitter e Facebook, elevando tali testi audiovisivi a genere neo-folklorico delle masse (cfr. Jakobson, Bogatyrëv 1929) sostituendo, parzialmente, l’expertise filmico. Di certo è un metodo economico e creativo per registrare il video di un evento, ma non bisogna dimenticare che è prevista una troupe di supporto sia audio che video per integrare i contributi giunti dal basso anche se ciò che rende questo tipo di crowd-sourcing particolarmente significativo è l’alternanza tra costruzione e decostruzione delle parti in gioco, tra decoupage e collage, sicuramente latrice di senso.

La disamina di FanFootage prosegue nel particolare con l’analisi dei video registrati durante il concerto dei Linkin Park tenutosi a Milano il 10 giugno 2014.

2. Intentio operis

FanFootage rafforza la centralità dello spettatore in un processo di produzione della soggettività, implicata nell’atto della ripresa e nella presenza all’evento, dove lo spettatore è un punto di confluenza dei rapporti spaziali poiché vi è coerenza tra punto di vista e di ascolto.
La produzione del video è autoriflessiva in quanto autoprodotta dal pubblico a cui, tramite le istruzioni di Mike Shinoda, cantante polistrumentista della band, viene svelato come effettuare le riprese.

Shinoda fornisce una vera e propria griglia di riferimento, in italiano, scelta linguistica ostica per l’americano, effettuata per coinvolgere il pubblico, instaurando un contratto enunciativo Io/Voi mirato contemporaneamente al pedagogico e alla fiducia, esordendo con «Abbiamo bisogno del vostro aiuto per qualcosa di speciale», continuando con il set di istruzioni che orienta l’interpretazione del ruolo da spettatore-regista: le riprese devono essere effettuate in orizzontale e devono coprire l’intera durata della canzone Until it’s gone, pena l’esclusione dal montaggio finale.
Citando i due website Shinoda convoca una spazialità seconda rispetto a quella del concerto, la spazialità digitale di natura virtuale, attualizzata in quanto strumento per «far parte dell’esperienza». Il concerto non è più un momento ludico-estetico di solo ascolto, ma diventa un mezzo per esprimere l’autorialità riproducendo la propria esperienza. La crasi tra autore e spettatore decostruisce la sistematicità e la funzione comunicativa dell’evento, mentre la cooperazione tra cantante e pubblico configura l’intentio operis “limitando” parzialmente la creatività delle riprese, realizzando una strategia di montaggio, poiché l’uso, ovvero l’eventuale rinuncia del pubblico di seguire il set di istruzioni, comporterebbe l’esclusione dal video corale e una sanzione negativa della performanza. I video risultato di uso sono comunque rintracciabili sul sito di FanFootage, ma non appaiono nei credits di quello ufficiale.
Si instaura così una nuova forma di estesia, in cui la percezione della distanza intercorporea tra palco e platea è ridotta grazie all’interpellazione e all’infrastruttura del crowd-sourcing, abbattendo le barriere fisiche e temporali successive al concerto, altrimenti percepite come ostacoli alla comunicazione.

3. Molteplici visioni

In un concerto la discrepanza tra punti di vista e di ascolto è tangibile in quanto tutto il pubblico è in piedi, alla stessa altezza e sullo stesso piano e chi non occupa le prime file in prossimità del palco subisce limitazioni evidenti. Nei video di FanFootage ciò traspare nettamente, tanto che il montaggio finale, quello non interattivo, risulta particolarmente interessante perché moltiplica i modi della visione, convocando diverse accezioni dell’atto del guardare come il non poter vedere per l’ostruzione e il disturbo della visione, elemento disforico rispetto a una performance live. Moltiplicando le posizioni spaziali e gli atti cognitivi simultanei, la totalità dell’esperienza del concerto risulta frammentata così come viene proposta dal montaggio del video non interattivo che si può definire alternato poiché c’è simultaneità temporale. Il video non interattivo, disponibile sul canale YouTube dei Linkin Park, appare immediatamente come un mosaico di inquadrature in cui ogni singolo tassello ha una sua autonomia semantica, in cui vengono riproposti in miniatura i processi del testo nella sua interezza in forma di mise en abîme.

Il mosaico è composto da cornici che combinano «la narrazione sequenziale e la narrazione interna al singolo frame» (Eugeni 1999, p. 70), condividendo una stessa temporalità, differendo però per articolazione spaziale e soggetti inquadrati. Non c’è un ordine di lettura lineare, l’attenzione di chi guarda può spostarsi indifferentemente su qualsiasi frame. In alcuni casi vengono «istituiti richiami figurativi e plastici da una cornice all’altra» (ivi, p. 71), ovvero l’immagine viene partizionata in due o più parti che mostrano le stesse inquadrature effettuate da autori diversi, sottolineando la moltiplicazione dei punti di vista che converge in un intento comune.
Le cornici sono o delle stesse dimensioni, specialmente quando il frame è suddiviso in cinquanta parti uguali con altrettanti punti di vista, oppure vi è un frame più grande, dove è inquadrata la band o un oggetto dallo statuto particolarmente significativo come lo smartphone, lo strumento della ripresa, per guidare la visione rispetto agli elementi pregnanti della narrazione dell’evento.
In alto o nella parte centrale del mosaico di inquadrature spesso mancano una o più tessere che rivelano «quello che l’occhio legge come sfondo colorato o spazio vuoto» (Landow 1994, p. 221).

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Screenshot del video non interattivo: mosaico di inquadrature con tessera mancante

Le inquadrature sono montate per giustapposizione fino a formare un’unica immagine/sequenza, sono assemblate, per dirla con Jacques Derrida (1967), perché pronte a incorporare sensi ulteriori o a separarli. È interessante notare come nel video non interattivo non vengono usate suture per creare un testo fluido: il montaggio si dà sic et simpliciter nei suoi tagli e nelle sue giunture per mostrare tutti i testi che lo compongono, affermando l’identità collettiva e la partecipazione pseudo-paritetica. La pluralità delle inquadrature e la loro separazione come unità discrete che compongono il tutto serve a evidenziare l’unità di intenti, mentre le varie cornici e gli spazi demarcanti sono segni di giunzione che presuppongono dei tagli oggetto di decostruzione poi ricomposti.
Tramite la moltiplicazione dei punti di vista si ottiene la magnificazione dell’esperienza, attraverso gli schermi del pubblico si decuplicano inquadrature e immagini, quasi come fosse un gioco catottrico manipolato dagli strumenti di registrazione audiovisiva, trasformati in protesi-canale (Eco 1985, pp.16-17) visto che permettono di aumentare la qualità della visione, di fare esperienza di sé, nel caso del video-selfie, degli altri, e allo stesso tempo di gestire un flusso di comunicazione. In questo senso lo spettatore videoamatore gode esteticamente della manipolazione diretta delle riprese (cfr. ivi) generando un fenomeno di autoriflessività, visto che focalizza la propria attenzione non solo sull’esecuzione della band (voce e strumenti), ma anche sulle proprie riprese e quelle degli altri.

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La moltiplicazione dei punti di vista: il gioco catottrico

Si tratta di un montaggio nel montaggio, un montaggio delle inquadrature, che amplia il visibile di ognuna, esplicitando ciò che da solo può essere unicamente presupposto.
L’angolo visuale si magnifica veicolando l’effetto di realtà, di presa diretta, aumentando gli aspetti del referente reale esplorati. L’oggetto della ripresa si espande, sur-oggettivizzato in un loop riflettente: smartphone che riprendono smartphone, o ancora la stessa scenografia, due torri luminose unite da un sistema di piattaforme con la funzione di “palchi secondi”, si trasformano in schermo su cui appare il flusso degli eventi. Il riprendere una ripresa, l’ulteriore moltiplicazione dell’angolatura, rappresenta il grado massimo di iconicità del testo audiovisivo. A tale proposito bisogna esplicitare che nel video non interattivo sono state montate alcune inquadrature effettuate dal backstage che sovvertono completamente il punto di vista autoriale bottom-up passando dal fronte al retro del palco. Si tratta in entrambi casi, expertise vs audience, di inquadrature di tipo soggettivo perché il vedere di ognuno è limitato dalla spazialità della location, il sapere è infradiegetico, tutti sono in scena in quanto ripresi, e il credere è contingente. Invece, quando il pubblico si auto-riprende istalla un inserto esplicativo di se stesso e del suo ordine di realtà, dove il guardare direttamente in camera diventa una forma di interpellazione, che chiama in causa un vedere parziale, un sapere discorsivo e un credere contingente.
La bassa definizione dovuta all’amatorialità delle riprese inserisce i video più nella direzione del ricordo personale che in quello della testimonianza di un evento (cfr. Pezzini 2007), tanto che lo spettatore finale innesca il processo di attribuzione di senso a partire dalle discontinuità rilevate nel testo.

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Screenshot di un video interattivo pubblicato su FanFootage con i relativi punti d’intervento

Il video interattivo richiede un «tempo di ricomposizione» (ivi, p. 99), e significa attraverso la manipolazione dell’espressione a opera dello spettatore finale, la cui facoltà di scelta si trasforma in potere di strutturazione narrativa che fa emergere e legittima la sua autorialità. Il video, inoltre, nel rapporto con lo spettatore finale assurge a «soggetto cognitivo fornito di un sapere (parziale e totale) dell’enunciatore» (ivi, p. 127), ma è anche Destinante poiché fa-volere intervenire sul montaggio del video e fa compiere manipolazioni sul testo audiovisivo.
La corporeità in gioco ingloba i Linkin Park, lo spettatore fisico e virtuale, perché l’ascolto è un atto incarnato guidato dalla grana della voce, assicurando una significanza data dalla tensione tra musica e lingua che traspone l’immagine corporea. La musica è un discorso amoroso, coinvolge e struttura i valori profondi dell’immaginario, soprattutto quando esprime il non detto attraverso le sue vibrazioni (cfr. Barthes 1977, p. 273).

Riferimenti bibliografici

Roland Barthes, The Pleasure of the Text, Farrar, Strauss and Giroux, New York, 1975.

Id., Image-Music-Text, Fontana, London 1977.

Jacques Derrida, 1967, La voix et le phénomène, PUF, Paris 1967.

Umberto Eco, Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano 1985.

Ruggero Eugeni, 1999, Analisi semiotica dell’immagine: Pittura, illustrazione, fotografia, EduCatt, Milano, 1999.

George P. Landow, Hypertext 2.0: The convergence of contemporary critical theory and technology, Johns Hopkins University Press Baltimore, MA 1994; tr. it., Ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Mondadori, Milano 1998.

Pietro Montani, Montaggio, Enciclopedia del cinema Treccani, 2004.

Isabella Pezzini, La vita delle forme e la vita nelle forme. Il caso W.G. Sebald, in «E/C», 2007.

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